Le affollate manifestazioni per la
pace lo scorso sabato, a Roma e altrove, hanno segnato un punto a favore
di chi ritiene che cresca la voglia di pace, o semplicemente l'apprensione
per quel che potrebbe significare la guerra. In Medio Oriente, come qui
da noi. Che cosa dire di più? Innanzi tutto, occorre rilevare il
divario fra questa massiccia domanda di pace, che nasce 'dal basso' con
connotazioni sempre più 'trasversali', e le (spesso meschine) diatribe
fra schieramenti politici, fra mozioni contrapposte e divisioni ricorrenti.
La manifestazione di piazza non crea, di per sé, vasti consensi:
li registra, dà loro visibilità e nuovo slancio. Fa sentire
l'aria che tira. Aiuta chi vi partecipa a contrastare lo scetticismo diffuso
di quanti pensano che tutto questo non serva a nulla, che i giochi siano
già fatti, che regìe nemmeno troppo occulte abbiano già
preso le decisioni del caso…
E' ovvio che vi sono prese di coscienza
che precedono l'andata in piazza, o l'allinearsi in una marcia. E' la maturazione
di una "coscienza di pace", che non si rassegna all'idea che la scelta
pacifista faccia il gioco del dittatore di Bagdad, in un visione semplificata
che stabilisce: "O con Bush o con Saddam Hussein!".
Per i credenti, resta ancora una
cosa da fare. E' la preghiera. Il nostro Vescovo ce la propone per oggi.
Preghiera e digiuno. Non semplicemente per trasferire sulle spalle
del buon Dio le cose che non riusciamo a fare, o i pasticci in cui ci siamo
cacciati, ma per avere dal suo Spirito luce e forza sufficienti per vederci
chiaro, e per assumercene fino in fondo le responsabilità. Responsabilità
da giocarsi nella sfera della politica internazionale, ma anche delle nostre
relazioni quotidiane.
piero agrano