Non riesco proprio a separare due
fatti di questi giorni: la Giornata della memoria, prevista per il prossimo
27 gennaio, e il gemellaggio fra la città di Ivrea e il villaggio
palestinese di Beit Ommar, già visitato dalla delegazione eporediese
Un varco per la pace, gemellaggio che si celebra in questi giorni a Ivrea.
Due fatti eterogenei, nati addirittura su sponde opposte: la memoria della
Shoah, l'Olocausto ebraico, e l'offerta di collaborazione a un villaggio
palestinese, col progetto di crearvi un centro giovanile.
La giornata del 27 gennaio nasce
dall'esigenza di custodire una memoria che altrimenti rischierebbe di disperdersi
nel vento, come le ceneri di tanti che nei lager nazisti hanno perso dignità
umana e vita. La Shoah è l'evento simbolo di ciò che un'ideologia
e un potere - ma anche una mentalità diffusa - possono produrre.
Perché serbare la memoria degli orrori e degli eccidi? Ricordare
serve a mantenere vivo, appunto, l'orrore, la protesta, la vigilanza, perché
pagine oscure della storia non abbiano a ripetersi. Ma quella giornata
rischia di soffrire di una duplice limitazione: che ci si limiti alla Shoah
ebraica, dal momento che - scrive Giuseppe Platone su Riforma- "la giornata
della memoria non riguarda tanto gli ebrei, ma tutti i cittadini italiani".
Perché non estendere quella 'memoria' ad altre carneficine dimenticate,
ignorate, trascurate nella memoria storica corrente? Carneficine generate
dalla stessa mentalità che ha partorito i lager e i forni crematori?
Vi è un secondo limite. La
'memoria' può ridursi a rievocazione nostalgica, a "icona statica"
e rituale. Anche per la cultura ebraica, la memoria, invece, è inseparabile
dall'impegno. Da rilanciare verso il futuro, da aggiornare ai tempi nuovi,
da riformulare dopo avere metabolizzato le lezioni del passato. La virtù
tipica dell'apertura al futuro, si sa, è la speranza. Ma, come ricordava
anni fa Jurgen Moltmann, la speranza deve essere "dotta". Dotta, non erudita.
Resa edotta dalle esperienze vissute o apprese, innestata su di una memoria
storica, da non dimenticare o alterare.
"Ricordare è il primo passo.
Ma non basta - scrive il collega Corrado Avagnina, su L'unione monregalese
-: c'è da rimboccarsi le maniche, giorno dopo giorno. Per far camminare
idee, sensibilità, convinzioni... in alternativa. Per compiere scelte
in controtendenza". A questo punto si inserisce il gemellaggio con Beit
Ommar. Un segno eloquente - per gli obiettivi che si propone e per le persone
che vi lavorano: l'amministrazione comunale di Ivrea, la Caritas... - di
una volontà di pacificazione, che non si limita a predicare, ma
tenta concretamente di aprire un "varco" fra ostilità e diffidenze.
Per gettare nel terreno inaridito dall'occupazione militare e dal terrorismo
un seme di pace e speranza.
piero agrano