Le guerre, si sa, si succedono alle
guerre. Come tanti altri eventi. Le più recenti occupano il centro
della scena e oscurano le precedenti, contribuendo così a consegnarle
all’oblio generale. Così è stato, mi sembra, della guerra
in Afghanistan, presto seppellita sotto il peso d’altri eventi bellici,
quali i fatti accaduti in Iraq e in Medio Oriente. D’altro canto, ogni
guerra - anche se la fase “guerreggiata” può considerarsi conclusa
- lascia dietro di sé scenari drammatici di desolazione e di morte:
servizi essenziali da ricostruire, eredità di violenze e di risentimenti,
ferite difficili a rimarginarsi. Insomma una guerra, quando mai può
considerarsi veramente finita...?
Da qualche tempo abbiamo fra le
mani il testo di un “diario” scritto, nei mesi passati, da un giovane medico
torinese di origini canavesane, Marco Cafferati, in servizio volontario,
a Kabul, presso Emergency, l’organizzazione di Gino Strada. Pagine fresche
e immediate, dove le diagnosi si mescolano alle descrizioni, un’originale
diario del “dopo guerra” afgano, giuntoci via e-mail. Lo sguardo è
quello del medico chirurgo - è il caso di dire, in trincea - ma
il panorama che ci viene offerto della situazione afgana valica ovviamente
i confini dell’ “ospedale con il giardino fiorito”. Siamo grati a Marco
della testimonianza che ci offre nel documento di cui pubblicheremo alcuni
stralci, in alcune “terze pagine” (e lo preghiamo di scusarci per i tagli...).
Anche questo può aiutare
a tenere viva la memoria di una guerra (o di un dopoguerra) dimenticato.
E anche apprezzato l’opera di chi è rimasto “sul campo”, non senza
gravi sacrifici. In particolare degli uomini e delle donne di Emergency.
d.p.a.
Il massimo c’è stato venerdì
pomeriggio, cioè durante la loro domenica. Dalle 15 alle 19 del
pomeriggio sono arrivati ben 20 pazienti. Di questi 10 sono stati portati
in sala operatoria. Non finivano più, alla fine non sapevamo più
se ridere o piangere... Le cause dell’intervento chirurgico erano le più
diverse e pazzesche. Tra queste ben due fratturacce del cranio con esposizione
del cervello (col cervello all’esterno non ne avevo ancora viste in 46
giorni, oggi ben due!). Una delle due persone l’ho operata io, era un uomo
colpito da una pallottola entrata e uscita dalla testa. Poi sono arrivati
ben 4 bambini tra i 6 e i 10 anni coinvolti dal solito scoppio di una mina.
Uno aveva la perforazione del torace con relativo pneumotorace. Un altro
era stato colpito all’ano e al retto e così gli abbiamo fatto un
ano artificiale. Un altro è stato ferito ai genitali e ha perso
una mano, l’ultimo per fortuna solo ferite sparse nel corpo. Poi moltissimi
incidenti stradali che, come già detto qui sono devastanti. Tra
questi un uomo è arrivato agonizzante, è stato rianimato
ma è morto mezz’ora dopo, un’ auto gli era passata sul bacino, praticamente
glielo aveva letteralmente aperto internamente. Tre donne avevano mostruose
ferite di 15-20 cm. al cuoio capelluto. Un ragazzo ha riportato una frattura
con lussazione di spalla. Infine per ultimo è arrivato un uomo a
cui un asino aveva morso il piede portandogliene via la metà. Noi
tre chirurghi italiani siamo finalmente rientrati a casa un po’ rinco alle
22 con ancora le cene da fare e, soprattutto con negli occhi le incredibili
visioni dei pazienti operati. Abbiamo chiacchierato tra noi su questa nostra
“avventura” a Kabul. Notavamo che, se non si ha un bel po’ di equilibrio
mentale e psicologico, questo vivere a contatto con i disastri di altri
esseri umani può essere destabilizzante. Certamente è difficile
resistere più di cinque mesi, tre sarebbero decisamente meglio sopportati.
Anche il fatto di essere sempre
o a casa o in ospedale, e perciò di non avere praticamente altre
“distrazioni” di qualsiasi genere (amici, persone, luoghi da andare a vedere,
locali...) rende veramente difficile il riuscire a “staccare la spina”
e a recuperare un po’ di quel “mondo normale” di cui abbiamo bisogno. Gli
unici contatti con il mondo delle “persone sane” sono rappresentati dalle
e-mail che attendiamo con ansia e dalle telefonate che riceviamo. Non siamo
riusciti neanche a vedere le partite della Juve contro il Real Madrid!
22 maggio
E’ un peccato che io non abbia una
telecamera. Avrei voluto riprendere le aiuole e i giardini del nostro ospedale.
Ora che la stagione è in fiore sono bellissimi, certe zone ricordano
quasi un giardino botanico. Abbiamo moltissime rose: gialle, bianche, rosse,
rosa. Tantissimi gerani rossi. Poi altri colorati fiori che non conosco.
Persino un fico che sta maturando centinaia di frutti. Cercherò
di mandarvi una foto. Questo ospedale è veramente tenuto benissimo.
Penso che sia l’ospedale più verniciato al mondo, infatti
ci sono sempre degli operai che stuccano o riverniciano, ovunque. Si tenta
di mantenere degli ottimi livelli di pulizia, per esempio periodicamente
le corsie di degenza vengono completamente svuotate, si portano fuori al
sole letti e materassi e la corsia viene lavata. Mi viene così da
riflettere sui nostri ospedali italiani così raramente accoglienti
e puliti. Come è possibile che con i poveri mezzi dell’Afghanistan
qua si sia riusciti ad avere aiuole, giardini, fiori, giochi per bambini,
panchine? Misteri della burocrazia e del progresso...
Ora il caso di due bambini, fratello
e sorella di circa 6 anni che, coinvolti dallo scoppio di una mina in modo
per fortuna non gravissimo, hanno fatto due giorni di viaggio dalla provincia
al confine con la Cina per venire all’ospedale di Emergency. Il buffo è
stato che arrivati in ospedale con il papà erano spaventatissimi
perché non avevano mai visto una macchina, la città, i medici
col camice. Inoltre parlano una lingua diversa per cui non potevano capire
nessuno. All’inizio avevano infatti fatto il viaggio su un carro trainato
da cavalli e solo alla periferia di Kabul sono saliti sull’immancabile
taxi che li ha portati in ospedale. Ma quando si è trattato di portarli
nel bagno dove laviamo i pazienti (non vi dico quanto erano sporchi) hanno
iniziato a urlare difendendosi l’uno con l’altra perché non volevano
assolutamente togliersi i vestiti. La cultura afgana è estremamente
severa nel difendere le “intimità” del corpo, così probabilmente
i due bimbi non erano mai stati completamente nudi. A un certo punto il
fratellino è riuscito a prendere un paio di forbici che usiamo per
tagliare i vestiti, e urlando si è stretto alla sorellina minacciandoci
per la paura di essere toccato. Solo con l’arrivo del padre la situazione
è tornata sotto controllo.
Infine il fattaccio di ieri. Come
avrete forse saputo dai giornali, i soldati di guardia all’ambasciata americana
hanno ucciso “per sbaglio” tre afgani dipendenti del ministero della sicurezza
e ferito un quarto. Ovviamente quest’ultimo è stato portato nel
nostro ospedale. E altrettanto ovviamente è iniziata una processione
di mujaddhin, generali e ministri che volevano entrare in ospedale per
vedere e sapere del ferito. Naturalmente pochissimi hanno potuto farlo.
Per evitare casini abbiamo dimesso questa mattina l’afgano ferito. Cosa
buffa e molto sospetta, sempre questa mattina, due americani dell’ambasciata
sono venuti al cancello d’entrata per “donarci” un paio di scatoloni di
garze sterili (mai visti prima doni dagli americani!), poi ci hanno detto
che desideravano entrare per visitare alcune persone...
Speriamo solo che tutto finisca
qui.