11 settembre, un anno dopo. Sembra
proprio impossibile non parlarne in questi giorni in cui la memoria della
strage si fa più acuta e dolente. Chi non si è sentito travolto
da una colluvie di ricordi, interpretazioni, commenti? E fra le tante "verità"
- sbandierate, contestate, rimosse...- vi sono anche stereotipi, frasi
fatte, che si sono rivelate in questi mesi fragili e discutibili. Ne passiamo
in rassegna qualcuna.
1. "Siamo tutti americani". Nell'immediato,
le stragi alle Torri Gemelle e al Pentagono, luoghi simbolo dell'America,
hanno prodotto un'ondata emotiva di solidarietà, che il quotidiano
"Le Monde" esprimeva in quei termini. Lo stesso quotidiano, recentemente,
si è dato da fare per spiegare come "quella solidarietà si
è trasformata in antiamericanismo". In realtà, sviluppata
un'analisi più pacata e meno emotiva, ci si poneva la domanda: l'attacco
dei terroristi era davvero portato ad un Occidente globalmente inteso,
o agli Stati Uniti? E' tutto da dimostrare, soprattutto dopo il recente
summit di Johannesburg, che Europa e Stati Uniti siano totalmente assimilabili.
Naturalmente, soprattutto dopo le inchieste sulle ramificazioni di Al Qaeda
in Europa, nulla autorizza a pensare che il Vecchio Continente sia fuori
dal rischio terrorismo.
2. "Nulla è più come
prima". Un evento così devastante da risultare "epocale" (anche
per la sua imprevedibilità!) ha significato un grosso scossone sulle
coscienze, un brusco risveglio da una presunta tranquillità, un
diffuso disorientamento sul modo in cui guardare al mondo. Ma non mi pare
siano seguiti rilevanti cambiamenti nei comportamenti e nella vita quotidiana
(tranne qualche paura in più a volare). O, forse, le paure sono
sedimentate ad un livello più profondo, inesprimibile, e non tale
da suggerire o giustificare comportamenti precisi... Guardando anche alla
geografia internazionale, nulla è cambiato, tranne il cambio di
regime in Afghanistan. A meno che la paventata guerra contro l'Iraq di
Saddam Hussein sconvolga, fra breve, gli equilibri e gli assetti
di tutta l'area...
3. “Tutta colpa del fondamentalismo
islamico”. Anche nel lessico quotidiano ci si è dovuti adattare
a nuovi termini (chi sa esattamente il significato della parola "fondamentalismo"?),
alla ricerca di plausibili schemi di lettura per fenomeni così complessi
ed inesplorati. Il rischio che ne deriva è quello di una lettura
semplificata che contrappone due civiltà, impegnate in un scontro
frontale e letale, incamminate verso una soluzione apocalittica: l'eliminazione
dell'avversario. Ma è davvero tutto l'Islam coalizzato in guerra
contro il "demonio" americano o occidentale? E perché proprio quell'Islam?
Quale ruolo vi gioca, concretamente, la drammatica ed insoluta questione
palestinese?
Fin qui gli stereotipi e le sottili
disquisizioni. Terribilmente povere e fuori luogo, rispetto all'orrore
di quelle stragi. Ma proprio l'impatto emotivo ri-suscitato dalla memoria
di un evento così enfatizzato a livello mediatico dovrebbe obbligarci
a disseppellire altre stragi dimenticate, dai Balcani, a Timor Est, passando
per l'Afghanistan. E i genocidi del Centro Africa? Non è inutile
ricordarci che la geografia della "mattanza" è ben più estesa
del perimetro delle Twin Towers.
piero agrano