BEIT UMMAR - A distanza di pochi
mesi, con Maresa, Enrico, Piero e il Vescovo torniamo in Palestina; scopo
della missione-visita è il finanziamento del campo estivo per i
ragazzi/e traumatizzati dal conflitto, oltre a programmare sul piano istituzionale
il gemellaggio tra la comunità eporediese e quella di Beit Ummar.
Durante il soggiorno abbiamo avuto modo di costatare le conseguenze della
rioccupazione dei territori da parte dell'esercito israeliano: rispetto
al precedente viaggio sono peggiorati i rapporti e le condizioni di vita
del popolo palestinese, si è ulteriormente accentuato il clima d'odio
e allontanato il processo di pace.
Chiunque si rechi in quei luoghi
può cogliere quanto la pace sia voluta disperatamente dal popolo
palestinese: ma perché possa affermarsi oggi, dopo le scelte operate
dal governo israeliano, è necessario percorrere un lungo cammino
all'interno del quale non è rinviabile un processo di democratizzazione
della società palestinese, una rifondazione degli organismi e delle
sue istituzioni, nonché la comparsa di una nuova leadership, in
sostituzione dell'attuale guidata da Arafat, nonostante lui resti un leader
difficilmente sostituibile, tanto è forte e amato dall'intero
popolo palestinese.
Chi si reca in Palestina può
costatare amaramente quanto la comunità internazionale tutta sia
vergognosamente assente, l'Europa complice del silenzio e incapace di assumere
un ruolo. Non dobbiamo stancarci di appellarci e pretendere da questi organismi
interventi concreti, è loro dovere arrestare il massacro, ristabilire
il diritto e assicurare le applicazioni delle risoluzioni dell'Onu. Ma
dobbiamo anche cercare di colmare il vuoto della diplomazia ufficiale mettendo
in campo una forte "diplomazia dal basso": non potrà mai sostituirsi
alla prima, ma potrà facilitare una ripresa dei rapporti e spianare
la strada al processo di pace. Premessa indispensabile, l'intervento di
una forza di interposizione, a salvaguardia e tutela di entrambe le parti
in conflitto.
Spetta a ognuno di noi dare un contributo
per favorire e avviare interventi e progetti di riappacificazione e mediazione.
Favorendo visite e scambi culturali, capaci di coinvolgere un vasto numero
di studenti e giovani, potremo seminare e coltivare nelle nuove generazioni
una cultura di pace e della non violenza. Abbiamo avuto modo di constatare
quanto sia utile un intervento educativo in tale direzione, ma difficilissimo
se si è circondati, sottomessi, costretti a vivere e subire una
condizione di violenza.
Ecco che progetti come quelli sostenuti
dalla nostra comunità, capace di intervenire all'interno delle due
parti coinvolgendo la società civile di entrambe, assumono un valore
immenso, che supera il valore economico dell'impresa: sono progetti capaci
di rompere i muri che separano gli uni dagli altri, facilitare il confronto,
i rapporti e le relazioni tra individui.
Abbiamo avuto modo di constatare
che molti strati della popolazione israeliana vivono una condizione di
disagio - la disoccupazione cresce e il ridimensionamento dello stato sociale
getta vasti settori in uno stato di povertà -. Cresce, altresì,
l'opposizione al governo Sharon: durante la nostra presenza vi è
stato uno sciopero generale di tre ore proclamato dalle organizzazioni
sindacali; cresce il movimento pacifista, i nostri amici di Ta'Ayush sono
tra i gruppi più attivi e tra i pochi che praticano un intervento
concreto di solidarietà, capace di mobilitare vasti settori della
società israeliana. Abbiamo partecipato a una manifestazione, da
loro organizzata, che doveva unirsi con i manifestanti di Betlemme, ma
l'esercito ci ha impedito l'ingresso nella cittadina ricorrendo alla forza,
ci sono stati momenti in cui si è temuto il peggio. La manifestazione,
del tutto pacifica, assumeva un grande significato poiché ad aderirvi
a Betlemme c'erano tutte le componenti dell'Anp; indicative sono state
le parole del Sindaco, che con un "ponte" telefonico improvvisato siamo
riusciti ad ascoltare: "…C'è una volontà atta a impedire
che i nostri popoli possano incontrarsi e conoscersi, gli unici israeliani
che noi conosciamo sono i militari, gli unici palestinesi che voi conoscete
sono i kamikaze".
Mercoledì 7 agosto raggiungiamo
il villaggio dopo aver superato alcuni check-point lungo la strada che
collega Gerusalemme a Beit Ummar; giunti all'ultimo di questi, si è
reso necessario un intervento di convincimento e mediazione di mons. Miglio,
altrimenti il nostro autista e Claudette Habesc - vice presidente internazionale
della Caritas -, palestinesi entrambi, non avrebbero potuto varcare quel
posto di blocco e unirsi a noi. Ad aspettarci una delegazione del villaggio,
sorridente e felice del nostro arrivo: alcuni sono visi noti, avendoli
incontrati nel viaggio precedente.
Dopo aver incontrato il Sindaco
e alcuni rappresentanti del Consiglio comunale, ci conducono presso la
famiglia che ci ospiterà: avremo così modo di conoscere e
apprezzare l'ospitalità dei palestinesi, popolo generoso e gentile;
quindi ci conducono al campo estivo dove da pochi giorni è iniziata
l'attività.
L'impatto con i ragazzini è
stato di forte emozione, un'accoglienza calorosa ci è stata riservata,
un'accoglienza fatta di canti e balli nazionali, sventolando le bandiere
della Palestina e dell'Italia; tutti e tutte indossavano una maglietta
Beit Ummar-Ivrea, stampata come segno d'amicizia; la musica e i balli ci
han contagiato positivamente, ci siamo lasciati trascinare da quel clima
di festa, da quei ragazzini dai sorrisi e occhi stupendi, ballando anche
noi una sorta di tarantella.
Nel fare visita a un villaggio palestinese
colpisce l'alto numero di bambini che s'incontra nelle strade: ce ne sono
ovunque, in ogni angolo, vocianti e allegri, dai bellissimi lineamenti,
desiderosi di essere fotografati; ma si percepisce anche quanto sia già
presente e forte il loro senso d'appartenenza, il sentirsi parte di un
popolo, il sentirsi soggetti attivi di una lotta contro l'occupazione e
l'occupante. Certo, gli sguardi e gli occhi di quei bambini che hanno avuto
la perdita di un familiare, o il fratello gravemente ferito da un proiettile
esplosivo fatto partire da un militare dal vicino check-point, in un momento
in cui con gli amici si rincorrevano nel gioco - un gioco dove, sfortunatamente,
veniva usata un'innocente e comune pistola di plastica -, quegli sguardi
e occhi sono diversi e non vi è solo tristezza in loro, sembrano
chiedere a noi una spiegazione, un perché. Fare visita a persone
che hanno perso familiari e amici in incursioni o attacchi dei militari
e parlare di pace e convivenza è arduo, e le parole di solidarietà
sono insufficienti, si esce con un nodo alla gola e ci si sente in parte
corresponsabili.
Da questa esperienza torniamo convinti
della necessità di intensificare gli sforzi per accrescere gli aiuti
e rafforzare i legami, e che il cammino che abbiamo iniziato a percorrere,
con il progetto "Un Varco di Pace", è tale da riuscire ad accendere
nuovi sorrisi e suscitare nuove speranze, in una terra stupenda martoriata
da un conflitto e da tanta sofferenza. Siamo consapevoli che un mondo diverso
sarà possibile solo se in quest'area potranno affermarsi la pace
e la giustizia sociale.
salvatore rao
assessore alle politiche sociali
comune di ivrea