Fra le immagini della guerra irachena
degne di essere passate ai posteri c'è, senza dubbio, quella delle
due bandiere, l'americana e la irachena, che il caporale marine Chin ha
schiaffato, l'altro ieri, sul muso del dittatore Saddam, poco prima che
l'imponente simulacro fosse abbattuto e fatto a pezzi, in Piazza Paradiso
(ah, ironia del nome!). Segno di vergogna (ci si copre la faccia per la
vergogna) o di sfida (ecco che cosa ti butto in faccia, Saddam, i simboli
che ti sono ostili!)? Eppure l'euforia della vittoria, ormai a portata
di mano, non può far dimenticare - nemmeno ai più accesi
filoamericani nostrani, per i quali la vittoria degli USA è più
importante della pace - gli orrori di una guerra, mai così mediatica,
eppure così sconosciuta: i morti, i feriti, i quartieri sventrati,
le distruzioni, la struttura economico-sociale collassata...
Nel momento in cui la guerra entra
nella fase conclusiva ed il regime di Baghdad cade a pezzi (ma sarà
poi vero?), l'interesse dei media è sempre più concentrato
sul dopo-guerra ed il dopo-Saddam. Esercizio interessante di immaginazione
su quale sarà l'assetto futuro dell'Iraq e dell'intera area mediorientale,
date le varie incognite che ancora rimangono. Poiché la pace, a
questo punto, appare più difficile della guerra. E potrebbe valere
anche per la coalizione anglo-americana quanto il Patriarca Sabbah affermava
ad Ivrea, a proposito degli Israeliani: "hanno vinto tutte le guerre, ma
non hanno vinto la pace!". Già, "vincere la pace". Tutti sanno che
non sarà un'impresa facile, per la difficoltà a conciliare
interessi e spinte divergenti, se non contrapposti. Da un lato, i "diritti
dei vincitori" (dall'utilizzo dei giacimenti petroliferi, al ridisegno
dell'intera area secondo gli interessi strategici degli Usa e di Israele),
dall'altro, l'esigenza di far intervenire, almeno tardivamente, la comunità
internazionale e la sua espressione più qualificata - ancorché
assai azzoppata - l'ONU. Le schermaglie fra Bush e Blair in Irlanda lasciano
intuire quanto sia fondato il sospetto (o almeno il rischio) che l'ONU
sia, ancora una volta, relegata a ruoli marginali, di dichiarazione
di principi o di organizzazione degli interventi umanitari per le prime
necessità.
E non meno preoccupante è
la designazione, da parte dell'amministrazione americana, a capo dell'OHRA,
l'agenzia della Difesa incaricata della ricostruzione del paese, del Generale
Jay Garner, veterano del Viet-Nam e presidente di una fabbrica produttrice
di missili, un uomo fortemente legato alla lobby degli armamenti. Un uomo
di guerra, per una delicata missione di pace.
piero agrano