Sui tanti dibattuti problemi di riforma
della scuola italiana, il 12 agosto è stato riportato su “La Stampa”
un confronto di opinioni tra Chiara Saraceno e Giorgio Chiosso. Di tale
scambio di idee, che verteva sulla Riforma Moratti (Riforma mancata o Riforma
provata?), trovo sollecitante la domanda del prof. Chiosso: “Perché
rifiutare la sperimentazione?”.
La politica scolastica avviata cinque
anni fa dal Ministro Berlinguer - con il provvedimento iniziale di cancellazione
(mediante una semplice circolare) del modello di valutazione studiato,
approfondito e sperimentato per oltre un decennio nella scuola media e
nella scuola elementare - e proseguita negli anni con sempre più
frequenti proposte di mutamenti che avevano progressivamente creato una
crescente situazione di sconcerto e di sfiducia negli insegnanti e nelle
famiglie -, si concluse con la tanto contestata legge di riforma dei cicli,
che accrebbe il già diffuso clima di sconcerto e di sfiducia.
Il nuovo governo, col Ministro Moratti,
per bloccare l’avvio della “scuola dei cicli”, nell’autunno scorso presentò
un suo progetto di riforma (la cosiddetta “Riforma Moratti”), richiedendo
al Parlamento una delega per la sua attuazione.
In entrambi i casi (con Berlinguer
e con Moratti) le iniziative prestavano scarsa attenzione agli insegnanti
(attraverso i quali si deve realizzare ogni riforma) e agli utenti (i genitori,
per la scuola di base, e, insieme a loro, gli studenti nelle superiori).
Le recenti proposte di sperimentazione
avanzate dal Ministro Moratti (anche se da taluni viste come un tentativo
di aggirare i troppi ostacoli finora incontrati dalla sua proposta di legge),
mi sembra meritino d’essere valutate con attenzione:
1 - le proposte si ispirano ad uno
stile di riforma normativamente previsto (i cosiddetti “decreti delegati”
del 1974) e già ampiamente sperimentato da oltre venticinque anni
(si pensi, per citare solo alcune sperimentazioni, al “Tempo Pieno” nella
scuola media e al “Progetto Brocca” con le sue varie articolazioni nella
scuola superiore);
2 - alle proposte di sperimentazione
(previste rispettivamente per il primo anno di scuola materna, per il primo
anno di scuola elementare e per la scuola professionale) possono liberamente
aderire tutti gli istituti (statali e paritari) che lo desiderano;
3 - all’eventuale sperimentazione
devono dare il loro determinante contributo (sia come assenso iniziale,
sia, soprattutto, nelle fasi di progettazione, di organizzazione, di attuazione
e di prima valutazione finale) operatori scolastici (insegnanti e dirigenti)
e utenti (genitori e studenti)
4 - la sperimentazione non è
legge: i risultati saranno oggetto di attenta valutazione non solo a livello
dei singoli istituti sperimentanti, ma soprattutto a livello di un apposito
organismo nazionale, che si auspica e si spera rappresentativo di tutte
le componenti qualificate della scuola italiana: insegnanti (e loro rappresentanze
professionali e sindacali), utenti (genitori e studenti e loro rappresentanze
associative), enti locali (sui quali sembrano ricadere i maggiori oneri
economici, legati alla attuazione delle sperimentazioni)
5 - eventuali insuccessi finali
consentiranno, senza troppa difficoltà e senza bisogno di specifica
adesione parlamentare, di recedere dalla sperimentazione avviata o di modificarla
in ciò che essa presenta di negativo; in caso di successo, si potranno
comunque (essendo in fase sperimentale) apportare facilmente tutti i ritocchi
e i miglioramenti che verrebbero suggeriti dalle riflessioni e dalle valutazioni
sulla esperienza fatta.
Un tale modo di procedere ritarderebbe,
senza dubbio, nel tempo il varo finale di una riforma generale della scuola
in Italia; darebbe, però, al legislatore l’opportunità di
legiferare, poi, su una materia tanto rilevante per la formazione delle
future generazioni, con maggiore cognizione di causa, sulla scorta di esperienze
già fatte e seriamente ponderate e valutate.
olinto dal lago