In tutte le parrocchie della nostra
Diocesi, come in tutte le chiese cattoliche del mondo, domenica prossima
vivremo una giornata particolare di preghiera e di azione di grazie in
unione al Santo Padre Giovanni Paolo II, in occasione del XXV anniversario
della sua elezione, avvenuta il 16 ottobre 1978. Per i più giovani
sembra una data lontana, per i meno giovani sembra ieri: per tutti però
questi anni si presentano come un periodo intenso e ricco, e ne sono testimonianza
i molti articoli e inserti speciali che in questi giorni si sono moltiplicati
nei diversi mezzi di informazione.
Ciascuno naturalmente coglie e sottolinea
qualche aspetto particolare di questo Papa, a dimostrazione di come egli
in questi anni abbia veramente giocato a tutto campo, con coraggio e senza
rispetto umano: è questa una delle doti che tutti gli riconoscono.
Vivere come chiesa questo anniversario
mi pare però che debba spingerci ad andare oltre i luoghi comuni
ed il genere celebrativo, per riscoprire in Giovanni Paolo II non solo
Karol Wojtila, ma Pietro, e non un Pietro generico, che non esiste, ma
il Pietro che il Signore ha voluto per questo tempo, un quarto di secolo
a cavallo del secondo e del terzo millennio. Si tratta di accogliere non
solo le provocazioni che Giovanni Paolo II ci ha offerto in abbondanza,
ma la provocazione fondamentale costituita dal suo ministero incarnato
nella sua persona e nella sua storia, come avviene per tutti i Pastori
e per tutti coloro che svolgono una missione: una parola che il Signore
dice al nostro tempo e in particolare alla chiesa di questo tempo. Accettare
questa provocazione significa allora non poter più essere selettivi
ma accettare tutto il messaggio che questa “parola” del Signore ci porta.
Certo, non ogni atto del Papa ha la stessa portata e lo stesso valore:
questo lo sanno non solo i teologi ma ogni cristiano appena un po’ informato,
non è di questo che si tratta. Al di là delle distinzioni
teologiche, codificate e sempre un po’ fredde, c’è la storia della
salvezza, che è viva e continua, ed è questa prospettiva
che ci permette di cogliere il senso globale di tutto il ministero di Giovanni
Paolo II, il filo conduttore di questi venticinque anni. Alcuni commentatori,
percependo questa prospettiva storica che il Papa ha lasciato trasparire
fin dalla sua prima enciclica Redemptor Hominis (chi se la ricorda?), hanno
parlato di “slavità” nella religiosità e nella cultura di
questo papa: si tratta invece della prospettiva biblica più autentica,
che ci porta a cercare e a vivere l’incontro con Dio anzitutto nella storia,
che è sempre storia dell’uomo e storia di Dio, dove non si può
mai essere spettatori imparziali super partes, magari talora saccenti,
ma sempre coinvolti fino in fondo. E’ la grande lezione di Giovanni Paolo
II, negli anni della vigoria fisica e negli anni forti della sofferenza.
† arrigo miglio