IVREA - Non potevo mancare alla S.
Messa esequiale per mons. Cesare Meaglia, nella Cattedrale di Ivrea, la
mattina della solennità dei SS. Pietro e Paolo. Presiedeva il vescovo
mons. Arrigo, che nell'omelia, mentre rilevava la significativa ricorrenza
dei due "primi tra gli Apostoli" illustrava il lungo, fecondo apostolato
di mons. Meaglia, dal Seminario alle responsabilità nella pastorale
diocesana, particolarmente nella pastorale della famiglia.
Ho anch'io rilevato la singolare
coincidenza con la solennità dei due grandi Apostoli, così
diversi tra loro eppure così importanti nel cammino della Chiesa.proprio
per la loro diversità. Anch'io - dicevo - se all'inizio del mio
ministero canavesano, pur essendo allora molto giovane (almeno come vescovo)
e provenendo da ambienti molto diversi, ho potuto affrontare con fiducia
e serenità il non facile compito di vescovo chiamato ad attuare
l' "aggiornamento conciliare", è perché ho avuto anch'io
i miei due… apostoli, mons. Pietro Costanzo come Vicario Generale, quindi
responsabile della Curia e gestore del clero, e mons. Cesare Meaglia, Vicario
per la pastorale e particolare curatore dei laici, due ecclesiastici così
diversi, ma così vicini nell'amore alla Chiesa diocesana e così
impegnati e leali e impegnati nella collaborazione col vescovo.
Mi chiedevo se don Cesare non avrebbe
fatto qualche ora di Purgatorio in più per aver ripetuto che le
sue colpe fondamentali, particolarmente nei confronti col clero, erano
tre: 1) essere stato Rettore del Seminario, 2) non essere mai stato parroco,
3) essere troppo amico del vescovo.
Quanto all'essere stato Rettore
del Seminario, riconoscevo che molti sacerdoti ricordavano il rigore con
cui aveva assolto il suo compito, iniziato da molto giovane con chierici
che - almeno alcuni - erano stati anche suoi compagni. Ma è vero
che l'essere stato chiamato a succedere al venerato mons. Frola, molto
remissivo negli ultimi anni, l'aveva costretto inevitabilmente a imporre
una disciplina severa. Del resto se - come osservavo . ho sempre riconosciuto
il clero d'Ivrea come uno dei migliori tra i tanti che ho incontrato nelle
mie peregrinazioni, credo lo si debba anche a lui; e forse non era un caso
che tra i suoi alunni si potessero contare ben otto vescovi (di cui uno
Cardinale), come succede solo ai Rettori dei grandi Collegi romani.
Quanto al non essere mai stato parroco,
ho ricordato che quando gli fu imposto di fare il Rettore del Seminario
stava preparandosi al concorso per parroco di S. Grato in Borghetto (fu
poi nominato don Fiorina a cui è succeduto don Duretto, nipote di
mons. Meaglia, quasi segno di predestinazioni familiari). E quando don
Mosetto rinunziò alla parrocchia di S. Lorenzo, la proposi a lui
(promettendogli il nipote come viceparroco), ma non si sentì di
accettare, forse in un momento ricorrente delle sue difficoltà psicologiche,
che furono croce di tanta parte della sua vita.
Quanto poi all'amicizia col vescovo,
non si trattava di adulazione, al massimo si sentiva forse liberato dall'abitudine
del formalismo fino allora tradizionale nelle istituzioni ecclesiastiche;
per questo, contro le rigide norme di un tempo aveva incominciato a usare
il clergyman, a guidare l'automobile, anche a fumare qualche sigaretta.
In realtà era l'accoglienza degli stili dei vescovi, così
diversi tra di loro ma assegnati via via dalla Provvidenza come complementari
e stimolatori di varietà nel cammino della Chiesa eporediese. Curava
molto l'amicizia, anche con chi si soleva definire "lontano": un'amicizia
fatta di rispetto, di simpatia, di ascolto e, se necessario, di dissenso.
Certo a me questa amicizia è
servita molto nell'avviare e sviluppare la realizzazione del Concilio,
soprattutto per la strutturazione di una Chiesa-comunione (per la Liturgia
il rinnovamento era già stato encomiabilmente avviato da mons. Mensa,
il vescovo del Concilio) e per il coinvolgimento dei laici, per quel suo
saperli ascoltare e renderli così protagonisti per la crescita della
Chiesa. Ed era un'amicizia che mi offriva l'incontro con le persone e le
famiglie a lui più vicine, e si allargava alla partecipazione ad
alcuni miei viaggi e ad alcune mie uscite per conferenze.
Questa amicizia gli permetteva di
fare anche a me osservazioni e riprovazioni, come il rammarico per un mio
insufficiente impegno per la pastorale familiare o…la critica per i periodi
troppo lunghi, quando gli davo da leggere i miei scritti prima di pubblicarli.
Sono venuto al funerale - dicevo
- per ringraziarlo della sua amicizia e della sua collaborazione, come
mons. Arrigo l'aveva già fatto a nome di tutta la diocesi. E per
assicurargli la preghiera costante, certo che il Signore, per la sua dedizione,
per le molte croci subite, per le nostre preghiere, gli avrà scontato
le manchevolezze che tutti portiamo con noi, dandogli finalmente il premio
e la serenità dei Suoi amici.
Grazie don Cesare Matteo, ti ricorderemo.
+ luigi bettazzi