C'era tutta l'Ivrea che 'conta' alla
liturgia di San Savino, celebrata in una Cattedrale gremita, lo scorso
lunedì. Un appuntamento - la processione con le reliquie del Santo,
e, poi, la concelebrazione eucaristica - in cui devozione popolare e folklore
sono strettamente intrecciati. Se, un tempo, era la devozione e la
religiosità popolare a trascinare dietro a sé e a suscitare
l'elaborazione di simboli e di prassi che chiameremmo folcloristici, l'Ivrea
laica, secolarizzata e pluralistica di oggi, quella dalle "molte anime"
(per dirla con il sindaco Grijuela), sembra domandare ancora a simboli
religiosi del passato l'occasione per ritrovarsi, per rappresentare la
sua cittadinanza integrale e originale, per posare per la rituale "foto
di gruppo". La devozione di un Santo come motivo di recupero di identità
civile, e non primariamente religiosa, dentro ad una religiosità
e ad una ritualità sempre più orientata in senso 'laico'.
Mi veniva da distrarmi a pensare a queste cose, durante la liturgia in
duomo, vedendo carabinieri, agenti di polizia di stato e vigili urbani,
e non chierichetti o ministranti, montare la guardia all'urna barocca,
contenente le reliquie del Santo Patrono. Anche l'omelia del Vescovo mi
è parsa calibrata su questo contesto, in cui i confini di un'assemblea
credente ed orante erano 'sfumati' ad accogliere persone presumibilmente
interessate ad altri simbolismi e ad altre ritualità.
Mons. Miglio ha ricordato che le
reliquie di San Savino non approdarono ad Ivrea per motivi solo di fede.
C'erano in gioco gli interessi e le operazioni dei "potentati" del tempo.
Ma l'accoglienza di un Santo, più volte riconfermata nel corso del
tempo - se non è incosciente - implica il misurarsi con quella figura:
quella di un martire scomodo per l'istituzione pubblica del tempo. San
Savino, ha affermato il Vescovo, "non è morto per difendere una
religione, o un'etica, o una ‘giusta causa’: ma per il legame che l'univa
all'altro 'martire', Gesù, l'ebreo palestinese, morto in croce tre
secoli prima". Come ai tempi delle persecuzioni, Gesù è ancora
capace, oggi, di "coinvolgere, inquietare, disturbare, intrigare". Non
è un 'morto' del passato, ma il Vivente.
Il primo messaggio di San Savino
rimanda, dunque, al "problema Gesù": davanti al quale ci troviamo
- credenti ed anche persone (non credenti) intellettualmente oneste - per
un confronto esigente ed imprevedibile: con la sua terra (il Vescovo ha
ricordato, a questo punto, il gemellaggio con il villaggio palestinese
di Beit Ommar ), la sua parola, e le persone che Lui ha amato di più:
"bambini, donne da lapidare o vedove sole e disprezzate, poveri di ogni
tipo, personaggi mal visti o ambigui...".
Il Santo Patrono non è, dunque,
soltanto garanzia di un aiuto dal cielo, o simbolo intorno a cui raccogliersi
per fare festa, ma "figura che indica dei criteri per delle scelte, e degli
orientamenti per la vita". In realtà i 'criteri' ci vengono dal
Signore Gesù, in nome del quale Savino ha sacrificato la sua vita.
piero agrano