E’ di nuovo polemica sul Crocifisso,
come già tante volte nel passato, recente e lontano. E’ polemica
sull’esposizione del Crocifisso, cioè di un’immagine sacra, ma è
chiaro che la polemica riguarda il personaggio rappresentato, il suo messaggio
e coloro che si professano suoi discepoli. La sola immagine, benché
sacra, ha un valore relativo (l’episodio della croce di Tor Vergata, cronaca
di questi giorni, sta a dimostrarlo...).
Ancora una volta il Crocifisso diventa
segno di contraddizione, come predetto ai genitori che presentavano il
piccolo Gesù al Tempio e come constatato dall’apostolo Paolo a Corinto
(1Cor. 1,23) e tante altre volte nella storia del Cristianesimo.
Anzitutto va ricordato che nella
difesa del Crocifisso si può anche cadere nella bestemmia, quando
ad es. si minaccia o si aggredisce nel suo nome, dimenticando che Egli
“oltraggiato non rispondeva con oltraggi e soffrendo non minacciava vendetta”
(1Pt. 2,23).
Tuttavia non si può neppure
assistere passivamente ai ripetuti tentativi di una vera e propria imposizione,
spesso fatta in modo strumentale e superficiale, senza peraltro che il
mondo cristiano non abbia mai avuto segni apprezzabili di una certa reciprocità
da parte di molti stati islamici. Ma in questa polemica, oltre ai rapporti
tra mondo cristiano e mondo islamico, che vanno coltivati nello spirito
del documento Nostra Aetate del Concilio Vaticano II, è in gioco
un altro problema, declinato in maniera tipicamente italiana, quello della
laicità.
Quale laicità, e cosa intendiamo
per laicità? Non è certo in discussione la doverosa distinzione
degli ambiti nella vita della Società civile e dello Stato, né
la convivenza rispettosa delle diverse fedi (o delle non fedi) e dei loro
segni distintivi. Per qualcuno, invece, laicità sembra voler dire
cercare ogni occasione per eliminare i segni religiosi e sospingere la
religione stessa nel privato della coscienza individuale, in modo che resti
il più possibile nascosta.
Basterebbe essere un po’ attenti
alla storia, e specialmente a quella del XX secolo, per rendersi conto
che non è saggio, né possibile, concepire l’educazione (perché
di scuola stiamo parlando) senza dare lo spazio necessario alla dimensione
religiosa della persona umana.
Se poi una proposta religiosa, come
quella cristiana, porta nel suo dna un messaggio che tocca profondamente
la convivenza civile e sociale, il problema della giustizia e le radici
della pace, volerla confinare nel privato significa usarle violenza, chiedendole
di essere ciò che non è. Quando io cristiano o io sacerdote
e vescovo vengo cercato per sostenere la causa della giustizia e della
pace, chi mi cerca tiene conto che la radice del mio impegno per la pace
è proprio il Crocifisso?
La vera discussione dunque mi pare
questa, sulla laicità, su come intenderla e come tradurla nella
nostra Società oggi. In se stessa la laicità non è
in questione ed ha radici nel cristianesimo stesso (si pensi al concetto
di culto e di sacro che emerge dalla Lettera agli Ebrei), mentre un certo
laicismo mi pare anzitutto un oltraggio all’uomo prima ancora che a Dio,
con il suo tentativo di chiudere l’orizzonte del cuore umano entro i confini
sempre più angusti del suo razionalismo e della sua povera esperienza.
Per concludere, vorrei invitare
a rileggere una pagina mirabile della scrittrice Natalia Ginzburg, così
legata a Ivrea, scritta parecchi anni fa in occasione di un’altra polemica
sul Crocifisso: si tratta di una voce sicuramente laica, che può
aiutare anche oggi la nostra riflessione.
† arrigo miglio