Il mese di gennaio si è aperto
con la giornata mondiale della pace ed in molte parrocchie questo tema
viene approfondito per tutto il mese, accogliendo una proposta lanciata
già parecchi anni fa dall’Azione Cattolica e accolta dalla chiesa
italiana.
Altri due appuntamenti importanti,
e strettamente legati con il tema della pace, sono la giornata per il dialogo
ebraico-cristiano e la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
Delle tre iniziative quest’ultima
è la più antica, essendo sorta agli inizi del XX secolo,
collocata tra le due date del 18 gennaio - allora era la festa della Cattedra
di S. Pietro in Roma - e del 25 gennaio, festa della conversione di S.
Paolo, la data che papa Giovanni sceglierà nel ‘59 per annunciare
il Concilio e porre come uno degli obiettivi prioritari proprio quello
dell’ecumenismo. Interessante anche il fatto che l’iniziativa di una settimana
di preghiera per l’unità dei cristiani sia sorta nell’ambito della
chiesa anglicana, accolta poi volentieri ben presto dalla chiesa cattolica
(un po’ simile e pressappoco negli stessi anni è stato il percorso
dello scoutismo, iniziato da lord Baden Powell, figlio di un pastore anglicano).
Mi piace ricordare queste origini della settimana che ci apprestiamo a
celebrare anche perché nei giorni scorsi è stato ospite a
Bose il nuovo arcivescovo di Canterbury e primate anglicano Williams, che
ho avuto la gioia di incontrare assieme al vescovo di Biella per portare
il saluto e la preghiera dei vescovi piemontesi.
Nei primi anni del XX secolo inoltre
giungeva nel nostro Canavese una suora francese, Madre Luisa Margherita
Claret De La Touche, la fondatrice del monastero di Vische, anche lei portatrice
del medesimo messaggio che sta all’origine della settimana per l’unità
dei cristiani: ut unum sint, che tutti siano uno, come ha pregato Gesù
nel Cenacolo, la vigilia della sua passione.
La preghiera del Signore non può
essere vana e le sue parole continuano a indicare la meta da raggiungere:
quell’unità tra i cristiani e tra le chiese che il Signore vuole.
Le tragiche divisioni sorte nel corso di questi venti secoli di cristianesimo,
specialmente quelle del secondo millennio, ci fanno cogliere tutta l’attualità
della preghiera di Gesù, ma ci aiutano anche a capire che la ricerca
dell’unità tra i cristiani non è mai compiuta, perché
si tratta di raggiungere non un tipo di unità prefissato da noi
ma quella che corrisponde alla sua volontà, come preghiamo in ogni
eucaristia dopo il Padre Nostro.
Nonostante poi le divisioni, frutto
del peccato dei cristiani, l’unica chiesa per cui Gesù ha pregato
non è scomparsa e resterà fino alla fine dei tempi: un solo
Signore, Gesù unico vero pastore; una sola chiesa, il suo corpo;
una sola fede, in Lui morto e risorto per noi; un solo battesimo, che ci
inserisce nel corpo di Cristo. Quando desideriamo l’unità tra i
cristiani e tra le chiese, quando preghiamo per ottenerla dal Signore,
non siamo soli e non partiamo da zero: Gesù prega con noi per la
medesima intenzione, e in parte il dono dell’unità ci è stato
preservato, nonostante tutto.
Il tema scelto per quest’anno riprende
un passo della seconda lettera ai Corinzi: portiamo un tesoro in vasi di
creta (cfr. 2Cor. 4,7). Il tesoro è la comunione dono dello Spirito
Santo, i vasi di creta siamo noi, chiamati a ricomporre le fratture del
passato e a non crearne di nuove. Portiamo il tesoro in vasi di creta quando
ci incontriamo tra chiese cristiane di diversa denominazione, quando sentiamo
il valore prezioso del battesimo che ci unisce e la difficoltà di
avanzare verso la piena comunione; portiamo il tesoro in vasi di creta
anche quando restiamo all’interno di ciascuna delle nostre chiese, sperimentando
le difficoltà quotidiane di una comunione sempre imperfetta che,
se non ci porta a dividerci sui grandi temi della fede cristiana, spesso
ci impedisce di camminare e di crescere insieme come sarebbe desiderabile.
Sono le difficoltà dei gruppi, dei movimenti, delle diverse aggregazioni
ecclesiali, delle diverse mentalità, che spesso ci fanno essere
così lontani da quanto Paolo raccomandava ai Filippesi: “ognuno
di voi con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso”
(Fil. 2,3).
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La giornata del dialogo ebraico-cristiano,
fissata per il 17 gennaio, alla vigilia della settimana di preghiera ecumenica,
può collegarsi utilmente con la giornata che il mondo ebraico dedica
alla Shoà, il 27 gennaio, e nel contesto del grave conflitto che
dilania la Terrasanta assume un valore tutto particolare, legato strettamente
all’impegno per la pace.
Occorre però anzitutto tenere
sempre chiare alcune distinzioni fondamentali. Una cosa è parlare
del mondo ebraico, sparso nei cinque continenti, pur con il suo legame
ineliminabile con la Terrasanta; altra cosa sono lo stato e il popolo israeliano;
altra cosa ancora sono i governanti israeliani con le loro scelte politiche
e militari. Se non si mantengono chiare queste distinzioni si fa più
alto il rischio dell’antisemitismo, rischio sempre in agguato, e per il
quale noi cristiani non chiederemo mai abbastanza perdono, per la parte
che ci compete.
Questa chiarificazione ci permette
allora di parlare senza complessi del popolo palestinese come di un popolo
che sta subendo violenza (e questo non giustifica assolutamente il terrorismo
di alcuni suoi gruppi), all’interno del quale vive una chiesa a noi molto
cara, la chiesa di Gerusalemme, madre di tutte le chiese.
Con altrettanta chiarezza non possiamo
dimenticare che Dio ha scelto il popolo d’Israele come suo primo popolo
eletto; Dio non si pente mai dei suoi doni (cfr. Rom. 9-11); Israele rimane
il ceppo sul quale tutti gli altri popoli, noi compresi, sono stati innestati
con la predicazione della fede e con il battesimo. Non potremo mai capire
i Vangeli senza il Primo Testamento: il cristianesimo separato dalle sue
radici diventa altro, ideologia e non più storia di salvezza. Si
comprende meglio così la posta in gioco della pace nella Terrasanta,
vero nodo per la pace nel mondo. A Gerusalemme si intrecciano il dialogo
ecumenico e l’impegno per la pace.
La comunione tra le chiese e nelle
chiese diventa il segno che rende credibile l’impegno dei cristiani per
la pace: il vangelo è annuncio di unità tra tutti i membri
della famiglia umana, uguali nella dignità di figli di Dio, ogni
essere umano dal più piccolo al più grande, e questo annuncio
Gesù lo ha affidato prima che alle parole al segno della comunione,
che il suo Spirito vuole donarci e alimentare ogni giorno.
† arrigo miglio