IVREA - Mi sono unita al Coro Bajolese
nella tournée organizzata da Alfredo Tradardi e Amerigo Vigliermo,
che ha avuto luogo dal 1° al 12 ottobre. In questo viaggio culturale
di incontri e scambi ho vissuto momenti molto diversi, rispetto ai precedenti
viaggi da me effettuati nella zona: ho constatato, tuttavia, il drammatico
peggioramento della situazione in quella terra.
"Siate testimoni - dice il dottor
Mustafà Bargouti, presidente del Soccorso Medico Palestinese -,
non ci serve la propaganda, vi chiediamo di dire ciò che vedete;
da soli non ce la facciamo: abbiamo bisogno del vostro aiuto".
Alla lavagna una carta della "Palestina",
ovvero di un territorio sempre più limitato: buchi colorati identificano
i paesi e le città palestinesi attraversati e contornati dalle by-pass
road (solo per gli israeliani), dagli insediamenti israeliani, dai posti
di blocco israeliani. Ora la situazione sul territorio è costituita
da paesi circondati da recinzioni di filo spinato e dall'ennesima sopraffazione,
costituita dal "muro". Muro che gli israeliani chiamano "barriera protettiva",
ma che costituirà per circa 250 mila palestinesi un intrappolamento
tra il confine del '67 e la parete che, entrando nel territorio palestinese
fino a 20 km., usurperà tra il 25 e il 45% del territorio della
Cisgiordania, includendo in questa rapina alcune ricche aree agricole e
di coltura dell'olivo. Israele continua la sua politica di apartheid e
di colonizzazione.
Come dice Alfredo Tradardi, "il
coro non ci ha messo molto a capire chi sono gli oppressi e chi sono gli
oppressori".
Sentimenti di forte emozione ci
colgono a ogni incontro: sia tra i giovani e numerosi studenti della scuola
luterana di Betlemme, che nel bell'istituto arabo della "Casa del Bambino"
a Gerusalemme. Le canzoni del coro, intervallate da quelle delle alunne,
si protraggono così a lungo in una contagiosa gioia infantile che
la direttrice ci prega di rimanere a pranzo con loro. Il Coro contraccambia
questo generoso invito con un contributo per uno studente, e ci accomiatiamo
con la bella voce di Norma che dedica "Elvira" alla direttrice. Verso l'uscita
abbiamo modo di ascoltare la testimonianza drammatica di un giovane palestinese
(lavora nel giardino): arrestato la sera prima dentro la pensione, perché
di Nablus e perciò sospettato di portare esplosivo, viene interrogato
e malmenato per quattro ore, messo al muro, perché confessi - e
rilasciato in piena notte con l'obbligo di tornare a casa, cosa impossibile.
"Ho due figlie, devo cercare il cibo e ogni giorno noi palestinesi rischiamo
la vita: niente e nessuno ci può proteggere".
La sera il concerto al Palestinanian
National Theater procura applausi e nuove conoscenze; il prof. Ishaq Al
Qutub invita il Coro a tenere un concerto all'Università Al Quds
il giorno successivo. Quando ci troviamo già sulla strada per l'Università
ci informano che essa è circondata dai soldati, che pare siano già
entrati all'interno. L'incontro viene annullato. Veniamo a saperlo quando
siamo in prossimità dell'Università, ci troviamo in una strada
sbarrata da blocchi di cemento, scavalcabili solo attraverso uno stretto
varco costruito con le macerie.
Da questo passaggio si arrampicano
non solo studenti e studentesse, ma anche gli abitanti della zona, che
trascinano borse della spesa, bambini, oggetti e tutto ciò che normalmente
si trasporta nella vita di qualunque essere umano. Un componente del coro
fotografa la scena: "ne parlerò a mia figlia, studentessa universitaria…".
Betlemme, dove entriamo grazie all'intervento
del Console italiano (è appena avvenuto l'atroce attentato di Haifa),
ci riserva una città vuota: possiamo visitare la chiesa della Natività
in assoluta solitudine, la cantata sottovoce nella grotta della Natività
ci fa sentire tutta la misticità del luogo. Il teatro non avrà
il pienone previsto a causa della chiusura, ma ancora una volta al dispiacere
per la situazione si aggiunge la sorpresa di un invito fuori programma:
un'artista danese inaugura la sua mostra di pittura, che ha come tema Betlemme.
Il coro costituisce un pubblico
inaspettato e graditissimo. E' presente il console danese, il pastore luterano
e tutto il Coro Bajolese. L'artista si cimenta anche nel canto, accompagnata
da un musicista. Saranno poi in prima fila ad ascoltare con grande piacere
"Nati noi siamo" e "Le rose rosse no".
Ai canti della tradizione e della
resistenza si aggiunge, quella sera, anche un inno sacro, con grande gioia
dei frati francescani e di un certo don Mosetto di… Rivarolo Canavese.
Gli incontri con il paese di Beit
Ommar, con Nazaret, con Caanan e soprattutto Ramallah hanno segnato per
il coro Bajolese momenti di conoscenze straordinarie, di grande empatia
con il popolo palestinese e di desiderio di capire meglio le origini di
questo conflitto. Luoghi di difficile convivenza e conflittualità
appaiono pacificati quando sono la cultura e l'arte a esprimersi, e a far
sentire la propria voce universale. Allora la bellezza, la giustizia, i
valori veri dell'umanità, raccontati con la voce o con le raganelle
pasquali, ci fanno sentire tutta l'assurdità dei conflitti; e le
parole del vecchio palestinese che ci dà il benvenuto nel centro
anziani di Taibe appaiono grandi e profetiche: "non capisco il perché
della guerra: c'è pane per tutti in questa terra".
Nella striscia di Gaza, dove eravamo
grandemente attesi, non ci è stato consentito entrare.
Ramallah è stato forse il
momento più straordinario e significativo, e anche inaspettato.
Quando il pullman ha iniziato il percorso, ed è giunto in vista
della distruzione che circonda il quartiere di Arafat, pochi del coro sapevano;
Amerigo dà il la alla canzone del partigiano, e il coro fa l'ingresso
in un cortile delimitato da mucchi di macerie. Il canto giunge immediatamente
a tutti i presenti del luogo: fotografi, giornalisti cineoperatori provenienti
da tutto il mondo: Arafat non è solo. Molti di loro, incluso Ury
Avnery e altri israeliani, assieme a canadesi, americani, giapponesi e
altri vivono nell'edificio, come scudi umani: una società civile
che sostituisce l'assenza degli organismi internazionali. La bellezza e
l'intonazione dei canti crea una atmosfera surreale di grande commozione.
Segue l'incontro con Arafat e l'invito a pranzo. Il Coro Bajolese è
entrato nella storia.
L'ultimo giorno ad Haifa ho il piacere
di incontrare amiche carissime: le donne in nero israeliane e palestinesi,
conosciute sin dal 1989; le israeliane Hanna ed Edna sono state a Ivrea
nel '92 e nel 2002, e Nabila Espanioli - araba israeliana, reduce da un
premio per la pace in Germania - accompagna con voce sicura il coro nella
universale "Bella Ciao".
Prima di accomiatarci dagli amici
e dalla terra di Israele e Palestina, Nadia chiede alla israeliana Edna
se ha un sogno. "Sì, ho un sogno: che nessun essere umano sia l'oppressore
di un altro essere umano, che la giustizia e la libertà delle vostre
canzoni diventino un bene universale".
Il grosso lavoro di recupero di
un patrimonio musicale che ha le sue radici nel popolo, che il maestro
Vigliermo, in tutti questi anni, ha portato all'aperto attraverso il Coro,
ha fatto sì che questi canti fossero, non solo compresi, in un contesto
così difficile, ma sollecitassero, tra coloro che hanno partecipato,
emozioni, incontri e similitudini davvero inimmaginabili.
Grazie anche a Tradardi, per aver
immaginato coraggiosamente questa avventura.
rosanna barzan
centro documentazione pace