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24 Maggio 2008 |
Dopo
essere usciti da Terni e
dall'Umbria, le cose non si placano. Ad esempio nella Caritas di
Pescara ci dicono che hanno raccolto delle informazioni preoccupanti
sul nostro conto e non se la sentono di aiutarci... Mentre siamo appunto a Pescara riceviamo una lettera dal direttore della Caritas di Assisi, in risposta ad una richiesta di aiuto fatta al Vescovo Monsignor Sorrentino il primo marzo 2008. Ecco la lettera di risposta del 18 aprile 2008: |
Tutti
i centri Caritas si erano allineati con la decisione espressa dal
direttore di Assisi, cioè di non accoglierci e di rimandarci nel Comune
di Residenza, come evidenziato nella lettera sopra riportata. Se
qualcuno inizialmenti ci aveva aiutato, dopo aver raccolto informazioni
dalla loro rete informativa, arrivano alla conclusione di smettere di
aiutarci, oppure di non aiutarci in maniera da poter ritornare a
vivere: ad esempio a molte altre persone erano state offerte delle
possibilità più ampie che il soggiornare semplicemente in un
dormitorio. Il dormitorio era in genere la soluzione delle "non
soluzioni", per i girovaghi, per i matti, per i zingari... Per chi non
si riusciva a reintrodurre nel tessuto sociale insomma. Era dunque inutile per noi tentare di trovare una soluzione negli ambienti Caritas! Purtroppo in Italia lo Stato Italiano demandava quasi tutto alla Caritas passando a questa dei soldi. Per noi significava non avere più possibilità. Andammo dunque alla Polizia di Assisi per cercare di fermare il fenomeno da dove si era originato. Ma ad Assisi il direttore sembrava contare più della Polizia di Stato, e non accettarono il nostro esposto, così non vi fu altro che fare un esposto presso una sede meno influenzabile. Lo facemmo alla Procura della Repubblica di Firenze, visto che era la Procura che aveva ricevuto tutti i nostri incartamenti precedenti. Alcuni mesi dopo di questo esposto il direttore della Caritas cambiò incarico (erano decenni che ricopriva tale incarico). Ma la cosa non si risolse, e ancora a tutt'oggi il tizio è a capo di importanti istituti e/o consulente della "carità" come hanno evidenziato alcune nostre ricerche in internet nel 2014. Presentiamo la denuncia versione pubblica di quella consegnata alla Procura della Repubblica di Firenze. |
Esposto-DenunciaIpotesi di reatoSi ipotizzano i reati di abuso di potere e diffamazione. Tali reati hanno inizio a partire dall’anno 2006 e sono reiterati in varie occasioni nel corso del 2007 e 2008, determinando l’attuale situazione e conseguenze a nostro danno. Uno dei principali responsabili è individuabile nella persona del direttore della Caritas di Assisi (PG), nonché delegato regionale della Caritas Umbra, nel periodo di nostra permanenza in Assisi. Attraverso la sua posizione, il direttore ha influenzato i Centri di Ascolto Caritas e altre associazioni che forniscono aiuti a persone in difficoltà, affinché non ottenessimo nessun aiuto sia in Umbria sia fuori regione. Premessa sulla Caritas La Caritas è l’organismo della chiesa Cattolica, il quale si occupa, tra le altre cose, di aiutare i bisognosi, italiani e stranieri. Tramite i mass media la Chiesa Cattolica suggerisce al cittadino l’assegnazione dell’8 per mille, attraverso una firma posta nella dichiarazione dei redditi, con la finalità di soccorrere tutti, attraverso la Caritas. Fra i servizi di sostentamento offerti ai bisognosi vi sono le mense dei poveri, i dormitori e le case di accoglienza per italiani e immigrati, case famiglia e cosi via…. In molti casi, la Caritas gestisce, attraverso appositi contratti stipulati con i comuni o altri enti, le cose pubbliche; a Terni o a Pescara i dormitori sono di proprietà del comune, ma gestiti dalla Caritas. In altri comuni le azioni di sostegno sono attuate con altre sinergie. Rivolgendoci più volte, per questioni di necessità, alla Polizia di Stato, ai Carabinieri o ai Comuni siamo stati rimandati sempre alla Caritas.Questa premessa serve per indicare come tale organismo, pur considerato privato, sia a tutti gli effetti e di fatto un organismo pubblico, al quale le stesse forze dell’ordine o Comune chiedono e demandano servizi, e tutti si appoggiano in caso di necessità. La Caritas dunque assume un ruolo importantissimo perchè raccoglie da un lato varie offerte dalla chiesa Cattolica e dall'altro vari contributi dalle prefetture e dalla Comunità Europea per la "gestione" degli extracomunitari. Dunque la Caritas ha un grande potere economico e politico, e per le questioni di sicurezza sociale ha intensi rapporti di lavoro con le forze dell'ordine, perchè si trova ad aiutare ceti sociali poveri e persone legate a giri di prostituzione, droga. Molte volte ospita persone agli arresti domiciliari o ex-detenuti, zingari e funge da intermediario per il popolo delle badanti. Ad Assisi, ad esempio, come ci diceva l'operatrice stessa, vi erano molti spacciatori che venivano a mangiare in mensa. Insomma come si dice, a chi si presenta a chiedere un pasto o da dormire lo si offre e basta, almeno in alcune mense. Ma non è sempre così, perchè alla fine i più penalizzati sono gli italiani che si trovano magari per questioni accidentali, dentro una situazione di per sé pericolosa, non abituati a convivere con questa tipologia di persone. Per quanto abbiamo visto, anzi gli italiani hanno minori possibilità, perchè per loro si effettuano controlli sul reddito, devono fornire mille spiegazioni e così via; forse gli italiani pesano maggiormente sul bilancio, ricevendo probabilmente per gli stranieri, a differenza degli italiani, dei contributi. Da un articolo apparso sul "Messaggero" del 1 novembre 06, emerge che l'Umbria, da sola utilizza 1/3 del fondo nazionale stanziato per l'aiuto agli stranieri. Dunque l'Umbria è veramente una grande terra dell'accoglienza. Vi è dunque parecchio giro di persone, che si affacciano alla realtà Umbra a chiedere un aiuto, per le varie offerte, ed è ovvio che i dirigenti debbano prendere serie misure di sicurezza e fare i dovuti controlli. L'Umbria gode poi di entrate particolari nella chiesa Cattolica, grazie all'afflusso di turisti internazionali ad Assisi e Cascia, come pure di innumerevoli strutture di accoglienza gestite dal popolo di religiosi. Va detto dunque che la Caritas normalmente raccoglie informazioni sulle persone , attraverso i vari operatori. Per quanto da noi di fatto constatato, gli operatori, oltre a raccogliere le informazioni dai diretti interessati, contattano gli altri punti Caritas, il comune di residenza, eventuali assistenti sociali, le famiglie d’origine, ed hanno dei rapporti particolari con le forze dell’ordine con le quali collaborano. Normalmente questa operazione serve per una certa trasparenza, per evitare abusi, e per la sicurezza sociale, oltre che per la tutela dell’individuo stesso. Abbiamo notato, come non sempre, tali operatori siano formati per fare questo lavoro, perchè sono in gran parte dei volontari, mentre altre volte sono persone che loro stesse in passato avevano bisogno e sono state inserite in questi contesti lavorativi, per dare loro un alloggio e un lavoro, ovvero alcuni operatori di case di accoglienza, sono loro stessi degli ex-ospiti che hanno maturato di grado. Per
noi, questa “rete” informativa si è trasformata di fatto
in un vero e proprio laccio, che ci ha creato danni a non finire e
diffamazioni sulla nostra persona. Basta che qualche persona del
circuito “Caritas” inserisca nelle schede delle informazioni
errate, volutamente o no, e queste informazioni vengono
propagate nell’intero circuito. Per noi, per quanto descritto in
esposti precedenti, è facile che qualcuno possa aver fornito a
questi operatori delle notizie false, al fine che fossimo isolati e
non aiutati. Ogni qualvolta abbiamo chiesto precisazione o indicazioni su queste informazioni negative in loro possesso, non ci fu mai riferito nulla, tutto rimase sempre vago e incerto. Questo determinò l’impossibilità di poterci difendere opponendo elementi validi o circostanziati a queste diffamazioni. Ma alla fine queste parole fecero allontanare anche le persone che avevano già espresso l’intenzione di aiutarci. La Caritas, gode di fatto, all'interno dello stato, di una sorta di "immunità", di una specie di extra-territorialità anche per il fatto che è un organismo della Chiesa Cattolica: questo in qualche maniera ci ha anche protetto, ma d'altro canto, se ti capita qualche disavventura, non riesci a difenderti, dovresti solamente uscirne, senza trovare però nessuna alternativa di aiuto, visto che lo Stato Italiano manca assolutamente di case di aiuto, mense e così via . Lo Stato sociale dunque sembra non esistere. Lo Stato prevede tipologie di aiuto solamente per i pentiti di mafia o cose del genere e non per il cittadino caduto in disgrazia. Questa purtroppo è una triste realtà che dovrebbe andare modificata. La
Caritas poi, dà le sue disposizioni ad altri enti come gli
istituiti di suore: nel caso si presentino delle persone o famiglie a
chiedere un aiuto o sostegno, queste devono essere necessariamente
rimandate ai centri Caritas, che sono preposti per questo. In questa
maniera la Caritas diventa un’istituzione totalitaria che
pericolosamente può decidere il futuro delle persone e pure
influire in maniera considerevole sugli organismi con cui è
relazionata, come ad esempio il comune, assistenti sociali, forze
dell’ordine. I volontari, e le persone che lavorano all'interno di questi
organismi diventano delle persone con un determinato peso, con un certo
potere con una rete di relazioni in grado di interagire con le forze
dell'ordine, assistenti sociali, chiesa cattolica. Infine vi è, in
molti casi ua certa popolarità sociale. Questi aspetti sono importanti
per capire le dinamiche di quello che può accadere in questi luoghi. La nostra Vicenda Siamo giunti ad Assisi a fine Marzo 2006 ed in stato di bisogno, siamo stati accolti nella casa di prima accoglienza della Caritas di Assisi, in via D’Annunzio. Gli operatori della Caritas acquisirono varie informazioni, e noi per l’occasione spiegammo,nel possibile, la dinamica di quello che ci era accaduto, mostrando a tal proposito, anche alcuni documenti “ufficiali”, come la ratifica di una denuncia querela, da noi depositata, per alcuni di questi fatti. Da tale denuncia risultavano indagate le nostre famiglie e il comune. Dopo alcuni mesi di permanenza in Caritas di Assisi, il direttore, chiamò le nostre famiglie di origine (così ci disse all’epoca la responsabile A. C., cosa che comunque era d’uso e consuetudine come da noi appurato, per altri casi verificatisi in concomitanza la nostra permanenza nella struttura). Forse il direttore ha ventilato alle famiglie d’origine la possibilità di ospitarci nella struttura in seguito al pagamento di una retta. Abbiamo infatti appurato, anche presso altre regioni, che le case d’accoglienza forniscono dei servizi in seguito al pagamento di una retta, versata dal comune ove gli ospiti hanno la residenza o dalle famiglie; la retta può essere pagata dalla Caritas stessa, se questa decide di farsi carico della persona. I contatti con le famiglie d’origine vicentine si sono svolti a nostra insaputa. Rimanemmo sbigottiti perché avevamo riferito, a tale responsabile, dei gravi problemi avuti con tali famiglie, tanto che la stessa Curia di Padova, dopo alcune indagini, ci fece sposare nel 2004, “per gravi motivi”, senza pubblicazioni ecclesiastiche, posticipando la registrazione civile a matrimonio religioso avvenuto. Il matrimonio era stato celebrato nel comune in cui non eravamo residenti ed il prete ci aveva trovato egli stesso i testimoni. Di lì a poco, in Agosto 2006, fummo rimessi in strada grosso modo con le parole: - “Tornatevene in Veneto, là avete soldi e casa”. Da lì, da quel contatto, con l’”abisso” veneto, arrivarono nel circuito Caritas, varie diffamazioni sul nostro conto, provenienti da quell’ambiente malsano, una specie di clan, che coinvolgeva le nostre famiglie e alcune personalità eccellenti di quel luogo.
L’ampliamento del problema. In poco tempo, la nostra situazione generale ci spinse a chiedere aiuto ad altre Caritas in Umbria. A Gubbio chiedemmo un aiuto, spiegando del malinteso sorto ad Assisi, ma il direttore don B., il 5 Dicembre ’06, ci consigliò di uscire dall’Umbria, perché sicuramente non avremmo più ricevuto aiuto in questa regione, per i malintesi sorti con il direttore di Assisi. Ci diede pure 100 Euro, con tanto di ricevuta per le spese del treno. Pochi giorni dopo provammo a Spoleto, dove incontrammo fortunosamente il Vescovo, che ci pernottò un albergo per la notte e ci assicurò che lì da loro i servizi sociali funzionavano bene. Ma a Spoleto telefonicamente, il 9 Dicembre ’06, ci imbattemmo in un sacerdote vicentino, che ci rispose, grosso modo, senza mai averci visto:- “Oh, i due veneti che si fanno le ferie in Umbria a spese della Caritas”. Questo evidenzia che in Umbria si era già sparsa questa chiacchiera infondata, e anche qui si chiusero le porte. Provammo allora a cercare un aiuto qualche giorno dopo a Città di Castello. Al nostro arrivo il 15/12/06, in un primo momento gli operatori furono disponibili. Ci chiesero se eravamo già stati in Caritas, e noi, rispondemmo :- “Ad Assisi”. Il giorno successivo, dopo che ci fu il contatto tra Città di Castello ed Assisi, il responsabile della casa di accoglienza maschile di Città di Castello ci disse in tono decisamente negativo:- “Ci sono cose che non sono chiare nei vostri confronti!”. Comunque Città di Castello, non si allineò completamente con le altre Caritas perugina, e questo ci permise di rimanervi per circa due settimane, poi ci mandarono a Terni, fuori dal perugino, senza il rituale colloquio con il Centro d’Ascolto. Gli operatori della casa di accoglienza di Terni, amici/conoscenti di A.C., responsabile della casa di accoglienza di Assisi, si allinearono con Assisi: avevano già deciso che razza di persone dubbie fossimo, ed ogni nostra azione era interpretata in questo senso. Nonostante tutto questo, grazie ad un capo ispettore della Polizia informato sui fatti, all’interesse mediatico suscitato da un articolo di giornale sulla nostra vicenda, e la comparsa come ospiti in diretta in TV, su RAI DUE, continuammo la permanenza in Terni. Gli appelli fatti in diretta TV, a Piazza Grande, non fornirono alcun risultato sperato, la Caritas non ci interpellò. Non ci fu offerto nessun lavoro: quello che trovammo fu solo grazie ai nostri sforzi. Non fummo nemmeno mai aiutati per acquistare un paio di occhiali da vista, pur avendolo posto la richiesta per iscritto! Le condizioni di vita patite, il rimanere fuori durante la giornata con la febbre e il lavoro precario di Giovanna non ci permisero mai di uscire da quella condizione. Verso novembre 2007, i fatti precipitarono nuovamente. Matteo si ammalò gravemente e fu ricoverato all’ospedale d’urgenza. Il lavoro di Giovanna a inizio di gennaio ’08 finì, senza preavviso e ci ritrovammo al punto di partenza. Ci aiutò il presidente dell’Associazione San Martino di Terni, organismo attraverso il quale opera la Caritas diocesana ternana. A.P., ormai resosi conto dei problemi che avevamo avuto con gli operatori Caritas e con il direttore, per la rete di chiacchiere insinuata nel circuito, proveniente da Assisi, si rese disponibile direttamente. Tentò lui stesso di trovare una strada in Umbria, ma, constatando personalmente che non vi erano possibilità, si arrese, e ci diede un contributo economico per uscire dall’Umbria. Provammo a cercare aiuto a L’Aquila, ci spedirono in un dormitorio a Pescara. A Pescara, pur fuori regione Umbria, ricominciarono i problemi del circuito Caritas. Alla fine grazie all’interessamento di un prete, venimmo a sapere che la Caritas di Pescara aveva preso delle informazioni su di noi e non se la sentiva di tenerci, dicendoci grosso modo “che vi erano delle cose non chiare sulla nostra situazione”. Il direttore della Caritas di Pescara disse al prete che raccontavamo un mare di sciocchezze, e questo lo sentimmo con le nostre orecchie dal telefono in viva voce. Non riuscivamo a capire quali fossero queste informazioni. Non riuscimmo a venire a capo di quali fossero queste cose, nemmeno con l’aiuto del prete, il quale, non era comunque contento che dormissimo in strada e capendo che non vi era strada in quella direzione, decise di cercarci lavoro attraverso le sue conoscenze. Ci aiutò in tutti i modi possibili, ma nel frattempo finimmo a dormire effettivamente per alcuni giorni in strada, in stato di pericolo e non in buona salute. Il prete tento di trovarci una strada presso l’Istituto don Orione, sempre a Pescara, ma l’economo don Nicola, non volle assolutamente aiutarci. Il prete rimase titubante e ci fece entrare per una notte nella struttura attraverso l’intermediazione diretta del direttore dell’istituto don Natale. Questo non fece altro che creare altri attriti perché don Nicola, sentendosi scavalcato, si arrabbiò furiosamente. Passammo altri giorni in strada e alcuni giorni in albergo grazie alla questua fatta per la città di Pescara e grazie al contributo economico del prete. Tentammo anche presso gli assistenti sociali, ma non ne venne nulla, anche i dormitori, pur appartenendo al comune, sono gestiti dalla Caritas. Infine il prete ci spedì a Roma presso l’Istituto don Orione della Cammilluccia, convinto che il direttore don Guido ci avrebbe aiutato, visto che ospitava lui e pure altra gente. Comunque gli Istituti don Orione sono conosciuti per gli aiuti offerti alle famiglie. O comunque avrebbe potuto reinserirci nella Caritas. Don Guido, al nostro arrivo alla sera, ci rimise subito in strada, a Roma. Visto che rimanevamo seduti ed inebetiti sui gradini dell’istituto, ci mandò via con un offerta dicendoci che Roma ingoia tutto, lanciandoci l’anatema: “tanto vi ritroverete tra due giorni a puzzare come barboni”. Don Guido non voleva assolutamente curarsi di noi: ci parlò sui gradini senza farci entrare. Disperati ci rifugiammo da alcune suore riuscendo a farci fare uno sconto, almeno per tenerci dei soldi per i giorni successivi. Da Roma partimmo per Assisi, in treno, per tentare di risolvere una volta per tutte il problema, là dove si era originato. Venerdì 9 Maggio ’08, sera arriviamo ad Assisi, c’era la manifestazione del Calendimaggio e vi erano molte persone per la piazza: abbiamo passato la notte fuori nei vicoli di Assisi. Il giorno dopo ci siamo recati a Bastia Umbra a chiedere un aiuto dalle suore Benedettine. Non riusciamo a trovare un posto dove dormire e così passiamo una notte nelle campagne di Costano a cielo aperto. Finalmente domenica riuscimmo ad avere un pranzo decente, unendoci al pranzo di una manifestazione della Croce Rossa, e riuscimmo a racimolare altri soldi e arrivare a pernottare una stanza economica. Il giorno seguente lunedì, alla riapertura degli uffici, tentammo finalmente una mediazione con la Caritas. Il tentativo di mediazione L’obiettivo era di risolvere definitivamente questa questione fin dall’origine, ovvero perché la Caritas non se la sentiva di tenerci. La sera passammo per la casa di accoglienza di Santa Maria degli Angeli e parlammo con la responsabile Annarita, per trascorrere una notte al coperto e per un appuntamento con il direttore L. G.. Non c’e’ posto per noi, è tutto pieno. Parliamo della situazione ad A. C., alla quale mostriamo anche l’articolo di giornale sulla nostra vicenda uscito sul Corriere dell’Umbria. Sembra di non aver mai visto quell’articolo e non conoscere nulla della nostra apparizione in TV. E’ solamente curiosa nell’apprendere che non siamo mai tornati in Veneto dopo che ci aveva messo in strada ancora in Agosto 2006. E’ molto sorpresa che non fossimo mai ritornati là. Il direttore L. G. non è reperibile, ed A.C. ci lascia comunque 20 Euro, dicendo di provare all’ostello; ci lascia consente cortesemente chiamare il prete di Pescara con il telefono della Caritas. Bussando a varie porte, riusciamo a trovare aiuto presso alcune suore a Santa Maria: ci ospitano alcuni giorni e fissano un appuntamento con una responsabile della Casa Papa Giovanni XXIII di Assisi, tal Monica. Il giorno dopo, 13 maggio ’08 veniamo a sapere, tramite interposta persona, che il dottor L.G., direttore della Caritas, aveva già compiuto il “suo dovere”: si era assicurato di trovarci un posto nella Caritas di Vicenza, aveva pure telefonato alla Questura di Vicenza, per constatare se sussisteva pericolo per noi andare là. Dunque ci aspettava per farci il biglietto del treno, perché la risposta della Questura era stata negativa, perciò, dovevamo andare a Vicenza e basta! Il direttore della Caritas aveva già deciso riguardo la nostra vita, senza sentire ragioni e senza considerare la nostra volontà, nel 2006 come nel 2008. Il 13 Maggio 2008, a distanza di quasi due anni, da quando eravamo ospiti nella “sua” struttura, era rimasto delle sue idee, e si era adoperato, nel corso di questi due anni, perché la sua idea fosse attuata, come se la sua opinione fosse al di sopra tutto. Poco importa che noi siamo residenti a Padova e che, semmai il direttore, per informazioni doveva chiamare la Questura di Padova e non Vicenza. Poco importano i motivi che ci hanno spinto a sposarci senza pubblicazioni religiose, nel luogo non di residenza, senza le famiglie d’origine, come attuato dalla Curia di Padova. Poco importa se ormai è da due anni che viviamo in Umbria e abbiamo più contatti e possibilità in questa terra che in Veneto e poco importa quanto scritto in alcune nostre denunce-querele presentati ai magistrati. Tale decisione il direttore l’aveva presa per noi ancora nel 2006, e continuò a propagarla nelle altre Caritas, compiendo di fatto un abuso di potere con l’aggravante di aver trasmessi questa sua decisione a tutta la rete Caritas, avendo un ruolo importante, nel periodo considerato, di delegato della Caritas umbra, con mansioni di rappresentanza e competenza su tutti i vescovi Umbri; la sua influenza si era propagata pure a quei comuni, come Trevi (PG) che ci avevano dato la possibilità di aiutarci pur non essendo noi residenti. L’interlocutore telefonico disse che era normale: nel caso in cui si presentassimo in altre Caritas non ci avrebbero accettato, perché L. G. giustamente aveva dato queste disposizioni (di non aiutarci e rispedirci a Vicenza). Da qui partirono tutte le nostre traversie, già riassunte, ricordando una per tutte, a tal proposito, che un sacerdote esercitante in Umbria, di origine veneta come, noi, ci apostrofò al telefono, senza nemmeno conoscerci, ancora nel 2006: “Oh quelli che fanno le ferie in Umbria a spese della Caritas” e poi da lì tutti ci trattarono allo stesso modo, fino ad arrivare, ad essere pure stati ricoverati d’urgenza all’ospedale per una vita di stenti. Ci rimaneva la strada dell’Associazione Giovanni XXIII, ma anche qui dopo che le suore ascoltarono la nostra storia insieme con Monica, una delle responsabili dell’Associazione della zona di Assisi, contattarono la Caritas e si allinearono al direttore L. G. e non vi fu strada nemmeno in quella direzione. <>Ci mandarono verso Ancona, a cercar fortuna, dandoci alcuni numeri di telefono di un prete che si occupa dei casi antisetta. Partimmo senza soldi e non ci restò che uscire dall’Umbria nuovamente, cercando di evitare la Caritas che non ci aiuta, ma ci fa pure terreno bruciato nei posti dove andiamo, facendoci saltare in qualche modo, direttamente o indirettamente, tutti i nostri tentativi di rifarci una vita. All’associazione Giovanni XXIII scrivemmo un’email spiegando la delicatezza della situazione e contattammo del loro personale a Fabriano (AN), e tramite un loro numero verde del servizio antisetta, ma non ottenemmo nulla di concreto. Si chiede
un intervento urgente onde verificare quanto da noi segnalato e rimuovere gli ostacoli che ci impediscono di avere un aiuto e un sostegno, al fine di ritornare ad un lavoro e ad una vita dignitosa, senza dover subire il clima di schiavitù che inevitabilmente ci ha creato questa situazione. Si
chiede un intervento urgente ed immediato, indipendente da eventuali
indagini, poiché per quanto esposto, siamo in immediato e
grave pericolo, ovvero si chiede che venga attuata una soluzione
adeguata al nostro problema, di aiuto e sostegno dignitoso,
compatibile alla nostra volontà, capacità, e realtà
di famiglia costituita da marito moglie.
Sottolineamo che, da quanto
constatato, la Polizia Giudiziaria di Assisi (PG) era già a
conoscenza di alcune nostre situazioni vissute in Umbria, per gli
stretti rapporti collaborativi esistenti tra la Caritas e le forze
dell'ordine. La Caritas, essendo parte in causa, avrà probabilmente
dato informazioni sul nostro conto in modo pregiudizievole, o comunque
"dal loro punto di vista". E' innegabile che il peso delle affermazioni
della Caritas, forte del potere che rappresentano e della stessa
fama, abbiano un peso notevolissimo. Dunque per quanto detto si
reputa che la Procura di Perugia e la Polizia Giudiziaria di Perugia e
Assisi sia giudicata inidonea a gestire eventuali indagini, sia per non
aver saputo leggere elementi di pericolo a nostro carico ancora due
anni fa, sia per la mancanza d'imparzialità dovuta ai stretti legami di
lavoro e a volte pure di amicizia. |