MAGNANO - Su invito di Enzo Bianchi,
priore della comunità di Bose, l'attuale commissario dell'Unione
Europea, Tommaso Padoa Schioppa domenica 10 novembre ha tenuto, nella
comunità monastica, una intensa relazione su "Pace ed economia",
dinanzi ad un folto e attento pubblico.
"Pace e economia": un binomio che
fino a due secoli fa non era neanche pensabile; da quando è iniziata
l'era industriale l'una richiama l'altra, anche se i due elementi da soli
non sono sufficienti a garantire una vera prospettiva di pace per il mondo.
Il termine "pace" è complesso.
Si può parlare di pace interiore, pace in famiglia, nel condominio;
ma anche di pace in una Nazione, o fra Stato e Stato, nel mondo... In senso
negativo, "pace" è assenza di guerra, o pausa tra una guerra ed
un'altra; in senso positivo può significare l'accordo finale dopo
una guerra.
Ogni volta che ci si pone come obiettivo
la ricomposizione di un conflitto (interiore, familiare, di condominio...
o all'interno degli Stati, o fra Stati) col principio di ragione, senza
sopraffazioni violente, è un parlare di pace in positivo, perché
l'obiettivo "pace" prevale sugli elementi di contrasto. C'è tuttavia
una differenza d'impostazione tra i diversi ambiti. Quando un contrasto
è tra Stati, non è sufficiente fare appello a principi di
fede o di ragione o di volontà; occorre un principio superiore che
si espliciti in regole, in norme. La vera pace è un instaurarsi
di un principio superiore che prevenga il sorgere di conflitti. Solo così
la pace ha significato duraturo; altrimenti ha valore di provvisorietà,
è assenza di guerra, è stato intermedio tra un conflitto
e l'altro. La vera pace non solo previene il conflitto, ma rimuove le cause
che possono essere causa di conflitto.
Uno degli errori fondamentali del
pacifismo di oggi è rifiutare di accettare l'esplicitazione di regole,
di norme, il confidare solo sul cambio di atteggiamenti. Per una pace vera
occorrono sia una maturazione di atteggiamenti che una esplicitazione di
norme.
L'economia, con il sorgere dei problemi
sociali nati dalla rivoluzione industriale, oggi è inscindibile
dalla pace. C'è chi sostiene che le guerre sono conflitti sociali
provocati da interessi economici contrapposti; per cui, se c'è l'unione
delle economie si avrà la pace. L'idea che, trasformando il sistema
economico internazionale, si muti il rapporto tra Stati ha guidato il dibattito
per un secolo e mezzo. Il problema oggi è: quale sistema di ordine
economico vogliamo. Mercato ed economia sono indispensabili per il progresso
dell'umanità. Ma sempre più spesso oggi di mercato e di economia
si tende a parlare in termini negativi (si pensi alle manifestazioni di
Genova, Firenze...), come di qualcosa di demoniaco. Si può e si
deve avere del mercato e dell'economia una visione positiva (di vantaggi,
di opportunità, di rapporti di fiducia tra organismi internazionali...).
Questi aspetti positivi sono per lo più assenti dal nostro modo
di "sentire": il mercato è visto solo come interesse, con leggi
mortificanti i più deboli... Il mercato è un fatto di natura
(divisione del lavoro, trasformazione del prodotto in prezzo, scambio di
beni sono antichi quanto l'umanità); la soppressione dell'interesse
individuale è rimasta un sogno che ha portato a regimi oppressivi
là dove ne è stata imposta l'attuazione. La libera interazione
gli uni con gli altri, sotto la molla dell'interesse individuale, è
positiva se si pone come obiettivo il miglioramento del bene comune. La
concorrenza, se è una forma di ordinato contrasto, se non è
un'ingiustizia, è un bene.
Ciò che occorre è
un sistema economico basato su interazione ordinata. Un'economia così
concepita e ordinata presuppone la pace, esige che ci sia pace. Perché
una tale economia è fondata su scambi, contratti, certezza del rispetto
di regole, certezza nella moneta-strumento di scambio. Ciò richiede
che tutte le parti siano garantite (se c'è inflazione, se è
messa in forse la sicurezza sociale in alcune componenti, vengono meno
anche le garanzie).
L'economia presuppone, dunque, la
pace; ma, da sola, non basta a garantire la pace. Pace ed economia, per
essere durature, hanno bisogno di regole. La tesi degli ottimisti della
globalizzazione, che il libero mercato di per sé assicuri la pace,
è illusoria. Un mercato libero, senza regole, non garantisce a tutti
una sufficiente alimentazione, la tutela della salute, dell'ambiente, dell'aria.
Da qui il rischio di guerre tra poveri; da qui il risorgere di conflitti
negli ultimi 15-20 anni.
Pace ed economia, quindi, oggi sono
una all'altra vitali: senza la pace, l'economia ristagna (il M.E.C. non
si sarebbe potuto realizzare senza la pace), ma l'economia da sola non
è sufficiente a garantire la pace.
Occorre, quindi, un ordine superiore,
che abbia valore politico. Anche a livello mondiale si è creato
un liberismo economico planetario, ma pure esso richiede un "nomos" mondiale.
Perché vi sia pace vera e duratura occorre una normativa politica
superiore che regoli sia l'economia sia i rapporti tra gli Stati.
olinto dal lago