MONS. MIGLIO INVITA NEL
SUO ARTICOLO A ‘FARE MEMORIA’ NELLA CONCRETEZZA
40 anni fa il Concilio
Vaticano II
11 ottobre 1962, l’evento
che avrebbe cambiato la Chiesa
La personalità di papa Giovanni
e alcuni gesti da lui compiuti, apparentemente semplici, contribuirono
non poco a creare il clima caratteristico. Vale la pena ricordare il documento
di indizione ufficiale del Concilio (25 dicembre 61); il radiomessaggio
dell’11 settembre, un mese prima dell’inizio dell’assise conciliare; il
pellegrinaggio in treno ad Assisi e Loreto, pochi giorni prima; il discorso
di apertura, con la presa di distanza dai “profeti di sventura” e l’opzione
per la via della misericordia piuttosto che per quella della severità;
il discorso della sera dell’11 ottobre, con lo sguardo alla luna e la carezza
inviata ai bambini; le immagini usate per parlare della Chiesa: la fontana
del villaggio, la Chiesa di tutti e particolarmente la Chiesa dei poveri;
la via dell’ecumenismo e quella della pace (eravamo ancora nella guerra
fredda). Pochi mesi dopo il Papa avrebbe regalato alla Chiesa e a tutti
gli uomini di buona volontà l’enciclica Pacem in Terris (11 aprile
1963: altro quarantennio da non dimenticare!) vero testamento spirituale,
a due mesi dalla morte, e testo profetico per gli sviluppi del Concilio
stesso, specialmente per la costituzione Gaudium et Spes sulla Chiesa nel
mondo contemporaneo.
Un aspetto che caratterizzò
ancora quel momento fu la preghiera di tutta la Chiesa per il Concilio,
per il Papa, per i Vescovi: in tutte le chiese per molti mesi fu recitata
la lunga preghiera composta appositamente da papa Giovanni, quasi rivivendo
la pagina di Atti 12,5: “una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla
Chiesa per lui”.
La morte di Giovanni XXIII, l’elezione
di Paolo VI e la sua volontà decisa di continuare e portare a compimento
l’opera iniziata dal predecessore, ci introdussero in una stagione nuova,
le sessioni seconda, terza e quarta del Concilio, con la progressiva pubblicazione
dei documenti conciliari.
Fare memoria del Concilio vuol dire
non dimenticare quel particolare momento di grazia data dal Signore alla
Chiesa poco dopo la metà del XX secolo, che segnò l’inizio
di un nuovo cammino, con le diverse stagioni susseguitesi, entusiasmi e
resistenze, fughe in avanti (o almeno supposte tali) e atteggiamenti più
o meno passivi, spesso semplicemente l’inerzia: dopo qualche anno molti
avevano l’impressione di vivere un periodo post conciliare diverso da come
ciascuno se lo era immaginato, a riprova della carica di entusiasmo e del
coinvolgimento generale suscitato dall’iniziativa del beato Giovanni XXIII.
Fare memoria però vuol dire
soprattutto tornare ai testi del Concilio, che ne sono il frutto autentico
e duraturo, cui è stato affidato il compito di custodire il carisma
e lo spirito dell’evento ecclesiale. Vuol dire fare esperienza che i testi
conciliari sono ancora vivi e attuali, suscettibili di ulteriori interpretazioni
e approfondimenti, piuttosto che fermarsi a guardare in modo nostalgico
ad una stagione ormai lontana, o perdersi nelle discussioni su come avrebbero
potuto realizzarsi le prime, e certamente parziali, riforme post conciliari.
Conosciamo veramente il contenuto
delle costituzioni conciliari? Fa un certo effetto confrontare alcune nostre
celebrazioni con la costituzione conciliare sulla Liturgia: si stenta a
credere che essa ne sia la responsabile; così come colpisce la ricchezza
e la varietà di immagini e di aspetti teologici con cui la Lumen
Gentium parla del mistero della Chiesa, rispetto al nostro parlare comune
sul medesimo tema; un po’ meglio forse si trova oggi la Sacra Scrittura,
in rapporto al dettato della Dei Verbum, più però per la
fame di Paola di Dio di molti cristiani che per gli investimenti fatti
sistematicamente in questo settore; anche la Gaudium et Spes è conosciuta
solo parzialmente, ad es. per i temi della pace, del dialogo, del valore
delle realtà terrestri, meno invece per l’insegnamento antropologico
e per l’orizzonte aperto sulla speranza eterna dell’uomo.
Il Concilio Vaticano II è
ancora nelle nostre mani. come un progetto che attende di essere ulteriormente
compreso, sviluppato e realizzato: occorre procedere con il medesimo ottimismo
che papa Giovanni manifestava nel discorso di apertura, l’11 ottobre ‘62,
un ottimismo non di circostanza o basato su motivi umani contingenti ma
radicato nella fede profonda che il Signore Risorto è presente come
vero pastore ed il suo Spirito guida le sorti della Chiesa e dell’Umanità
intera.
† arrigo miglio