IVREA - Fra i cultori più
appassionati e competenti del piemontese, figura senza dubbio il prof.
Dario Pasero. Torinese di nascita e canavesano di adozione, docente di
lingue e letterature classiche al Liceo "Botta" di Ivrea, tiene corsi e
anima iniziative di vario genere, mirate alla valorizzazione della lingua
piemontese (guai a parlargli, impropriamente, di "dialetto piemontese"!).
Gli studi e gli interessi di Pasero, in materia, risalgono agli anni Ottanta,
allorché si dedicò a traduzioni (nientemeno!) di lirici greci
nella nostra lingua regionale.
Pasero, perché è importante
salvare il piemontese?, gli domando nell'intervista che mi concede nella
biblioteca del "Botta".
E' un impegno che vale per ogni
lingua cosiddetta minore. Naturalmente io mi occupo di ciò che ho
più vicino. E' la lingua dei nostri antenati, un patrimonio non
solo di conoscenze, ma morale, di vita. Purtroppo è persino facile
ipotizzare una 'sconfitta' delle piccole lingue. In futuro, potrebbe toccare
all'italiano, nei confronti dell'inglese. Ma io amo le battaglie ideali,
anche se l'esito può essere la sconfitta.
Quali rapporti vedi fra piemontese letterario e piemontese parlato?
C'è un rapporto di interazione
e di influenza reciproca. Anzi dovrebbe instaurarsi un rapporto più
frequente fra scrittori e parlanti. Purtroppo ci troviamo a constatare
una diffusa 'refrattarietà' del 'grosso pubblico' nei confronti
della dimensione letteraria. Il mio auspicio è che ci si accosti
con umiltà al piemontese letterario, sì da favorire un'osmosi
fra i due, i 'letterati' e i 'parlanti comuni'.
E' possibile registrare un
interesse crescente alla riscoperta del piemontese?
Sì, è così:
sia per coloro (ed è il gruppo maggiore) che intendono riscoprire
il piemontese, arricchendone la conoscenza, sia per coloro che vi si accostano
per la prima volta. Persiste, al contrario, un certo "zoccolo duro" degli
'antipiemontesisti' che considerano il ricorso alla parlata locale una
"diminutio", un segno di abbassamento.
Che cosa fare, allora?
Occorre un'ecologia linguistica,
un atteggiamento analogo a quello messo in atto nella difesa delle specie
viventi in via d'estinzione. Dobbiamo attivarci anche quando a rischiare
l'estinzione sono patrimoni di civiltà, racchiusi anche in un bagaglio
linguistico.
La valorizzazione della cultura
piemontese incomincia, mi ricorda ancora Pasero, dal superamento della
sua banalizzazione, dall'evitare di abbinarla sempre solo a momenti ludici
e dopolavoristici. Un impegno attuale no global può prendere la
forma anche di una rivendicazione della dignità e del valore di
patrimoni altrimenti destinati ad essere risucchiati in un universo globalizzato.
"Il mio impegno no global - mi racconta Pasero - è consistito nell'insegnare
il piemontese ai miei figli!".
d.p.a.
Rina ‘d Giorgio, la poesia di Cerone
Fra i cultori della poesia in piemontese,
si è ritagliata uno spazio di un certo rilievo Caterina Menaldino
Robino, Rina ‘d Giorgio, nome con cui è a tutti nota e con cui firma
abitualmente le sue poesie. Rina ‘d Giorgio è nata a Cerone di Strambino;
divide il suo tempo fra Cerone e Ivrea. E’ stata, in passato, collaboratrice
del “Risveglio” (il primo articolo, mi ricorda, fu la cronaca di un furto
di una bicicletta!). Più che i concorsi “scritti”, Rina ama la partecipazione
diretta, ad immediato contatto con il pubblico, davanti al quale declama
i suoi versi.
Una vena poetica semplice e spontanea,
la sua, cui non manca l’ironia (e l’autoironia, il che non guasta in tempo
di diffusa supponenza), l’immagine icastica e spesso originale; dove lo
spunto satirico è sempre mitigato da uno sguardo carico di benevolenza.
L’attitudine a scrivere in versi
risale alla prima adolescenza di Rina, a tredici anni. Da allora la vena
poetica non si è mai inaridita. Come scrive P. Cresto, nella prefazione
al volume “Aria dij neuss pais”, curato dal Comune di Burolo, “Rina non
scrive, ma dipinge”, con un’inusuale capacità di osservazione dei
dettagli; mette a confronto passato e presente, denunciando certi sconcertanti
cambiamenti avvenuti, con l’immancabile pizzico di bonaria ironia e di
saggezza concreta e popolare, da cui fa scaturire per i lettori una “lezione”
tanto inattesa quanto facilmente condivisibile.
Rina non scrive in un “generico”
piemontese, ma in ceronese, senza nulla trascurare delle caratteristiche
idiomatiche di quella parlata (questo aprirebbe un capitolo ulteriore sulla
forma/forme scritte del dialetto piemontese e sulle differenze riscontrabili
nelle numerose varianti).
Una scelta, quella della poesia
dialettale, nello stesso tempo istintiva e convinta. Non a caso una delle
sue composizioni ha un titolo programmatico: “Salvoma al dialat”.
Al Risveglio e al suo direttore,
con cui ha scambiato quattro chiacchiere, ha fatto dono, per l’occasione,
di una poesia inedita. Di grande attualità. Ne forniamo, per i non
piemontesi (e non solo loro), la traduzione in lingua italiana.