FENIS - Appartiene al periodo di
Aimone di Challant la costruzione del nuovo castello di Fénis, sulla
metà del Trecento. E’ un insieme di torri e mura soltanto apparentemente
incoerente che, non prevedendo ancora l’uso delle armi da fuoco, ben si
adatta agli strumenti da lancio, come le balestre fatte con le corna degli
stambecchi.
A Bonifacio di Challant si deve,
invece, l’ampliamento, a fine Trecento, quando venne costruita la grande
sala con la cappella gentilizia, sotto la direzione del maestro Sadono,
coadiuvato da Janino da Versoye, com’è comprovato dai conti del
castellano (1393-98).
Vennero allora registrate le spese
per l’acquisto di calce fabbricata dai signori di Nus, Châtillon
e Aymaville; mentre di produzione locale era il ferro lavorato.
Fuori dalle mura del castello, sotto
il grande dongione, fu anche dissodato e piantato di meli e peri un giardino
protetto da un lungo muro e da un rivellino con una sua porta. Questo verziere
venne riprodotto in immagine secondo la cultura figurativa delle “grandi
piante” che scenderà anche ad Ivrea, in una sala del Palazzo Vescovile.
Occorre attendere, infine, l’inizio
del Quattrocento per la decorazione pittorica a fresco di cortile e cappella:
committente fu lo stesso Bonifacio di Challant al termine del suo servizio
presso Amedeo VIII di Savoia (1416).
Vi intervenne un’équipe jaqueriana,
dotata di cartoni aggiornati, in un’unica campagna di lavoro. Si possono
distinguere in essa due personalità distinte: un maestro maggiore,
abbastanza energico e ruvido, dal fare chiaroscurato; ed un altro, minore,
contrassegnato dall’eleganza; entrambi assistiti da aiuti.
Tale atélier jaqueriano decorò
il cortile con i Saggi che, nei cartigli, espongono detti e sentenze morali,
in francese arcaico; e, nella cappella, intorno alla Madonna di Misericordia,
la sequenza di Santi e Sante.
Il Saggio con il volto ermeticamente
chiuso nel blu del suo cappuccio, che declina sul rosa del mantello, ci
comunica, per esempio, il seguente testo: “Amore troppo mobile è
un bene che dona poca certezza: saggio è chi questo apprende prima
che un grave pericolo lo travolga”.
Protetti dal loggiato, oltre lo
scalone che è l’unico segno della potenza feudale, i Saggi sono
della stessa incombente materia jaqueriana di Ranverso, legata in senso
sculturale ad una concreta individuazione, soltanto diminuita dalla traduzione.
Impegnati in un dialogo serrato,
a due a due, fatto di sguardi e di gesti, i Saggi sono l’equivalente nordico
del culto umanistico per gli “antichi”.
Messi a paragone di essi i Santi
della cappella gentilizia denunciano una concezione diversa, più
“cortese”, soprattutto i guerrieri che esibiscono armature da torneo.
Per la schiera degli Apostoli visivamente
contano gli attributi iconografici d’identità: dall’ascia al bastone
in basso ricurvo.
Nella Madonna di Misericordia, viceversa,
contro il campo candido di neve, un dignitario anziano in ampia houppelande
rossa s’identifica in Bonifacio di Challant: è anche un ritratto
la giovane donna bionda, dietro alle sue spalle, con una collana di perle
a doppio giro.
Probabilmente, la Crocifissione,
dove prevale la dominante del color malva, è da considerarsi, a
causa del sovrapporsi degli strati d’intonaco, un antecedente.
Il rimando più certo per
le Sante di Fénis è con le consorelle di Ranverso, negli
sguarci delle finestre del presbiterio: una psicologia sottile le accomuna,
sebbene meno tesa nella variante valdostana; mentre la moda oltramontana
ne accresce l’aria di parentela. All’esilità delle loro figure concorre
il colore perduto che ha permesso il riaffiorare d’un disegno nervoso,
a tratti abbreviati.
Chiara vi è, infine, l’architettura
gotica dipinta, costruita a colonne e pinnacoli fioriti, dislocata su due
registri, con una cornice a tondi monocromi e a foglie carnose.
aldo moretto