Carissimi amici,
rieccoci quasi a Natale: come corre
il tempo! Quante cose - piccole e grandi - sono avvenute in questo anno
2002! A volte mi viene voglia di sedermi, per esempio su un tronco di un
albero abbattuto o un grosso masso e ripensare un po’ a quanto vissuto,
ma, un po’ per il mio carattere (“modello agitato”!), un po’ per il “contesto”
(la lenta Africa ti raggiunge ad ogni istante con mille e più richieste!),
la “voglia” rimane tale ed io continuo a non sedermi.
A dire il vero devo confessarvi
che, un paio di settimane fa, avevo proprio deciso di prendermi una giornata
di pausa, volevo fare un breack e andare anche fisicamente via dal villaggio
delle termiti per... evitare di essere interpellata da Tizio per un malato,
da Caio per una questione riguardante casa sua, da Sempronio per un problema
di fame, da...: stop!
Ho messo nello zainetto la Bibbia,
un evidenziatore, una bottiglia di acqua, un pugno di foglie di the e un
po’ di zucchero e via, sono partita a piedi verso... “un altrove” con la
speranza di fermarmi a pancia all’aria e riprendere fiato e respiro. Cammina
cammina, guidata da una strana cometa (la voglia di non essere disturbata
da nessuno!). Sono arrivata prima a Bounu, un villaggio che già
conosco un po’ e di cui amo molto la piccola croce appesa al palo centrale
della capanna che funge da cappella e lì ho fatto una tappa seduta
tra le capre (e il loro abbondante sterco) che dormivano appunto in chiesa:
sarà che le porte sono inesistenti o che le capre sono particolarmente
devote?! Mah! Sentendo che avevo ancora voglia di camminare e soprattutto
che ero ancora troppo vicina a casa e qualcuno avrebbe potuto raggiungermi,
sono ripartita.
Cammina cammina sono arrivata a
Bangoro. Ero cotta dal sole e dalla mancanza di esercizio podistico, ma
felice di essere un po’ lontana e al sicuro dai soliti grattacapi e per
di più la cappella del villaggio spiccava tra gli alberi per la
bella porta in lamiera; di certo avrei potuto bermi un po’ di acqua e di
Bibbia al suo interno senza sentire l’odore di capra.
Un sorriso, una stretta di mano
e un saluto alle poche persone non partite nei campi e, gaudio: scoccava
per me l’ora della quiete in una chiesetta più che francescana!
Costruita con i soliti mattoni di fango e con un bel tetto di paglia, l’edificio
presentava piccole finestre da cui una festa di piccola luce filtrava all’interno.
Peccato che non ci fosse il tabernacolo con Gesù Eucaristico ma
solo un altare di fango. I banchi erano costituiti da pezzi di albero appoggiati
per terra come natura crea e... buon Dio, cos’era quella mezza stuoia con
su un grumo di stracci? Mi sono avvicinata. Qualcosa si muoveva: un uomo.
Scheletrico, sporco, “tossente”, cercava di mettersi a sedere e mi trafiggeva
con i suoi occhi ciechi, anzi, quelle sue pupille spente sembravano frugarmi
come una mano avida. “Dio!” ho esclamato, “ho fatto 10 chilometri a piedi
per sfuggire all’estenuante sinfonia dei poveri di Markounda e ora mi ritrovo
qui davanti a un’altra straziante sintesi di miseria: come è possibile?...
No! Questo, buon Dio, è proprio uno scherzo da preti”.
Dietro a me era entrato un ragazzino;
chiesi a lui spiegazioni di quella persona che sfinita si era lasciata
ricadere sulla stuoia. “Si chiama Charlot. La moglie è morta da
tempo e l’unica figlia che ha si è sposata in un altro villaggio.
I suoi occhi sono morti da tanti anni e la sua casa è crollata un
mese fa per la pioggia: è riuscito a salvare da sotto le macerie
la stuoia, la mezza zucca per l’acqua e... la pelle e ha deciso di venire
ad abitare nella da ti nzapa (casa di Dio) visto che, così ha detto
lui, il prete che lo aveva battezzato quando era giovane gli aveva detto
che Dio è suo Padre”.
Mamma mia, che fare?! Scappare per
altri 10 chilometri o arrendersi a questa nuova chiamata a far qualcosa
per un altro? L’unica idea che mi venne fu di chiedere al ragazzino un
pentolino di acqua bollente in cui mettere le foglie di the e lo zucchero:
stavo per crollare anch’io accanto a Charlot per un misto di calo ipoglicemico
e di... stizza. Condivisa la bevanda bollente con l’icona e “i poveri li
avrete sempre con voi”, mi sono sentita meglio e ho osato guardare quell’uomo:
era evidentemente felice di sorseggiare qualcosa di dolce nella sua mezza
zucca e tra un sorso e l’altro ripeteva “singila” (grazie).
Ohibò! Per caso Charlot non
era il tabernacolo di quella chiesetta?! Niente bassorilievi dorati di
spighe e grappoli, ma lo splendore del sorriso di quel povero non racchiudeva
per certi versi una Eucarestia veramente adorabile? Adoro te devote latens
deitas... latens deitas...
Siamo riusciti a trovare una casa
a Charlot e speriamo che i cristiani di Bangoro tengano fede alla promessa
di procurargli quotidianamente un po’ di cibo; per il sapone, qualche abito
e un po’ di medicine, cercheremo di pensarci noi e... al Signore degli
scherzi cosa chiedere?! Gli chiederei come dono di Natale di trasformare
tutte le comete che ciascuno di noi in modo più o meno cosciente
segue per andare “altrove” in comete che ci portano comunque a Lui. Sia
però così gentile da fornirci sempre una manciatella di foglie
di the e un po’ di zucchero e di fare di noi una “bevanda dolce” per gli
altri, una bevanda che li aiuti a non venir meno quando violenza, morte,
soprusi e miseria sembrano occupare tutto l’orizzonte della vita (cfr.
ultimi avvenimenti qui in RCA).
Buon Natale!... e sappiate che anche
se i “ribelli” hanno rubato proprio il camion che ci trasportava le pietre
e la sabbia per costruire la terza ala della scuoletta, abbiamo trovato
un mezzo carretto trainato da due zebù e i lavori proseguono. Il
mezzo carretto l’abbiamo chiamato “tip-top”, perché buca ogni 10
secondi circa, ma forse è una fortuna perché così
malconcio nessuno penserà di portarcelo via! “Tutto è grazia”:
grazie!
suor petra