Fu dopo la festività di Ognissanti
che un mattino madame Thérèse Marianin Blanchérèt
non fece la consueta comparsa in cucina. Dopo la figlia, che accendeva
il fuoco e le approntava la caffettiera appoggiandola sull'estremità
tiepida della stufa, era ancora "La Granda"1 - con i suoi ottantacinque
anni ben portà2 - ad approntare scodelle e cucchiai per la
colazione di tutta la famiglia. Tale incombenza La Granda la terminava
ben prima che la figlia Rosy e il genero Ermete Ambois rientrassero da
'monzer e sigrir'3 . In quella casa rurale dove ritmi e abitudini erano
scanditi con quelli della campagna, quel giorno l'assenza della Marianin
dal potagé4 fu accolta con incredulità: un fatto insolito
in famiglia sulla cui ruota della quotidianità tutti ed ognuno avevano
un ruolo. Marianin o Thérèse, insomma la Granda se preferite,
si ammalò così, inaspettatamente.
Per Thérèse le giornate
di serenità si alternavano ad altre, dove solo le attenzioni e la
vicinanza dei famigliari riuscivano, almeno in parte, ad alleviare il malessere
che l'affliggeva. Compatibilmente con gli impegni nel podere - a fine autunno
non particolarmente gravosi - al capezzale della Marianin si alternarono
un po' tutti: la figlia Rosy o Rosin, la nipote dodicenne Rita e anche
Stefano di poco maggiore. Per quest'ultimo nipote che nel nome le ricordava
quello del marito, la nonna aveva una vera predilezione; quel loro legame
di affettività fatto di tutto il comprensibile quanto dell'incomprensibile,
era, forse, più dovuto alla bellezza dell'inspiegabile che non a
quell'insieme di disquisizioni e accademismi con cui si fa audience oggidì.
Fu con Stefano che una sera la nonna
rievocò le sue montagne, la sua Vallée. Aveva, quel suo rievocare,
l'incanto della magia. Dalle labbra sottili, dietro le quali con la solita
riservatezza e senso estetico occultava l'ultimo premolare corroso dal
tempo, al ricordo di una delle loro ultime bravate di cui erano peraltro
famosi in borgata, dal suo viso comparve un sorriso; un sorriso astuto
quanto compiacente che le rasserenò il volto. Fu una rievocazione
stentata che, come rivelò successivamente Stefano, accadde all'insaputa
dei famigliari qualche tempo prima.
Che l'esile Marianin fosse una donna
intelligente, di carattere e determinazione lo sapevano tutti in borgata.
Tuttavia, pur con tutte quelle grandi cose che la resero personaggio, in
lei albergò sempre il cruccio di non avere imparato a nuotare; fatto
da tutti considerato di poco conto, ma non da lei - una Blanchérèt
- che diamine!
Rientrata dal giro serale dle poste5
Rita, la nipote, entrò nella camera della Granda per dare il cambio
al fratello. Lo trovò addormentato con il capo appoggiato sul letto,
la mano sinistra a penzoloni e la destra tra le mani della nonna. Quest'ultima,
con un sorriso fievole come il suo respiro, dischiuse gli occhi e li volse
verso la figura della nipote. Lentamente si guardò attorno. Lo sguardo
si posò sullo specchio, si abbassò sul catino con brocca
in porcellana posto nell'angolo accanto alla finestra. Successivamente
lo sguardo s'indirizzò sul comò, proprio di fronte; si soffermò
su di una vecchia foto del marito in divisa militare, scansò quell'insieme
di cianfrusaglie e volse lo sguardo sulla parte restante del comò.
Vi ritrovò le solite cose: la lampada a petrolio, un porta ritratto
in argento, le foto dei nipoti e qua e là, un po' “a rabel”6, cose
di poco conto. Volse poi lo sguardo a sinistra, verso il guardaroba sul
cui ripiano superiore trovava rifugio, da anni ormai, qualche vecchia foto,
la polizza di Assicurazione Incendi della ‘Toro' e le carte di famiglia.
A destra, una sedia e sul comodino una caraffa, un bicchiere d'acqua mezzo
pieno e l'immancabile scatoletta dei ‘sanateur'7. Sulla parete, alle
spalle di madame Blanchérèt, il crocifisso ed appeso ad esso,
il rosario della sua prima comunione. Intanto, quello sguardo soffuso di
soavità e luminosità in procinto a spegnersi, lo volse verso
la figlia Rosa nel frattempo sopraggiunta. La singhiozzante Rita capì:
il momento del commiato con la nonna era prossimo. Qualche attimo dopo,
con la mano dell'addormentato Stefano ancora nella sua, con un sospiro
lieve come un sogno in una volta stellata, madame Blanchérèt
bussò alla porta di ‘Pietro il Santo'.
La salma fu composta nello stesso
letto in ferro in cui madame Thérèse Blanchérèt
spirò. Come allora usava, arrivarono le amiche della defunta ad
occuparsi di quegli aspetti attinenti alla preparazione della salma. Il
giorno dopo, fu un'amica di famiglia - impiegata in comune - ad occuparsi
di quegli obblighi procedurali attinenti al decesso dla Granda. Fatto sta
che al podere 'dla Rosin-a la morte di Marianin fu di tale portata che,
come sempre accade in campagna, finanche gli animali ne percepirono l'eco.
Silenziose le mucche nella stalla come lo erano le galline nel pollaio;
attorniato dai micini di Micia, nell'aia dietro casa era Lampo con quelle
sue insolite alternanze di guaiti ad esprimere, quasi fossero giaculatorie,
la sua partecipazione. Micia, la decana della dinastia dei Miceti, pure
lei si associò a quell'andirivieni di villici che di quando in quando
venivano ad offrire ai d'Ambois e ai Blanchérèt le loro condoglianze.
A porgere il cordoglio della borgata, arrivò anche don Aristide.
Alle parole che non furono solo di circostanza, il sacerdote fece seguire
il "Requiem aetérnam dona eis Dòmine, et lux
perpétua lùceat eis" per finire poi con il "De Profundis".
Prima di andarsene, si accordò con i famigliari della defunta per
la 'corun-a'8 che sarebbe stata recitata dopo cena.
Poco prima delle ventuno arrivò
don Aristide. Dopo qualche episodico flashback ammantato di humor e di
tenerezza attinenti alla figura della Blanchérèt - il reverendo
si portò nella capace cucina e poco dopo iniziò la corun-a.
Alla recitazione del rosario parteciparono soprattutto le donne. Gli uomini,
per una supposta seppur imbarazzata sufficienza congrua con il loro modo
d'essere, si autoesclusero e si appartarono nel tinello accanto al cucinone.
Così, a quell'infinita serie
di Ave Marie, di Sante Marie, di Ora Pro Nobis e di Gloria che anticipavano
quei misteri più dolorosi che gaudiosi che avevano comunque il sapore
di un corale arrivederci, si arrivò a quell'altra serie di Virgo
Clemens e Virgo Fidelis per finire, tra un colpo di tosse e l'altro, al
De Profundis Clamavi ad te Domine. Dopo un'ulteriore serie di condoglianze
rivolte soprattutto alla signora Rosa, i convenuti sfollarono. Alla 'veglia'
della salma oltre alla figlia Rosa, parteciparono il Gioanin dla Pin-a,
la stessa Pina e le due amiche della defunta, Margherita e Lucia.
Nel pomeriggio del giorno dopo,
quell'andirivieni del giorno prima s'intensificò e proseguì
sino a sera. Arrivarono anche i nipoti dalla Vallé e quell'altra
figlia della defunta, tale Lucy Blanchérèt e da Milano, Lella
Ambois, la maggiore delle nipoti.
Come in altre simili circostanze,
anche in questa fu il Gioanin dla Pin-a a 'sigrir'9 per qualche giorno
la stalla degli Ambois. Sul modo di accudire del Gioanin vi fu sempre,
da parte delle varie Carin-e, Mòre , Biunde e Robbie, la massima
collaborazione e verso le sue inadeguatezze, comprensione. Un giorno, interpellato
sull'argomento 'collaborazione', il Gioanin dla Pin-a convenne asserendo
che "ala fin le bestie a san comportesse mej che ij cristian"10 ; detto
da lui, c'era da crederci.
Il giorno del funerale, già
un'ora prima che questo iniziasse, il cortile di fronte alla casa mezzadrile
si affollò come mai lo avevano visto in altre occasioni. Arrivò
anche lo strassé per prendersi, a 'vintedoi sòld l'un-a'11
, le due pelli di coniglio promessegli da Stefano tre settimane prima.
Bofonchiò le sue condoglianze e se ne andò: sarebbe ripassato
la settimana dopo.
Con l'arrivo di don Aristide, il
feretro fu portato nel cortile di fronte all'ingresso principale e posto
su quattro sedie precedentemente disposte per la bisogna. Poco prima della
quattordici, trainato da due cavalli, arrivò il carro funebre il
quale senza fretta, si portò all'ingresso del podere. Iniziarono
le orazioni. A queste concluse, con la sistemazione del feretro nel carro
funebre, dietro a questo si formò il corteo il quale, dopo qualche
incertezza iniziale, s'incamminò sino ad inserirsi, poco prima della
stradina adducente alla cascina del Gioanin dla Pin-a, nella via principale.
Fu da questo punto che il corteo funebre si dispose secondo costume: il
crocifisso con il chierichetto in testa, poi, disposte ai lati della strada
e recitanti il rosario e riconoscibili dai loro foulard bianchi, le Figlie
di Maria. Frammiste a queste, le donne di alcune confraternite religiose
Valdostane; infine, tra queste e il carro funebre, don Aristide. Dietro
al caross12, Rosy con i figli Rita e Stefano sottobraccio, gli Ambois,
i Blanchérèt e via via tutti gli altri. Fu all'ingresso del
curvone Dl'ingigné che il pensiero di Stefano si portò alla
sua Mamy, alla nonna.
c.s.