IVREA - Dopo dieci anni, molti cittadini
d’Ivrea non conoscono la Casa di Abramo e rivolgono alcune domande a cui
ci pare giusto rispondere...
Da chi è stata voluta, quando
è nata e perché questo nome?
L’idea è nata nell’autunno
1990, in una riunione convocata dai cristiani di Ivrea per organizzare
una preghiera pubblica per la pace e l’unità dei cristiani. I presenti
incominciarono ad interrogarsi sul significato di tale iniziativa e conclusero:
“se non facciamo qualcosa di concreto insieme è inutile dimostrare
per la pace e pregare insieme!”. Poiché il problema dell’immigrazione
in quegli anni ormai lontani incominciava a porre problemi di tutti i tipi
anche ad Ivrea, si scelse questo campo per realizzare una comune testimonianza.
Da quel momento al giorno dell’apertura, il volontariato cristiano, a cui
si aggiunse quello ebraico, lavorò per adeguare alle esigenze dell’accoglienza
lo stabile che si era individuato.
Qui ci incontriamo, ancor oggi,
ogni giorno nel nome di Abramo nostro padre nella fede, cristiani, islamici
ed ebrei, qui le differenze trovano una loro radice comune, si ascoltano,
si riconoscono, si aiutano!
Questa casa dal 30 maggio 1992 è
aperta con la finalità di accogliere gli extra-comunitari che giungono
per la prima volta ad Ivrea ed offrire loro alloggio e un po’ di calore
umano.
Da chi è sostenuta?
Da un’Associazione formata da 120
soci, costituitasi regolarmente davanti ad un notaio il 26 marzo 1991 e
voluta dalle Comunità religiose presenti all’epoca, in Ivrea e precisamente:
cattolica, valdese, evangelica dei fratelli di Ivrea, evangelica dei fratelli
di Chiaverano, ebraica di Torino sezione di Ivrea.
L’Associazione ha uno statuto ed
esprime ogni tre anni un direttivo formato da un rappresentante per ogni
comunità religiosa, nominato dalle rispettive comunità, e
da quattro membri eletti dall’assemblea dei soci. Il direttivo nomina al
suo interno un presidente e un tesoriere.
Da chi è finanziata?
Dai soci stessi che versano la quota
annuale di euro 16. In questi dieci anni ci sono state sempre offerte straordinarie
provenienti dalle comunità stesse, da iniziative varie sostenute
dalle comunità religiose o da gruppi laici. Quest’ultima fonte di
finanziamento dimostra l’attenzione e la fiducia che l’iniziativa ha suscitato
in larga parte dell’opinione pubblica.
Dove si trova la Casa?
Ad Ivrea in vicolo Taglianti n.
6, in uno stabile di proprietà della Curia diocesana, dato in comodato
alla stessa Associazione.
Come avviene la gestione?
E’ gestita direttamente dai componenti
il direttivo con l’aiuto di qualche socio. Tutte le settimane, due persone
a turno seguono l’andamento della Casa ed avvicinano gli ospiti cercando
di capire le loro più urgenti necessità.
Il direttivo ha elaborato un regolamento
interno a cui gli ospiti sono invitati ad attenersi se desiderano usufruire
dell’ospitalità.
Quali caratteristiche hanno gli
ospiti e quante persone sono state ospitate?
La Casa ha la possibilità
di ospitare nove persone. Per Statuto l’ospitalità è offerta
per il periodo di un mese nel quale l’ospite può esplorare le possibilità
di lavoro che offre il territorio ed eventualmente sistemarsi. Gli ospiti
sono per lo più giovani, sotto i trent’anni. Sono passati in questi
dieci anni 525 ospiti, provenienti da vari paesi: Marocco, Tunisia,
Algeria, Bosnia, Brasile, Albania, Senegal, Camerum, Costa d’Avorio e ultimamente
dalla Romania.
La convivenza è stata complessivamente
serena e a ciò ha contribuito il clima della Casa creato da un direttivo
che ha lavorato con affiatamento e vera amicizia, sorretto da una fede
religiosa profonda da cui è derivato un equilibrato senso di solidarietà
e di rispetto reciproco. Gli ospiti hanno percepito positivamente questo
clima di stima, di ascolto, di collaborazione anche quando si sono dovute
prendere decisioni dure per i problemi non indifferenti posti da alcuni
di loro.
Quali i rapporti con la Città
e le autorità civili?
Dopo un primo impatto problematico
con i vicini all’apertura della Casa, felicemente e in breve superato,
la Città ha sempre guardato e guarda con simpatia questa iniziativa,
rassicurata anche dalla presenza di volontari attenti e provenienti da
esperienze religiose diverse che testimoniano come le diversità
possano collaborare e costruire qualcosa di valido e di buono. Pensiamo
che proprio questo lavorare insieme sia piaciuto e abbia dato fiducia!
Con le autorità civili i
rapporti sono stati ottimi e abbiamo coscienza di aver richiamato più
volte le autorità comunali ad assumersi le responsabilità
di un’accoglienza ben strutturata verso un’immigrazione che aumentava,
tanto che è stato aperto un centro di accoglienza comunale con il
quale collaboriamo. Le stesse forze di polizia ci hanno seguito e ci seguono
con interesse e ci aiutano intelligentemente nel nostro non sempre facile
lavoro a vantaggio degli immigrati e della serenità dei cittadini.
Non ci rimane a questo punto che
augurare a chi da anni lavora in questo campo e ai nuovi volontari ed anche
a tutti gli ospiti passati, presenti e futuri di continuare a testimoniare
che tra uomini ci si può aiutare, apprezzare ed amare con vantaggio
di tutti.
alberta