IVREA - La lastra tombale, murata
nella controfacciata del duomo d’Ivrea, conserva l’effigie del vescovo
Giovanni dei conti di San Martino di Parella, morto nel 1479. Severa, sacrale
è la figura giacente in pietra, ora messa verticalmente, quando
in origine era una lapide terragna, per cui ci è giunta molto abrasa.
Segni distintivi in essa sono: la
mitria, ornata da incisioni finissime; il pastorale dall’elegante riccio
che si dispone di traverso sul corpo in vesti liturgiche, ossia in tunica
e piviale fermato da un fiore, con scollo scavato profondamente per dare
volume alla scultura; e le mani inanellate, l’una sopra l’altra.
Il disegno del volto, sull’ampio
cuscino con nappe, è ombreggiato dalla sporgenza della mitria, ricca
di decori; e denuncia uno stato di conservazione non buono (rotti sono
naso e orecchie).
Staccato dal resto del monumento
funebre, in alto, come pezzo isolato, viene a collocarsi lo stemma vescovile.
“Hic iacet antistes olim gratissim
urbi sancti martini comitum joannes” - dice l’iscrizione che riporta i
dati esistenziali: Giovanni ha governato per 42 anni la Chiesa d’Ivrea,
morendo il 7 aprile 1479, dopo aver vissuto per 82 anni.
Il nepotismo può considerarsi
una componente essenziale del suo lungo episcopato teso a ridare ordine
e norma alla diocesi: i suoi molti nipoti, infatti, svolgendo ruoli diversi,
laici ed ecclesiastici, hanno sempre sostenuto con coerenza il suo agire.
La tendenza al presenzialismo
costituì un altro lato del suo carattere, come in occasione dell’apertura
del cantiere di S. Bernardino, un convento fuori porta per i francescani
riformati dell’Osservanza, voluto dalla Città, di cui benedisse
la posa della prima pietra (14 settembre 1455); e, poi, lo consacrò,
insieme all’attiguo cimitero (3 febbraio 1457).
Dal lato artistico, è stato
il committente degli stalli del coro ligneo per il duomo, affidati all’équipe
milanese di Giacomo del Maino (1467/70): un’opera purtroppo demolita nel
tardo Settecento.
La serie superstite di pannelli
in noce, conservata presso il Museo Civico di Torino, presenta il dossale
scolpito con grandi piante abitate da vari animali. Soggetti biblici erano
riservati ai tramezzi: dalla creazione d’Adamo ed Eva all’arca di Noè.
Siamo di fronte a dei frammenti
tra il naturalistico e il fantastico, ancora secondo i dettami dei “tacuina
sanitatis” lombardi, ma con una maggiore vitalità dovuta all’intaglio:
con il nocciòlo compare la scimmia; con la rosa, la vipera; con
la vite, l’”homo selvaticus” abbracciato ad un orso.
Intorno al 1464, si colloca la costruzione
della nuova sacrestia, con annessa una libreria. Nel testamento, redatto
il 30 marzo 1479, grande spazio è dedicato al lascito degli incunaboli
a favore del capitolo dei canonici, con la particolarità del “Breviario”
legato, vicino all’altare, ad una catena di ferro.
Giovanni di Parella, vescovo d’Ivrea,
ha partecipato in giovinezza al formarsi al nord della corrente che si
potrebbe definire dell’ “umanesimo cristiano”, a ciò spinto dall’incontro
a Basilea con Enea Silvio Piccolomini, al momento dell’elezione, per motivi
politici, dell’antipapa Felice V, primo duca di Savoia, con il nome di
Amedeo VIII.
L’amore per i libri l’ha portato,
quindi, a costituire nel tempo, attraverso continui acquisti di numerose
opere a stampa, com’è registrato in modo dettagliato nel testamento,
una biblioteca importante che, nell’ora della morte, ha lasciato in dote
al clero eporediese. Anche questa raccolta è andata in gran parte
dispersa, seguendo il destino dei suoi resti mortali.
aldo moretto