Studiate o cani!

Basta col "consumismo" dello zelo

(Salmo 118,139; Gv 2,17)...

Il tempo del fideismo e del dogmatismo è finito!

 

 

 

Studiate o cani! Se volete uscire dal pantano, studiate o cani di onice dell'immobilismo produttivo: Goethe.

 

Per uscire dal pantano improduttivo della velocità della luce assoluta ma relativa, occorre Goethe, la cui scienza sulla POLARITÀ della luce produsse almeno la POLAROID. Di questo strumento per la fotografia a colori, ho parlato varie volte come di una prova concreta della realtà della polarizzazione luce-ombra, sulla quale le odierne università mostrano di essere mute, sorde e cieche, proprio come le tre scimmiette:

 

sulla-riforma-della-mentalità.htm

sul-buio.htm

sulla-convenzione-assoluta.htm

firemind-chiari-e-scuri.htm

sulla-teoria-della-relativita-(ottava-parte-conclusione).htm

 

Steiner considerava le Università: "antidiluviane, anche se idolatrate da tutti" (R. Steiner, "Lo studio dei sintomi storici", Ed. Antroposofica, Milano 1961, p.167).

 

Ed aveva ragione proprio perché sono università che non sopportano l'universalità. Sono quindi università retrograde perfino rispetto alla loro stessa etimologia.  

 

Dalle università si esce infatti cotti, rintronati, relativizzati a dovere, come cagnolini fedeli di onice, cioè senza alcun moto interiore. Studiate o cani di onice! Il "cane di onice" della famosa "Fiaba" (o "Favola" del serpente verde e della bella Lilia o "Il serpente verde") di Goethe, simboleggia infatti la staticità mortifera del fideismo e del dogmatismo, contestato dal Cristo come ritualismo statico, immobilissimo, truffaldino e cruento del debito pubblico (Matteo, 21,12; Marco, 11,15; Giovanni, 2,14-15).

 

Ecco perché nelle università non vige l'universalità secondo la quale se hai due mele e ne mangi una resti con una sola mela. Vige la relatività, secondo la quale due meno uno fa quello che vuoi tu. In base a ciò, fare economia non significa risparmiare ma indebitarsi, che è proprio il contrario del fare economia, per cui dal tempo di Cesare sono fatte accettare come cose buone e giuste idee come l'"economia del debito", l'"economia di deficit", il "debito inesigibile", il "debito pubblico" e così via. Nelle facoltà di economia si studia l'econòmia non l'economia, cioè l'econòmia attraverso il "nòmos" che in greco significa legge. Non si studia l'economia attraverso "nomòs" che significa pastorizia, pecore, pecunia, ecc. Perciò si studia l'econòmia. E si è sempre senza pecunia reale, essendo sempre in crisi l'economia reale.

 

Svegliatevi o cani di onice! La scienza di Goethe potrebbe agire non soltanto come una macchina fotografica Polaroid ma in ogni campo del pensare, in ogni ramo del sapere, nonché in tutti gli organismi sociali della convivenza umana (vita politica ed economica comprese).

 

Da secoli però l'individualismo istintivo, rifiutando l'intuizione della possibilità della propria metamorfosi in individualismo etico (R. Steiner, "La realtà della libertà", cap. 12° de "La filosofia della libertà") e negando la vivente piena realtà dell'io, è andato incontro ai mali del collettivismo comunista, fascista e nazista, cioè a mali che, nonostante la loro diversità, furono tutti accomunati dall'anelito all'eliminazione dell'ometto borghese per creare l'ometto "nuovo".

 

Hitler dichiarava la priorità dell'istinto, dell'azione e della volontà rispetto alla "ragione diventata fine a se stessa" di cui l'uomo doveva liberarsi, e diceva: «Non amo Goethe, ma a causa di una frase che ha detto, sono disposto a perdonargli molto: "All'inizio era l'azione"» (H. Rauschning, "Colloqui con Hitler", Ed. Tre Editori, Roma 1996, pp. 206-207). Queste cose le aveva imparate da Lenin, da Trozki e dai Gesuiti. Ecco ancora le parole di Hitler: "Ho sempre imparato moltissimo dai miei avversari. Ho studiato la tecnica rivoluzionaria leggendo Lenin e Trozki e altri marxisti. E dalla Chiesa cattolica, come dalla Massoneria, ho ricavato dei suggerimenti che non avrei potuto avere in nessun altro luogo [...]. Ho imparato soprattutto dall'Ordine dei Gesuiti. Del resto lo ha fatto anche Lenin, per quanto mi ricordo» (ibid., pp.205 e 219).

 

Il fascismo perciò condivideva tale "fiducia negli istinti" hitleriana, la cosiddetta VOLONTÀ del Duce scritta sui muri, a scapito della coscienza e del pensare. In una lettera del 1944 al figlio, Giuseppe Bottai (1895-1959) - faccio notare che la legge fascista detta legge Bottai sui beni culturali rimase in vigore dal 1939 al 2000 - così confessa: "Noi fummo tratti a fidare soprattutto in noi; il che vuol dire sulla nostra VOLONTÀ, che ci fece ritenere illimitata la nostra potenza creatrice, più che sulla nostra coscienza, che ce ne avrebbe mostrati i limiti. Di qui, il nostro "VOLONTARISMO", il nostro "arditismo", il nostro "combattentismo", il nostro "ducismo", che, ottimi moti in sé a contrastare l'inerzia della vecchia Italia post-risorgimentale, ci dettero una fiducia smodata nei mezzi più estrinseci e immediati dell'azione politica... Il nostro fare diventò, così, uno strafare; e sdegnosi di quella formula dei padri, secondo la quale la politica è l'arte del possibile, operammo come se la politica fosse l'ARTE DELL'IMPOSSIBILE, DEL MERAVIGLIOSO, DEL MIRACOLOSO" (G. B. Guerri, "Giuseppe Bottai, fascista", Ed.  Mondadori, Milano 1996, pp.221-222).

 

E il comunismo? Il comunismo non era da meno. Lo slogan di Gramsci: "pessimismo del pensiero, ottimismo della VOLONTÀ". Anche il comunismo, dunque, a dispetto della sua presuntuosa facciata scientistica e intellettualistica, privilegiava la VOLONTÀ, cioè l'azione o la "prassi", a scapito della coscienza e del pensare, puntando perciò sulla politica, nonché sulla stessa ARTE DELL'IMPOSSIBILE, DEL MERAVIGLIOSO, DEL MIRACOLOSO.

 

Oggi come stanno le cose? A me non risulta che l'UE (l'Unione Europea) e l'Occidente abbiano sostituito i ragionamenti astratti di una "ragione diventata fine a se stessa" (come diceva Hitler) con ragionamenti concreti, e nemmeno che abbiano fatto tesoro della tragica lezione che ebbero dalle guerre mondiali e non mondiali fino ad oggi. Non ebbero mai un'apertura verso la vita dell'io, e il loro agire non fu mai ricolmo di pensare. Eppure - per fare un paragone molto semplice - lo sanno tutti che, privando il corpo dell'acido ascorbico, si va incontro allo scorbuto. Come mai nemmeno oggi nessuno collega una simile carenza a malattie ben più pericolose, dovute al fatto di privare l'attività interiore dello spirito, cioè dell'io (del suo moto, della sua entità, della sua essenza; l'io viene eliminato oggi dalla scienza, lo si crede una sovrastruttura)? Le loro attività interiori, cioè le loro anime - ripeto -, non si aprirono mai né all'io ne all'universalità del pensare. Non ho mai sentito un politico parlare di universalità del pensare.

 

Così, come nella seconda metà dell'Ottocento l'individualismo borghese (egoico), rifiutandosi di adempiere a questo compito dell'io, ed allo stesso modo nel corso del Novecento, quello stesso individualismo borghese dovette patire il collettivismo POLITICO-IDEOLOGICO comunista, fascista e nazista, oggi allo stesso modo, perseverando in quel rifiuto, quello stesso individualismo rischia non solo di riprendersi la malattia ma di cronicizzarsi nella forma dell'islamismo: in forma, cioè, di un collettivismo POLITICO-RELIGIOSO che - guarda caso - è totalmente imperniato sulla VOLONTÀ (e quindi sull'obbedienza). Non lo dico di mio, dato che fu presumibilmente Essad Bey a scrivere nella prefazione del 1935 all'edizione italiana della sua biografia di Maometto che "il fascismo può, in un certo senso, esser chiamato l'Islam del secolo ventesimo" (Cit. in Gino Cerbella, "Fascismo e Islamismo", Ed. Maggi, Tripoli 1938, p. 11).

 

Tengo a precisare che l'Islam è per me come lo statalismo o come il cattolicesimo (il cattolicesimo non è altro che l'intercapedine dello statalismo), e i politicanti che continuano a blaterare di legalità sono malati, essendo quasi privi di attività interiore.

 

Tutte queste "malattie" hanno in comune il collettivismo. Perché il collettivismo è la contro-immagine autoritaria (politica, ideologica o religiosa) della fraternità, la quale sorgerebbe spontanea se le attività interiori degli europei e degli occidentali fossero viventi e munite di io e non mortificate o morte nel legalismo, appunto. Solo chi è interiormente vivo può infatti impegnarsi a integrare, individualmente ed a metamorfosare liberamente, l'esistenza nell'io e nella coscienza intellettuale (per i quali l'altro da sé è naturalmente un oggetto) con l'esistenza nel "sé spirituale" e nella "coscienza immaginativa" (per i quali l'altro da sé è spiritualmente un soggetto).

 

In altre parole bisognerebbe rendersi conto del fatto che io sono un io solo per me; per ogni altro io sono un tu, e ogni altro è per me un tu.

 

L'io è Dio? Sì l'io è Dio. VOI SIETE DÈI (Salmo 82,6 riportato da Giovanni 10,34). L'io del figlio dell'uomo è della sostanza stessa di quello del Padre, così come una goccia del mare è della  sostanza stessa del mare. Tutte le religioni che non vogliono continuare a crocifiggere l'io devono arrivarci. Ovviamente se non vogliono permanere nel religionismo delle guerre (è auspicabile un allargamento della coscienza che l'uomo deve avere di se stesso).

 

Pertanto Europa e l'Occidente, se non vogliono continuare ad illudersi di uscire dal loro materialismo attraverso l'antico spiritualismo teocratico, non possono fare altro che riallacciarsi a quell'aureo filone di pensiero e di cultura contenuto negli scritti scientifici di Goethe, dato che l'universalità del pensare della scienza dello spirito a carattere antroposofico ne rappresenta il frutto più maturo e prezioso. Perciò studiate, o cani di onice.