L'effetto più dirompente dei
massicci preparativi di guerra della coalizione anglo-americana, nei confronti
dell'Iraq, in atto in questi giorni, è stata la rottura prodottasi
in seno alla Nato e all'Unione Europea. Due distinte fratture, in due differenti
istituzioni, la Nato e l'Ue, appunto. Ed è un aspetto del problema
che non ho trovato sufficientemente rilevato nel commenti dei giornali.
Se, nell'ambito della Nato, l'irritazione della leadership americana nei
confronti degli alleati europei è, in qualche misura, comprensibile
(ma varrebbe la pena ricordare agli USA che i partner di un'alleanza non
possono essere messi di fronte a decisioni già assunte, e ad una
"fedeltà" difficilmente digeribile), più grave mi sembra
la frantumazione dell'Unione Europea, la cui politica estera non è
mai parsa così debole, confusa e contraddittoria. Colpa soltanto
dello sciagurato asse franco-tedesco di Chirac e Schroeder? Evidentemente
no. La prima a defilarsi dal gruppo è stata la Gran Bretagna
di Tony Blair, che da parecchio tempo si è affrettata a confermare
il patto di ferro con l'amministrazione Bush, come se la GB, invece che
uno stato europeo, fosse una propaggine europea dell'impero americano.
Ed anche l'agitarsi diplomatico del nostro premier - diplomatico, con ampie
effusioni di pacche sulle spalle e baci elargiti agli amici Bush
e Putin, è parso più finalizzato a ribadire la fedeltà
agli Usa che a suscitare una presa di posizione politica europea. Poi,
naturalmente, Chirac e Schroeder ci hanno messo del loro, soprattutto il
primo, erede di un gollismo antiamericano, mai interamente archiviato.
A questo punto restano i cocci -
difficilmente ricomponibili nella riunione del prossimo lunedì 17
- di un'Unione che non riesce a decollare come soggetto politico-istituzionale,
proprio quando se ne avverte di più il bisogno, davanti ad un egemonia
americana sempre più spinta. Per alcuni, le posizioni di quest'ultima,
dopo gli attentati alle Torre Gemelle, non sono che posizioni di autodifesa.
Ma, dal punto di vista delle nazioni europee, è assai dubbio che
la miglior difesa di fronte al pericolo del terrorismo islamico sia ...
l'attacco!
Così queste settimane trascorrono
fra il fervore diplomatico (in primis della Santa Sede) e l'apprensione
diffusa della gente, di fronte alla prospettiva di attacchi con armi chimiche.
E la volontà di pace, pur fra tanti distinguo e problemi insoluti,
sembra farsi strada e procedere in maniera più risoluta. Una volontà
di pace dichiarata, discussa, pregata. Nelle varie occasioni che anche
il nostro settimanale ricorda nelle pagine interne.
piero agrano