Croce o palo?

I Testimoni di Geova sostengono che Gesù sia morto appeso ad un palo. Ecco quanto si legge nelle loro pubblicazioni: 
«Gesù non morì su una croce. Morì su un palo. La parola greca tradotta "croce" in molte Bibbie indicava un solo pezzo di legno. Il simbolo della croce deriva da antiche religioni false. I primi cristiani non usavano né adoravano la croce» ... «Il peso dell’evidenza indica quindi che Gesù morì su un palo verticale e non sulla croce tradizionale».
(Si veda Ragioniamo facendo uso delle scritture, pp. 85-89)

Queste, come si nota, sono affermazioni certe e sicure. È interessante, tuttavia, l'ammissione fatta qualche anno fa dalla Watch Tower: «Ebbene, cosa indica questo circa il modo in cui fu messo a morte Gesù? In realtà ben poco! [...] molto probabilmente [non si dice certamente] Gesù fu messo a morte su un palo verticale senza un legno trasversale. [...] Si riconosce perciò che le raffigurazioni della morte di Gesù contenute nelle nostre pubblicazioni [...] sono soltanto ragionevoli rappresentazioni artistiche della scena, non espressioni di certezze anatomiche» (La Torre di Guardia del 15/8/87, p.29, corsivo e parentesi quadre miei). Il dogmatismo delle osservazioni sopra riportate contraddice l'incertezza espressa in questa rivista.

In sé la faccenda può essere poco rilevante, ma per i TdG la questione palo/croce è talmente importante che se qualcuno di loro osasse sostenere che Gesù è morto su una croce verrebbe disassociato per apostasia! La croce sarebbe uno strumento pagano di adorazione. Raffigurare la croce, significherebbe quindi, come scrive la Torre di Guardia, rappresentare "simboli religiosi derivanti dall'antico paganesimo". (Si potrebbe osservare a questo proposito che, secondo le Scritture, è proprio il palo ad essere un simbolo religioso pagano per eccellenza! Molte volte le Scritture parlano infatti dei pali sacri adorati come simboli fallici).

Numerose prove - storiche, scritturali e linguistiche - dimostrano invece che Gesù morì proprio su una croce:

I termini greci stauròs e xylon si possono riferire a tutte le varie forme che gli strumenti di tortura di materiale ligneo (xylon = legno) hanno assunto nel corso dei secoli. Stauròs e xylon significavano quindi anche «croce». Le testimonianze storiche provano che i Romani costringevano i condannati a portare il braccio trasversale della croce (patibulum) fino al luogo dell'esecuzione, dove venivano inchiodati (o legati) e issati allo stipes, il palo verticale che si piantava per terra, venendo così a formare la croce a due braccia. Tertulliano (II sec. d.C.), nel suo Apologetico (XVI, 7), scrive: «È parte di una croce ogni legno che sia posto in direzione verticale» (il corsivo è mio). Il «palo» era quindi solo una parte della croce, a cui andava aggiunto il braccio trasversale. I romani rispettavano minuziosamente un rituale predeterminato nell'eseguire le crocifissioni "ufficiali", come quella di Gesù (vi sono numerose testimonianze nelle fonti antiche). Si iniziava con la flagellazione, a cui seguiva il corteo verso il luogo dell'esecuzione, durante il quale il condannato doveva portare il suo stesso patibolo (il braccio trasversale della croce); vi era quindi il titulus, il cartello con la causa poenae che veniva posto sopra il capo del condannato. In Matteo 27:37 è scritto: «Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "Questi è Gesù, il re dei Giudei"». Se Cristo fosse stato appeso ad un palo, si sarebbe detto "al di sopra delle sue mani". A parte casi speciali quindi, in occasione delle sentenze "regolari", come quella di Gesù, il patibolo aveva le seguenti forme "ufficiali":

  1. crux immissa o capitata, a quattro braccia, quindi con il sostegno verticale che sporgeva oltre quello orizzontale;

  2. crux commissa, a forma di T;

  3. crux decussata, la cosiddetta croce "di sant'Andrea".

Nel caso di Gesù, per poter affiggere il titulus, doveva trattarsi di una crux immissa.

Le versioni latine del Nuovo Testamento traducono sempre stauros con crux. In latino esistevano termini distintivi per indicare palo e croce. Palo in latino si scrive palus, adminiculum (quando è usato per sostegno), vallus (quando è impiegato per una staccionata). Quando si voleva descrivere uno strumento di tortura si diceva: ad palum alligare; figere in palum. Non si usava il termine crux, che era invece impiegato proprio per la croce a due braccia. Le prime traduzioni latine della Bibbia risalgono al 180 d.C. e tutte rendono stauros con crux, e non con palus. In quel tempo il greco era ancora una lingua internazionale e le crocifissioni ancora in uso. Se la più comune forma dello stauros fosse stato il palo, gli scrittori latini avrebbero quindi scritto palus.

Riguardo alla forma dello strumento impiegato dai romani, il Grande Lessico del Nuovo testamento di Kittel-Friedrich, (vol. XII) precisa che, quando non si trattava di una croce ma del semplice palo, si preferiva distinguere, e al posto di stauros si usava il termine skolops che significa "palo appuntito all'estremità superiore".

L'intero argomento non merita questa considerazione: solo i TdG attribuiscono grande rilievo ed importanza alla questione per 'dimostrare' che la cristianità si sarebbe contaminata con il paganesimo, adottando il simbolo della croce. In realtà, le prove scritturali, linguistiche, storiche ed archeologiche smentiscono queste assurde pretese. Dal 1879 al 1931, la rivista La Torre di Guardia riportava in copertina il simbolo «pagano» della croce. Anni dopo essere stati liberati da «Babilonia la Grande»  (la "falsa religione" secondo i TdG), liberazione avvenuta, secondo le teorie geoviste nel 1919, i TdG accettavano ancora la croce come strumento della morte di Cristo! Fu Rutherford, secondo presidente della Watch Tower, ad avere l'idea che essa fosse pagana e babilonica e ad inventarsi la storia del palo di tortura.

Sulla copertina della rivista Torre di Guardia, dal 1891 al 1931, compariva la croce.
I TdG erano soliti portare anche una spilla raffigurante questo simbolo, ora ritenuto pagano.
(Cliccando su questa foto si può visualizzare una pagina
in cui si parla dell'origine di tali simboli)


La tradizione cristiana primitiva attesta che Gesù 
morì su uno strumento a forma di croce

Tertulliano (II secolo d. C.), parlando dei simbolismi del Vecchio Testamento raffiguranti la croce, scrive: «Evidentemente quelle mani messe l'una sull'altra a forma di croce dovevano raffigurare Cristo». (Il Battesimo, VIII, 2).

«È per opera del Verbo di Dio che tutte le cose quaggiù sono state disposte e strutturate - per questo la crocifissione del Figlio di Dio si è compiuta anche lungo tutt'e quattro queste dimensioni, quando egli ha tracciato sull'universo il segno della sua croce. Infatti, col suo farsi visibile, ha dovuto rendere visibile la partecipazione di questo nostro universo alla sua crocifissione, per mostrare, con la sua forma visibile, l'azione che egli esercita sull'universo visibile: che egli cioè illumina l'altezza, cioè tutto quanto è nel cielo, che contiene la profondità, cioè quanto esiste nelle viscere della terra, che estende la sua lunghezza da oriente a occidente, che governa come nocchiero la regione di Arturo e la larghezza del Mezzogiorno, chiamando d'ogni parte coloro che sono dispersi, alla conoscenza del Padre». Ireneo di Lione (140 ca. - 202 ca.), Dimostrazione della predicazione apostolica, 31-34.

«Non veneriamo le croci né le desideriamo. Voi piuttosto, che venerate idoli di legno, adorate forse le croci di legno, perché parti dei vostri dèi. Che altro sono le insegne, gli stendardi e i vessilli militari, se non croci dorate e ornate? I vostri trofei di vittoria imitano l'aspetto non solo della croce nuda, ma anche dell'uomo su di essa affisso. Il segno della croce ci si presenta, spontaneamente, nella nave, quando viaggia a gonfie vele e quando procede a remi alzati; quando si innalza il giogo, è un segno di croce, e così pure se l'uomo prega Dio spiritualmente con le mani elevate. Perciò il segno di croce, o si basa su dati naturali, o viene espresso dai vostri usi». Minucio Felice (II sec. d.C.), Ottavio, 29,2-3.6-8.

«Ponete mente difatti a tutte le cose che sono al mondo e vedete se, senza questa figura, si possano costruire e combinarsi. Il mare, ad esempio, non si fende se questo trofeo, sotto il nome di vela, non stia intero sulla nave; la terra non si ara senza di esso; gli zappatori e i meccanici non compiono il lavoro se non mediante arnesi fatti a questa foggia. La forma umana poi per nessun'altra caratteristica si distingue da quella degli animali irragionevoli, che per essere eretta e possedere l'estensibilità delle mani e presentare sul volto il naso, per il quale si compie la respirazione vitale, così disposto sotto la fronte da formare appunto una croce. Per bocca del Profeta fu detto: Il respiro della nostra faccia è Cristo Signore (Lam 4,20). E ad attestare la potenza di queste figure stanno i vostri stessi emblemi, cioè i vessilli e i trofei, con i quali voi sempre marciate, ostentando, anche se ciò facciate senza porvi mente, in essi appunto il segno del dominio e del potere. E i simulacri, che innalzate, dei vostri Imperatori morti, con iscrizioni che li deificano, non hanno anch'essi questa foggia? E ora che abbiamo cercato, per quanto era in noi, di convincervi, sia con ragionamenti, sia mostrandovi il valore di questo segno, ci sentiamo esonerati d'ogni responsabilità, se voi restate increduli». Giustino, Prima apologia, 55 (II sec. d. C.).

«Il fatto poi che fosse ordinato che quell'agnello dovesse essere completamente arrostito [si riferisce all'agnello pasquale ebraico, n.d.r.] era simbolo della passione di croce che Cristo doveva patire. Infatti l'agnello che viene arrostito si cuoce in una posizione simile alla forma della croce, poiché uno spiedo diritto viene conficcato dalle parti inferiori alla testa, e uno messo di traverso sul dorso e vi si attaccano le zampe dell'agnello». Giustino, Dialogo con Trifone, 40,3, II sec. d. C.

«Anche Mosè ebbe la rivelazione della crocifissione quando il popolo di Israele, attaccato dai nemici, stava per subire una sconfitta, permessa da Dio perché imparasse che i suoi peccati lo travolgevano nella rovina. Lo spirito allora ispirò al cuore di Mosè di rappresentare una figura della croce e di colui che vi avrebbe sofferto sopra (significando anche che, se non si confida in lui, si verrà travolti da un'eterna sconfitta). Mosè dunque ammucchiò armi su armi in mezzo alla battaglia: si pose così al di sopra di tutti, e stese le braccia. Subito Israele cominciò a vincere. Ma ogni volta che le abbassava, subito venivano sopraffatti. Perché tutto questo? Perché comprendessero che non avrebbero potuto salvarsi senza confidare nel crocifisso» (cfr. Es 17:8-16). Lettera di Barnaba, 10-12, ca. 100 d. C. (La Società Torre di Guardia parla della Lettera di Barnaba nella sua rivista Svegliatevi! dell'8/5/1977, pp.27-8, e ne cita alcune affermazioni sulla croce, tratte da una particolare interpretazione di alcuni passi biblici. La Società però non cita questo chiarissimo ed inequivocabile passo della Lettera in cui si dice lo stauròs aveva la forma della tradizionale croce).

Da queste testimonianze si evince con chiarezza che la croce aveva la forma consueta a quattro bracci e non era un semplice palo.

Quanto sopra è un esempio a dimostrazione di quanto sia superficiale l'"erudizione" biblica e storica dei Testimoni, in questo come in molti altri argomenti.

Lorenzi Achille


Croce o palo?
Un altro interessante studio di Claudio Forte
sul medesimo argomento.

Patì sotto Ponzio Pilato?
Un'analisi critica delle obiezioni che alcuni TdG 
hanno espresso nei confronti di un libro di Vittorio Messori.

La croce nelle iscrizioni e nell'arte dei primi secoli
Esistono raffigurazioni della croce 
sin dai primissimi tempi dell'era cristiana.


Opere consultate e suggerite per chi vuole approfondire:

Achille Aveta, I Testimoni di Geova: un’ideologia che logora
Appendice (a cura di Sergio Pollina), ed. Dehoniane, Roma, 1990.

Vittorio Messori, Patì sotto Ponzio Pilato?, ed.S.E.I., Torino, 1992.

Raymond E. Brown, La morte del Messia, Brescia, Queriniana, 1999.
Un voluminoso commentario ai racconti della passione 
nei quattro Vangeli,abbastanza specialistico ed indicato 
per una lettura di approfondimento.

Josef Blinzler, Il processo di Gesù, Brescia, Paideia, 1966.
Meno impegnativo e di più facile lettura, 
sebbene meno aggiornato e specialistico.

La Teologia dei Padri, Città Nuova Editrice.