IVREA - LE RIFLESSIONI E L’INVITO
DEL VESCOVO MONS. ARRIGO MIGLIO Pasqua: perdonare,
liberare Prepararsi a questo tempo
Ci prepariamo a celebrare la Pasqua,
e “fare Pasqua” è l’espressione tradizionale con cui si indicavano,
o in molti luoghi ancora si indicano, la Confessione e la Comunione pasquale.
In questo periodo sono più frequenti le celebrazioni comunitarie
della Riconciliazione, che potranno molto opportunamente essere ripetute
durante tutto il tempo pasquale, specialmente in preparazione alla Cresima
e alla Prima Comunione.
Un’altra espressione tradizionale
per esprimere la Confessione e la Comunione di Pasqua è quella del
precetto pasquale, modo di esprimersi oggi meno frequente, anche perché
rischia di sottolineare eccessivamente la dimensione dell’obbligo da assolvere
per poi non pensarci più fino al prossimo anno. Potremmo forse dire
che abbiamo bisogno di compiere un passaggio dal precetto alla gioia del
perdono, passaggio spesso compiuto solo a metà, nel senso che molti
si sono liberati dal senso di obbligo che il precetto richiamava senza
però aver trovato la gioia del perdono. Se di peccato si può
ancora parlare, questo riguarda caso mai soprattutto i pastori, in quanto
ricorda loro il dovere urgente di annunciare e di indicare la via dell’incontro
con il Signore Gesù morto e risorto, che ci offre il suo perdono
così come lo ha offerto a Pietro, l’apostolo che ha ricevuto il
potere di legare e di sciogliere, cioè di perdonare e liberare,
perché lui per primo è stato perdonato e liberato. Solo chi
ha sperimentato la gioia del perdono ricevuto può diventare strumento
di perdono.
In realtà oggi è urgente
rendersi conto che alcune parole scorrono via senza lasciare traccia nel
nostro animo e rischiano di non dire più nulla: parole come peccato,
perdono, conversione, riconciliazione, penitenza, ecc. sembrano aver a
che fare più con dei riti che con la nostra vita.
Abbiamo bisogno di riscoprire che
queste parole ci aiutano ad andare alla radice di altre parole pesanti,
come stress, noia, tristezza, solitudine, chiusura, egoismo, violenza.
Abbiamo bisogno soprattutto di cogliere la differenza fondamentale che
intercorre tra il perdono dato dagli uomini e quello che viene da Dio attraverso
Gesù crocifisso e risorto: il primo può rimuovere, coprire,
provare a dimenticare; il secondo scava in profondità e trasforma,
chiede un cambiamento di vita ed offre la forza per attuarlo. Ci chiede
soprattutto di cambiare l’orientamento generale della nostra vita, riscoprendo
il posto che Dio ha nel nostro progetto di felicità, un posto centrale
la cui difesa è affidata ai primi tre comandamenti del Decalogo
biblico, alla cui luce prendono significato anche i sette restanti.
Nel sacramento della Penitenza siamo
perdonati uno per uno, una vera effusione dello Spirito Santo attraverso
il gesto dell’imposizione delle mani, come avviene per gli altri Sacramenti.
Il perdono che Gesù crocifisso
e risorto ci offre, nel sacramento della Riconcilia-zione e negli altri
momenti penitenziali che la tradizione della Chiesa ci presenta, non è
destinato e non può restare chiuso in noi stessi, a livello individuale:
chiede di uscire e di entrarci nei nostri progetti di giustizia e di pace:
non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono,
ci ricorda Giovanni Paolo II.
Non si tratta di uno slogan coniato
per l’occasione. Sono parole che tanti anni fa ispirarono l’arcivescovo
di Cracovia Karol Wojtyla a farsi promotore di un incontro di riconciliazione
tra la chiesa polacca e quella tedesca, dopo le ferite dei tempi della
seconda guerra mondiale, e quel gesto ebbe risonanze ed effetti profondi
per gli avvenimenti che segnarono gli anni seguenti in Europa. Sono parole
che restano fondamentali oggi, non solo per la guerra di Bush e di Saddam
Hussein ma soprattutto per i progetti che seguiranno a questa guerra mai
abbastanza deprecata.