Finite le vacanze, quasi nove milioni
di studenti italiani fanno ritorno fra i banchi di scuola. I calendari
flessibili, e le autonomie scolastiche hanno un po' disperso le emozioni
del primo giorno di scuola eguale per tutti: tutti con lo zainetto in spalla,
sui gradini dell'edificio scolastico, pronti a scattare al suono della
fatidica campana.
Così al primo giorno, o giù
di lì, si torna a parlare di scuola, anche fra i non addetti
ai lavori. Si discute di programmi, di obiettivi, itinerari, metodologie
e valutazioni; di contenuti e di processi di apprendimento. Insomma di
ciò che la scuola significa per chi ci lavora, e per chi ci vive
una tappa fondamentale della sua vita.
La scuola comunità
Una cosa va subito richiamata alla
mente. Prima e più di un'istituzione formativa, la scuola è
un grande potenziale umano: di persone, relazioni, scambi e comunicazioni.
Un'esperienza di umanità e di comunità, e non solo un mezzo
per trasmettere nozioni, o per aiutare ad acquisire familiarità
con alcuni strumenti tecnologici. Senza nulla togliere al valore della
scuola italiana, ci permettiamo - al nastro di partenza - di richiamarne
alcuni problemi, tuttora presenti, e magari di suggerire da che parte e
in quale direzione ci attendiamo, per essi, soluzioni sensate.
Un 'vecchio' nodo
da sciogliere: il rapporto
scuola - lavoro
Due mi sembrano essere i problemi principali. Il primo - che si trascina da tempo - consiste nel divario atavico fra scuola e lavoro. Ai problemi di un tempo se ne sono aggiunti di nuovi. Oggi il mercato del lavoro è diventato terribilmente complesso e mutevole. Nessuno immagina ormai di terminare la sua carriera lavorativa con lo stesso tipo di lavoro con cui l'ha iniziata. La formazione al lavoro non può, dunque riferirsi solo alla prima occupazione (ammesso che essa corrisponda al genere di studi fatti precedentemente). Con una slogan interessante si usa dire che, a scuola, si impara ad imparare, si 'attrezza' (o si dovrebbe attrezzare) il soggetto a continuare ad imparare, muovendosi nella direzione di una formazione permanente che risulterà indispensabile, quando si troverà a doversi riciclare in professionalità nuove e talvolta inedite.
Una scuola più 'magra'
La scuola, è innegabile,
si evolve nella società in cui vive. Nelle società attuali,
in tempi di welfare sempre più ridotti o da ridursi, sembra che
l'obiettivo politico principale sia di contenere i costi. Che è
poi un bel sinonimo per dire "ridurre". Uno stato che si vuole "leggero"
è tentato di "alleggerire" la scuola, come altri servizi (leggi:
sanità), condizionandone, presto o tardi, le prestazioni a quanto
l'utenza è pronta a chiedere, e, soprattutto, disposta a sborsare
di tasca sua. Il rischio è facilmente immaginabile: che anche l'istruzione
scolastica (come la sanità) sia trasformata da bene collettivo a
merce: chi se lo può permettere… In ogni caso, al di là di
certe dichiarazioni roboanti, la scuola italiana si presenta quest'anno
più "magra": con meno classi, meno insegnanti, meno fondi per alcune
esperienze didattiche. Sono i tagli imposti dalla Finanziaria.
Scuola statale e non statale
Naturalmente sono in molti (anche
noi) a ritenere che uno stato moderno non possa abdicare al suo compito
di mantenere la centralità del servizio scolastico pubblico, come
fattore di una reale eguaglianza fra i cittadini. Una scuola 'classista'
che divide e discrimina, fin dall'inizio, fra cittadini di serie A e di
serie B, e riproduce automaticamente le differenze sociali già esistenti,
tradisce la sua vocazione irrinunciabile. Qui l'attenzione si rivolge alle
scuole professionali, esposte al rischio di fornire un'istruzione di grado
inferiore. Eguaglianza non significa, però, appiattimento su modelli
educativi rigidamente uniformi. E qui entra in gioco il pluralismo scolastico,
e l'impegno pubblico ad assicurare una reale libertà e parità
di trattamento. Oggi il valore delle differenze - anche culturali - è
più avvertito che un tempo. L'incontro e la convivenza fra le diversità
è istanza culturale pressante. In questo ambito, il riconoscimento
del valore delle scuole non statali (non c'è scuola totalmente 'privata')
si è, recentemente, arricchito di nuovi elementi, quale il bonus
accordato alle famiglie che decidono di iscrivere i figli a scuole non
statali. Il decreto Moratti-Tremonti dei giorni scorsi ha stanziato 30
milioni di euro l'anno.
Soldi tolti alle scuole statali?
Il pluralismo educativo e scolastico
non mi pare incompatibile con la centralità della scuola statale,
data anche l'entità modesta - dal punto di vista statistico - delle
scuole non statali. Quale paura, dunque, queste possono incutere all'imponente
struttura statale? A meno che riemerga, in tema di istruzione scolastica,
il vecchio pregiudizio statalista ottocentesco… Certo, è un po'
deprimente vedere contrapposti, nei dibattiti di questi tempi, i due generi
di servizi scolastici, quasi che i denari stanziati per gli uni fossero
automaticamente sottratti agli altri. Forse ci sono altri settori in cui
si potrebbero ravvisare sprechi, e operare tagli, e altri generi
di privatizzazioni su cui varrebbe la pena esercitare una più attenta
vigilanza.
C'è di più. Le norme
sull'autonomia scolastica hanno acceso (o favorito) una certa competizione
fra differenti istituti statali. Perché non consentire anche a quelli
non statali di parteciparvi? A fugare pregiudizi (che il bonus sia un regalo
a chi non se lo merita) e diffidenze, è necessario, a nostro avviso,
che esso sia sottoposto a due condizioni: il controllo statale sulla qualità
didattica delle private (fatta salva la libertà di orientamento
pedagogico) e l'istituzione di un tetto di reddito per le famiglie che
ne fruiscono. Sarebbe buffo che a beneficiarne fossero i figli di Berlusconi
(o di altri Paperoni in circolazione) iscritti alle private…!
Le riforme proclamate
In questi anni vari tentativi di
riforma sono stati, di volta in volta, annunciati, proclamati: da quella
di Berlinguer a quella della Moratti, passando per quella di Di Mauro…
Schieramenti politici opposti si
sono cimentati nel far passare i propri progetti di riforma. Ma si può
dire che questi siano stati il frutto di una consultazione e di un confronto
veramente seri ed allargati fra tutti i soggetti della scuola (docenti,
studenti, famiglie…)? L'impressione che se n'è ricavata è
opposta: che si sia trattato (e si tratti tuttora) di progetti e leggi
calate dall'alto, dalla maggioranza di turno.
Sempre in questa nostra impressione
c'è il fatto che l'unico interlocutore 'ufficiale' della scuola
sembra essere il potere politico, stante una certa perdurante impermeabilità
fra scuola e società, e la conseguente difficoltà a far realmente
interagire i due. Naturalmente ci auguriamo di esserci sbagliati e di venire
presto smentiti, tanta è la stima che nutriamo per chi ci lavora,
e per chi la frequenta.
E noi?
Lo scorso anno anche il Risveglio
ha aperto una rubrica "Scuola e cultura". Vorremmo tenere aperta quella
'finestra', ospitando non solo cronache di eventi che riguardano il mondo
scuola, ma anche riflessioni, testimonianze, proposte. Sia da parte di
docenti, e operatori scolastici, sia da parte degli studenti che comunque
vi vivono una bella stagione della loro vita. Chi vorrà darci una
mano…
d.p.a.