SULLA RIFORMA... DELLA MENTALITà
L’odierna
civiltà appare storicamente anomala in quanto è la sola che si sia sviluppata in
un senso puramente materiale, ed inoltre la sola che non si fondi su alcun
principio d’ordine superiore. Tale sviluppo materiale, che prosegue ormai da
parecchi secoli e che è andato accelerandosi sempre più, fu sempre accompagnato
da un regresso intellettuale che oggi non ha pari, e che lo sviluppo tecnologico
non riesce a compensare. Perfino lo stesso concetto di intellettualità si è
ridotto alla mera cultura delle scienze sperimentali in vista di applicazioni
pratiche. Molte sono pertanto le contraddizioni che pervadono il sistema
scientifico odierno, le quali esigerebbero perciò non solo di
un rigoroso sapere sperimentale ma
anche di una teoria della conoscenza basata su logica di realtà.
Molti errori dell’odierna scienza naturale dipendono ancora dalla posizione del
tutto falsa che questa scienza assegna alla pura e semplice sensazione.
Come ho
mostrato nel video “Miracolismo emergente come sub-umanesimo [§11]” (https://youtu.be/_DiDRyaBI3k)
ed in quelli precedenti sul lavoro di Lucio Russo (“L’odore di violette”), la scienza
odierna pone le qualità sensibili (suono, colore, calore, ecc.) nel soggetto, e
ritiene che, “fuori” del soggetto, corrispondano a tali qualità solo processi di
movimento della materia o dell’energia. Nel cosiddetto regno della natura,
l’unica cosa esistente sarebbe l’insieme di questi processi di movimento, non
percepibili ma deducibili a partire da tali qualità soggettive. Se il pensare
scientifico fosse coerente o meno superficiale, tali deduzioni apparirebbero
manchevoli, dato che il movimento è innanzitutto un concetto preso in prestito
dal mondo dei sensi e che in tal modo compare solo in oggetti dotati di quelle
qualità sensibili: l’uomo non conosce alcun movimento all’infuori di quello che
avverte negli oggetti sensibili; quando però applica questo predicato ad atomi,
fotoni, quark, ecc., cioè ad esseri non percepibili dai sensi, o ad altri
elementi della materia discontinua, dovrebbe essere ben consapevole che con tale
applicazione attribuisce a qualità percepite sensibilmente una forma d’esistenza
concepita tutt’altro che sensibilmente. Volendo arrivare a un contenuto reale
per il concetto di atomo (o di fotone, quark, bosone, ecc.) cade nella stessa
contraddizione, dato che dobbiamo appunto attribuire all’atomo (o ad una sua
particella) qualità sensibili, e
dimenticando che - anche volendo attribuire a queste “particole” (le chiamo così
perché stanno diventando divinità materiali come le ostie del corpo di Cristo) le qualità
dell’impenetrabilità, o dell’irradiazione di energia, o dell’estensione, ecc. -
queste sono pur sempre qualità prese a prestito dal mondo sensibile, la sua
scienza rimane completamente nel vuoto, cioè priva di contenuto.
In ciò sta la manchevolezza: si tira una linea nel bel mezzo del mondo
sensibilmente percepibile e se ne dichiara una parte oggettiva, e l’altra
soggettiva. Ma solo una cosa è coerente, vale a dire che se gli atomi (o i quark, o i quanti,
o i gluoni, ecc.) esistono, questi sono semplicemente parti della materia, dotate delle
qualità della materia pur essendo impercettibili al nostri sensi a causa della
loro piccolezza. Con ciò però svanisce ogni possibilità di cercare nel movimento
atomico, o delle relative particelle subatomiche, qualcosa che sia lecito
contrapporre come oggettivo alle qualità cosiddette soggettive del suono, del colore ecc.;
e svanisce anche la possibilità di cercare, per esempio nella connessione tra il
movimento e la sensazione del “rosso”, qualcosa di più che tra due fenomeni
appartenenti entrambi totalmente al mondo sensibile.
È dunque chiaro che il movimento dell’etere, la posizione degli atomi, e tutte
le loro qualità, appartengono alla STESSA CATEGORIA delle sensazioni.
Dichiarare queste soggettive deriva solo da una riflessione confusa e superficiale. Se
si dichiara soggettiva la qualità sensibile, si deve dichiarare soggettivo anche
il movimento dell’etere. Se non percepiamo la qualità sensibile dell’etere non è
per una ragione di principio o dogmatica, ma solo perché i nostri organi sensori non sono
abbastanza finemente organizzati. Questa però è una circostanza puramente
accidentale. Potrebbe darsi che in futuro, per un crescente affinarsi degli
organi sensori, l’uomo arrivi un giorno a percepire direttamente movimenti
dell’etere. Se un uomo di quel lontano avvenire accettasse la moderna teoria
soggettivistica delle sensazioni, dovrebbe dichiarare quei movimenti dell’etere
non meno soggettivi di quanto gli scienziati odierni ritengono essere il colore,
le note musicali, gli odori, ecc. Ciò che dunque si può indicare qui come
soggettiva è dunque solo la forma del movimento della sostanza cerebrale. Chi, a
causa di acromatopsia, vede solo differenza di luminosità ma non qualità di
colori, percepirà soggettivamente la realtà. Ciò però non significa che la
qualità dei colori (o degli odori, o delle note musicali), non sia oggettiva.
Soggettivi possono essere solo i processi fisiologici del soggetto. E in ogni
caso, per quanto lontano si possa andare nell’indagine dei processi all’interno
del soggetto, per questa via si dovrà sempre restare nell’ambito del meccanico.
Come si vede, questa teoria fisica (del tirare una linea di demarcazione negli
oggetti di percezione dichiarandone una parte oggettiva e l’altra soggettiva)
conduce a un’irrevocabile contraddizione.
Questa opinione soggettivistica trova poi un secondo appoggio nelle
considerazioni fisiologiche. La fisiologia dimostra che la sensazione sorge solo
come ultimo risultato di un processo meccanico che parte inizialmente
dall’ambito del mondo corporeo posto fuori della nostra sostanza corporea, il
quale comunica se stesso agli organi terminali più esterni del nostro sistema
nervoso e trasmette poi se stesso da qui, cioè da dentro gli organi sensori fino
al centro superiore, dove appunto suscita la sensazione. Le contraddizioni di
questa teoria fisiologica sono evidenti nel campo degli eterei atomi,
quark, ecc., o dell’energia generale, soprattutto quando si pretende ad esempio che
una bastonata in testa sia energia. È stato detto anche questo dagli scienziati. Ecco le
parole di Wilhelm Ostwald (1853-1932), premio Nobel nel 1909 per la chimica:
«Immaginate di ricevere un colpo di bastone. Che cosa sentite? Il bastone o la
sua energia? La risposta può essere una sola: l’energia; poiché il bastone è la
cosa più inoffensiva del mondo, finché non picchia. Ma noi possiamo picchiarci
anche contro un bastone fermo! Quelle che noi sentiamo sono, come abbiamo già
rilevato, differenze degli stati di energia contro i nostri apparati sensori,
perciò è indifferente che il bastone si muova contro di noi o noi contro il
bastone. Ma se entrambi hanno una velocità uguale o ugualmente diretta, per il
nostro sentimento il bastone non esiste più, poiché‚ non può venire in contatto
con noi e produrre uno scambio di energia» (Wilhelm Ostwald in R. Steinser,
“Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe. Per una Fondazione della
Scienza dello Spirito (Antroposofia)”, Ed. Antroposofica, Milano 2008, pp. 249
ss, 266).
Questi discorsi dimostrano che Ostwald isolava l’energia dal campo della
percezione, cioè astraeva da tutto ciò che non era energia: riconduceva tutto il
percepibile all’unica sua qualità della manifestazione energetica, dunque ad un
concetto astratto. È qui chiaramente riconoscibile il fatto ch’egli era
impigliato nelle abitudini mentali della scienza di allora, che è la stessa di
oggi, dato che la scienza è ancora tutta bloccata in tali abitudini. Infatti se
si interrogasse uno scienziato di oggi, non potrebbe addurre nulla a
giustificazione di questo modo di procedere se non che, per lui, è un
fatto psicologico sperimentale che il suo bisogno di causalità è appagato quando
risolve i processi della natura in manifestazioni energetiche.
Dunque così come Emil Du Bois-Reymond (1818-1896) aveva risolto i processi naturali
in una meccanica degli atomi, allo stesso modo Ostwald li dissolveva in manifestazioni
dell’energia! Ma entrambi caddero sostanzialmente nel medesimo errore, dato che
le due soluzioni scaturirono entrambe da pigrizia mentale, o se si vuole,
dalla tendenza del pensiero umano alla comodità. Ecco perché quando la scienza
odierna riconduce tutti i processi a elementi esprimibili matematicamente e
meccanicamente, ciò lo si deve al fatto che, per il nostro pensiero, la
matematica e la meccanica sono facili e comode da adoperare.
E il pensiero umano ama la comodità. Infatti se oggi si chiede a un matematico,
o a un medico praticante, o in genere, a un qualsiasi uomo che pensi
scientificamente, come si immagini ordinato il mondo dal di dentro, costui
risponderà che le cose si compongono di atomi in moto, e che questi atomi, con
l’energia in essi agente, sono le ultime realtà di cui sono costituiti i singoli
fenomeni. Ancora oggi nei giornali o nelle riviste o alla TV si legge e si sente
parlare in mille forme diverse e continuamente dell’impossibilità di trovare
un’altra spiegazione del mondo fisico, all’infuori di quella che riconduce ogni
cosa alla meccanica degli atomi! La materia, il movimento e l’energia appaiono
gli ultimi concetti ai quali si deve riferire la molteplicità dei fenomeni
naturali. E ciò anche se questo approccio del “materialismo scientifico” non era
apprezzato nemmeno da Ostwald (cfr. ibid.).
Infatti in nessun punto dell’ambito materiale di demarcazione fisiologica fra
oggettivo e soggettivo si riuscì, si riesce (né si riuscirà mai) a scoprire la
sensazione. Perché solo la riflessione pensante può spiegare la soggettività e
l’oggettività delle sensazioni. Cosa può esser chiamato “soggettivo” nella
percezione? Occorre ripartire da qui se si vuole veramente ragionare in modo
scientifico. Cioè occorre innanzitutto una precisa analisi del concetto di
“soggettivo” se si vuole chiarire l’argomento.
La soggettività può essere determinata solo da se stessa. Se no, non si tratta
di qualcosa di soggettivo. Mi sembra ovvio. Eppure lo dimentichiamo facilmente.
Tutto ciò che non si può dimostrare come determinato dal soggetto, non può
essere designato come “soggettivo”. Ma al soggetto umano, quale fatto o ente gli si
può attribuire come proprio? Proprio del soggetto umano è tutto ciò che il
soggetto umano può sperimentare in egli stesso, mediante percezione esterna o
interna: mediante percezione esterna afferriamo la costituzione corporea (già
l’infante avverte contro la sua testa la durezza dello spigolo del tavolo che, a
differenza di questo, egli comincia ad afferrare come propria); per mezzo
dell’esperienza interiore, afferriamo il nostro proprio pensare, sentire e
volere.
Cos’è allora da considerarsi innanzitutto soggettivo? È la costituzione
dell’intero organismo; dunque, anche degli ORGANI SENSORI del cervello, che
probabilmente appariranno in ogni uomo in una modificazione molto diversa (a
seconda delle nostre sensibilità). Ciò che però può essere dimostrato per
questa via, è solo una determinata configurazione dell’ordinamento e della
funzione delle SOSTANZE per il cui mezzo la sensazione è trasmessa. Soggettiva è
dunque veramente solo la via che la sensazione ha da percorrere prima di poter
esser chiamata la MIA sensazione. La nostra organizzazione trasmette la
sensazione, e SOLO QUESTE VIE DI TRASMISSIONE SONO SOGGETTIVE; ma la sensazione
stessa non lo è.
Resta ancora da riflettere sulla via dell’esperienza interiore. Cosa sperimento
nella mia interiorità quando dico che una sensazione è MIA? Sperimento di
compiere nel mio pensiero il RIFERIMENTO ALLA MIA INDIVIDUALITÀ, di estendere la
sfera del mio sapere a questa sensazione, ma io so che non sono io a generare il
CONTENUTO delle sensazioni: io determino solo il loro riferimento a me; la
qualità della sensazione è però un fatto fondato in sé, non in me stesso. Da
qualsiasi parte si cominci, da dentro o da fuori, non si arriverà mai al punto
in cui si possa dire: “Qui è dato il carattere soggettivo della sensazione”.
Perché al contenuto della sensazione il concetto di “soggettivo” non è
applicabile!
Quindi mediante riflessione pensante sono costretto a respingere come impossibile
qualsiasi teoria della natura che, per principio (o dogmaticamente), vada oltre il campo del mondo
percepito, e a cercare invece l’oggetto della scienza naturale unicamente nel
mondo dei sensi. Le leggi di natura posso pertanto cercarle solo nella reciproca
dipendenza di tutto ciò che appartiene al mondo dei sensi.
Chi riterrà giuste queste considerazioni, leggerà la polarizzazione luce-tenebra
di Goethe in modo ben diverso da come è letta oggi dagli scienziati o dai
neuroscienziati, dato che riconoscerà che non si tratta qui di contrapporsi o
di non contrapporsi alla scienza goethiana o alle scienza newtoniana, o ancora alla
cosiddetta scienza einsteiniana dell’assoluta… relatività (sic!), ma del farsi
la domanda: L’ODIERNA FISICA TEORICA È ACCETTABILE O NON È ACCETTABILE? A me
pare che non lo sia. Perciò credo che dovrà perdersi la luce che la scienza
odierna ama ancora diffondere sulla polarizzazione luce-tenebra studiata da
Goethe, nonostante su questi studi siano basate invenzioni pratiche come la
macchina fotografica Polaroid e la
televisione a colori.
Come oggi abbiamo perso il sentimento per le qualità in nome del regno dei
“quanti” o della quantità, così perdemmo il sentimento della realtà dei concetti
e delle idee. Ma insieme si perdette anche la fede nello spirito, cioè nella
realtà dell’io umano, in nome del collettivo o del gruppo. E cominciò
l’adorazione di ciò che è puramente materiale.
Ormai non si parla più dell’unità che sta alla base della molteplicità del
mondo; ogni unità è negata, degradata a rappresentazione “umana”. Nella natura
si vide e si vede solo pluralità e/o molteplicità. Questa generica e
fondamentale idea sedusse Newton a vedere nella luce non un’unità originaria ma
qualcosa di composito. Goethe descrisse nel capitolo “Materiali per la storia
della teoria dei colori” una parte dell’evoluzione delle idee scientifiche sulla
natura. Da questa descrizione si vede come la scienza odierna, a causa di idee
generali di cui si serviva per comprendere la natura, sia arrivata, nella
conoscenza dei colori, a opinioni non sane. Questa scienza ha perduto la
comprensione di ciò che è la luce nella serie delle qualità naturali. Ecco
perché ignora pure a priori (cioè in base a sue premesse errate) come la luce
appaia colorata, come cioè nel regno della luce appaia il colore.