Mentre il presente nel suo secondo
mese di guerra proseguiva imperturbabile il cammino bellico, un ufficiale
di fanteria poneva le basi per un futuro di speranza: era, infatti, in
procinto di coronare la sua storia d’amore. La cerimonia nuziale si sarebbe
svolta il 4 agosto 1940 alle 10 antimeridiane nella chiesa di S. Maurizio:
un gran giorno per l’ufficiale! Gestita dai frati francescani, la parrocchia
di San Maurizio da tempo aveva assunto in città, una certa qual
rinomanza. La domenicale messa delle dieci aveva tale richiamo che la chiesa
a stento riusciva ad accogliere tutti i convenuti. Le capacità canore
di padre Pio e l’incanto che effondeva il minuscolo coro da lui diretto,
faceva sì che il contenuto canoro si trasformasse in un insieme
di affascinante spirituale bellezza; la religiosità e l’inspiegabile
richiamo espresso dal canto erano tali da associarvi momenti di magia.
C’era, in tutto ciò, una carica emotiva e suggestiva che forse già
da allora pose, con chissà quali alchimie, le basi a quelle che
sarebbero poi state le divagazioni sul tema della bellezza e dell’armonia.
Laura, la sposa, la vidi la prima
volta nel corso della cerimonia. Non fu certo, quello, il primo matrimonio
al quale ebbi la ventura di assistere. Presenziai ad essi numerose volte
non tanto quale imberbe svogliato membro di una non numerosa parentela,
quanto come chierichetto. In ogni caso nessuna fatina prima di quella che
m’apparì in quella domenica d’agosto, ebbe il dono di attizzare
in me la consapevolezza verso quel mondo di bellezza e grazia: fu, quella
che ammirai su quel viso, un’immagine di squisita dolcezza. Ricordo, la
chiesa con i suoi addobbi e i fedeli; la musica e quel profumo d’incenso
che sapeva di paradiso.
Sottile come un grissino,
Padre Guglielmo - il celebrante - attese che padre Pio terminasse l’inno
in corso per dar inizio alla cerimonia. Lui, lo sposo, in divisa da ufficiale
con fascia azzurra; lei, la sposa, beh, una madonna. Non fu solo il candore
del suo abito bianco a renderla ai miei occhi, così bella. Fui richiamato
alla realtà della cerimonia dalla voce un po’ stridula di padre
Guglielmo: “...ehi, il messale!”. Fu quando sentii, cosa piuttosto insolita,
pronunciare il mio nome che, trasalendo, mi svegliai dal sogno e mi riportai
non senza difficoltà alla realtà. Quell’in-comparabile viso
di sposa permeato di soavità e armonia svelava - tra il biancore
di volant e pizzi - un incantevole sorriso che non poteva che avere l’impronta
del paradiso.
Nove anni o poco più, quel
sorriso e quella soavità rimasero non so come né perché
in quiescenza tra le pieghe del mio animo. Mistero del bello! La guerra,
quella guerra che avrebbe dovuto durare poco più di un amen, s’intensificò
coinvolgendo tutti; da europea - quasi non bastasse - divenne mondiale.
Le primavere, anch’esse evidentemente non indifferenti agli eventi bellici,
si susseguirono le une alle altre con lo stesso sapore degli inverni. Poi,
anche per lei ritornò l’estate e ne indossò gli abiti: erano
confezionati dai colori della speranza, dell’allegria e della vita. Arrivarono
e se n’andarono gli americani. Ritornarono, ognuno con le proprie storie,
gli ex combattenti, i profughi e gli sbandati. Infine anche i prigionieri
di guerra - ancora un po’ smarriti nelle loro traversie - rientrarono con
le sacche piene di ricordi e di speranze. Se n’andò Umberto il Re
e arrivò De Nicola.
Intanto la vita come pure le stagioni,
ripresero il loro corso. Espatriai in terra assai lontana. Alcuni decenni
dopo rientrai in Patria.
La riscoperta di Laura avvenne inaspettatamente,
proprio come un tredici al totocalcio: all’incrocio di una via di periferia
sprovvista oltre che di negozi e vetrine, anche di strisce pedonali. Queste,
come ben sapeva la coppia in procinto di attraversare la strada - nel punto
indicato da una rugginosa segnaletica verticale - pur non garantendo l’incolumità
fisica offrivano la filosofica tranquillità mentale necessaria nel
farlo. Oltre che per i soliti preliminari fatti di attente occhiate a destra
e a manca, fu il loro fiducioso serafico sguardo di maturi innamorati ad
attrarre la mia attenzione. Fu insomma la concomitante presenza di questi
aspetti straordinariamente accattivanti nella loro spontaneità a
darmi modo di ravvisare nella coppia, un particolarissimo meraviglioso
dejà vu.
Sul viso della donna, un viso di
straordinaria luminosità non adombrata dall’irregolare scorrere
delle automobili lungo la via né tantomeno dagli anni, riconobbi,
non solo la stessa immagine di bellezza e di sposa che vidi quarant’anni
prima in una memorabile domenica di agosto, ma percepii la stessa dolcezza
che avvertii in occasione di quello che fu il nostro primo incontro: fu
insomma, come se dopo una lunga attesa il mio “mosaico interiore” avesse
ritrovato “il tassello mancante”.
Tanto fu il piacere di rivedere
la coppia - perché di loro si trattava - che non potei trattenermi
dal renderli partecipi di questa mia nuova emozione: di questa riscoperta.
Non so come, ne seppi giustificare - come dissi qualche giorno dopo ad
un’amica - l’impudenza con cui mi presentai alla coppia che nel frattempo
aveva completato l’attraversamento della strada.
Mi presentai ricordando loro quella
prima domenica d’agosto - una domenica di molti, molti anni fa. Insieme,
rievocammo la chiesa nella quale fu celebrato il matrimonio e anche padre
Guglielmo, il celebrante. Alla signora che mi guardava stupita, ricordai
la sua immagine e le sensazioni che provai per quel suo meraviglioso sorriso
fatto di soavità e dolcezza.
“La stessa, signora Laura- aggiunsi
quasi arrossendo - che ravvedo ora sul suo viso”. La signora sorrise e
arrossì a sua volta. Furono, marito e moglie, ambedue piacevolmente
sorpresi e stupiti di quel mio rievocare un tempo così lontano nelle
loro vite; poi, con lo stesso piacevole timbro di voce ma soprattutto con
lo stesso sorriso di allora, rivolgendosi al marito aggiunse: “chi avrebbe
mai detto che un sorriso sarebbe andato così lontano?”.
Commossa, abbracciò il marito.
Prima di accomiatarsi aggiunse: “Vede, caro signor...” A.C. dissi ricordandole
il mio nome. La signora riprese dal punto in cui s’interruppe. “Vede caro
C., ad opporsi a quell’atmosfera di paure e a quelle vicende belliche,
noi dalla nostra avevamo la giovinezza, ma soprattutto avevamo fede nella
protezione del Signore” concluse con lo stesso amabile sorriso di tanti
anni prima.
Parlammo delle rispettive famiglie,
del passato e brevemente delle proprie esperienze di vita. Infine, accomunati
dai ricordi, da nuove sensazioni ed emozioni, la coppia riprese sottobraccio
il cammino. Li seguii con lo sguardo sino a che svoltarono l’angolo poi,
con il sorriso sulle labbra, m’incamminai verso casa. Una nuova emozione
si era intanto aggiunta alle precedenti: insomma il mio mosaico interiore
aveva inaspettatamente ritrovato “le tasseu manquante”.