Risposte ad Alessandro su luce, suono e... buio
http://digilander.libero.it/VNereo/nv-risposta-ad-alessandro-su-luce-e-suono.pdf
«Mentre
"ruminavo" sulla tua risposta circa la luce mi sono venute in mente altre due
domande: 1) se la luce è dappertutto (perché essa "è") e il giorno e la notte
sono espressioni del tempo, allora perché esiste il buio e che cos'è? 2) se la
luce pur essendo spirito e come tale ovunque, non può essere vista e rende solo
visibili gli oggetti "colpendoli", perché al buio non vedo nulla? Grazie e ciao.
Alessandro».
I concetti originari si attuano. Non così i loro contrari. La luce
rispetto al buio (come
il bene rispetto al male, la vita rispetto alla morte, il piacere o la gioia
rispetto al dispiacere o al dolore, la salute rispetto alla malattia, l'essere
rispetto al non essere, ecc.) è polarità che solo come tale si attua. Infatti
non potrebbe essere se mancasse la tenebra. Allo stesso modo, il buio rispetto alla luce
è di per sé un concetto che non si
attua: è un fatto che vuole operare in luogo dell'io ed apparire luce,
afferrabile come cosa (che sarà sempre illusoriamente afferrata). Il buio è
tutto ciò che, come fatto (o come istituzione, organizzazione, natura, ecc.; si
veda ad esempio la "materia oscura" o l'"energia oscura" dei fisici odierni; o la
spuria "economia politica", spuria in quanto la politica non può essere economia e, viceversa,
l'economia non può essere politica, ecc.)
(1), opera in luogo del concetto originario, nella misura in cui il suo essere
fatto si traduce immediatamente in valore interiore per via di forze che di esso
consentono all'uomo soltanto l'apparire sensibile. Ma l'apparire è il limite di
un'animazione (o moto) proveniente dall'interiorità, che l'io dovrebbe
riconoscere come propria: non il limite che condiziona l'io.
In assenza di luce possiamo ugualmente orientarci: magari non mediante il senso
della vista ma col tatto, per esempio, o con altro senso. In quale luogo che non
sia un'idea si trova il buio? Se esiste la luce materiale esiste anche il buio
materiale, ma dove sono?
Chiedersi perché esista il buio, che cosa esso sia e perché al buio non si veda
nulla, presume l'esistenza della mancanza di luce o della mancanza di tempo, o di qualcos'altro.
Ma in che modo esiste la mancanza di qualcosa? Occorre allora osservare in che
modo esiste il buio. Ciò significa allora far "luce" sulla sua
esistenza. Provo dunque ad osservarlo in me. A me pare che così come il silenzio è
mancanza di suono, così il buio è mancanza di luce. Allo stesso modo esiste il
male come mancanza di bene. Come il male è necessario per capire cos'è il bene,
allo stesso modo il buio è necessario per capire cos'è la luce. In ogni uomo vi è luce e buio.
Ognuno può pensare in modo luminoso ed emanare luce, così come ognuno può
pensare in modo buio, emanando oscurità. La materia oscura o l'energia oscura
della fisica odierna ne sono, appunto, un esempio. Nel pensare umano risiede
un'energia che può emanare luce. Questa energia è una con la nostra vitalità.
In senso antroposofico questa energia è detta corpo vitale o "eterico" perché si
tratta di una forza talmente eterea che non la si vede, non la si percepisce
sensibilmente. O meglio: la si può percepire solo in modo sovrasensibile:
basterebbe osservare un neonato di pochi mesi per avvertirla intorno a lui.
Oppure si può osservare un cadavere all'obitorio per avvertirne la totale
assenza. Solo all'obitorio o di fronte ad un cadavere possiamo infatti vedere
reali corpi fisici umani. Tutti gli altri, quelli che per esempio troviamo sul
tram o nei bar, per strada, ecc., NON sono corpi fisici, ma corpi viventi, dato
che non si decompongono come i corpi fisici dell'obitorio, raffreddati dal
frigorifero per rallentare la loro putrefazione. I corpi fisici degli uomini che
incontriamo al mercato non si decompongono in quanto il loro corpo vitale lotta
incessantemente ed energicamente contro la decomposizione. Quella lotta è opera
del medesimo etere (etere della luce, della vita, ecc.) che irraggia dallo
spazio cosmico. La luce è un'ordinata entità cosmica. L'uomo può decidere che
cosa fare della sua forza o energia vitale: può espandere ulteriore luce o
viceversa ulteriore buio.
In senso filosofico il buio è un contrario. Per Platone i contrari sono
inseparabili: quando c'è l'uno c'è anche l'altro ("Fedone, 60b-c, 83d"; cfr.
anche "Carmide, 168a, 169c", "Repubblica, IV 438b-c", "Teeteto, 176a", "Leggi, VII
815e-816a"). Tutte le cose si generano dal loro contrario mediante un duplice e
reciproco processo generativo. Platone utilizza questa conoscenza dei contrari
anche per la dimostrazione dell'immortalità ("Fedone, 70c-72e"). Nel
mondo immateriale (cioè nel mondo dei concetti e delle idee) i contrari si
presentano come due entità diverse ("Repubblica, V 475e-476a"). Nel mondo
materiale invece appaiono insiti nella stessa cosa ("Repubblica, V 479a-b"). In
che senso ciò costituisca uno stimolo ad elevarsi ad un'episteme senza
contraddizioni, è espresso da Platone in "Repubblica, VII 523b-524c" e in
"Teeteto, 186b").
In senso teologico, il buio, l'oscurità, le tenebre sono il male. Il problema
del male o teodicea riguarda il concetto di tempo e consiste in definitiva
nell'ANACRONISMO che porta la specie umana a genuflettersi, oggi come ieri,
davanti a uomini creduti divinità, nei vari campi, religioso (dogmatico),
filosofico (ideologico) e scientifico (ideologico e dogmatico). Il buio è
comunque un problema che l'io può risolvere, emancipandosi dai condizionamenti
della specie, cioè trovando la luce, consistente nel proprio involucro, che è il
Cristo. Il problema del male era risolto dal Cristo (involucro dell'io) di volta
in volta nell'obiezione "MA IO VI DICO", rispetto al potere "romano-sinedrita",
cioè a quanto era scritto nella Legge (Torà). TALE OBIEZIONE NON ERA ASTRATTA,
DATO CHE AD ESSA SEGUIVANO SEMPRE FATTI, come quello della mano inaridita curata
in giorno di sabato e perciò contro la Legge, o come quello contro l'abominio di
convenzioni non convenienti a tutti (tributi, moneta di Cesare, cambiavalute nel
tempio, ecc.) o aberrate come quella del chiamare un nostro simile "Padre" (Mc
12,17; Gv 2,15; Mt 23,9).
In senso scientifico, il buio è una credenza come l'inconscio, che per
definizione non può essere conosciuto. Dal momento in cui lo si illumina o si
risponde alla domanda "Cosa è il buio?", o dal momento in cui si osserva il buio
nelle sue varie tipologie (buchi neri, materia oscura, buio interiore, ecc.),
già lo si illumina, quindi non è più buio... Diventa: Eureka! Ho trovato.
Diventa luce.
Oggi è il tempo in cui si glorificano ancora i "Padri" dell'economia (Adam
Smith, 1723-1790) o della bomba atomica (Albert Einstein, 1879-1955), e in cui
ci si chiede: se la luce "è", cos'è il buio? Ma la domanda è, in senso morale,
ancora quella relativa all'antico problema del male, in realtà mai risolto: se
Dio c'è o la luce "è", cos'è il male e cos'è la tenebra?
È ovviamente un bene che qualcuno se lo chieda - come ha fatto recentemente
Bergoglio (luglio 2016) nei campi di sterminio nazisti - anche se avrebbe dovuto
saperlo! Avrebbe dovuto saperlo perché oggi l'uomo (OGNI uomo) ha in sé, nella
propria vitalità, un impulso - naturale e sovrannaturale al contempo - che si
oppone alle cose cangianti del mondo, in modo da chiedersi il senso del loro
divenire, proprio per avere una risposta epistemologica, cioè incontrovertibile,
sicura, e/o massimamente stabile. Non solo: l'uomo ha anche la possibilità di
essere sempre più consapevole che questo suo impulso è CRISTICO. Questa sua
dinamica vitale, che gli fa porre le domande, riguarda infatti tutto il
macrocosmo e tutto il microcosmo. Cioè riguarda ogni contrasto tra la forma e la
sostanza delle cose, e tra qualsiasi elemento dell'aggregato SCONNESSO di
sensazioni e il suo divenir CONNESSO grazie al pensare, anzi, grazie
all'universalità del pensare.
Perciò a me pare che il senso scientifico possa essere solo quello
scientifico-spirituale, che considero vera energia. Perché quella del Cristo NON
è religione ma energia, vera forza cosmica, detta logos, che tiene insieme il
cosmo stesso. È dunque ordine universale ("cosmos" in greco significa "ordine"),
intelligenza universale, la stessa che nei bambini fa chiedere "perché"... il
perché delle cose, e la stessa che negli adulti fa obiettare contro le varie
ideologie, teologie (o "teo-ideologie") che ci vengono incontro dal mondo
esterno.
Una volta un prete mi disse: per me il Cristo è un rompicoglioni. E aveva
ragione. Questo spirito lottatore è in noi, in ogni nostro percepire e si trova
quindi in tutta la nostra vitalità in grado di distinguere sindereticamente il
bene dal male, il bianco dal nero, la luce dal buio, ecc. Questo potere è una
straordinaria facoltà evolutiva, presente in TUTTI. Però non tutti lo sanno. Noi
ne siamo compenetrati ma non lo sappiamo. Questo nostro potere è quello di
esseri UMANI, e compenetrando tutta la nostra fisiologia è presente perfino
nella rétina del nostro bulbo oculare, quando percepiamo le cose nella loro
luce, ombra, e colore.
Il seguente esperimento di Goethe (2) te lo mostrerà.
ESPERIMENTO: se per cinque o sei secondi concentri lo sguardo in un punto centrale (punto grigio dell'immagine) circondato da elementi di colorati, puoi sperimentare poi su una qualsiasi superficie bianca l'apparizione sospesa dello spettro opposto di quei colori, così che, ad es., il giallo diventerà blu e viceversa, il rosso diventerà verde, ecc...
Perché?
Perché nell'occhio permangono tanto le impressioni delle immagini colorate quanto quelle delle immagini del loro spettro opposto o CONTRARIO.
In tal modo, cioè grazie a quell'apparizione sospesa di tale spettro contrario di colori, che dura una manciata di secondi, puoi intuire la vitalità della tua rétina. Eppure nessuno parla di tale apparizione, di tale fenomeno, né della vitalità umana.
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E nessuno degli scienziati dell'energia
oscura o della materia oscura si chiede il perché di tale silenzio. Si tratta di
un semplice effetto ottico o della causa prima della nostra evoluzione in quanto
umani? Certo, se non la ravviviamo con un'esperienza nuova, poi l'apparizione si
spegne. Si spegne così ogni lotta, ogni opposizione, e tutto deve tacere? Sembra
davvero così. Eppure l'energia vitale dell'essere umano è un fatto. Non è un
discorso astratto. Quanti sono coloro che fra gli scienziati attuali accettarono
i risultati scientifici del russo Vadim Nikolaevich Tsytovich che chiamò tale
vitalità "corpo bioplasmatico"? Non mi sembrano molti.
Già più di un secolo fa quel "corpo bioplasmatico" era detto "corpo vitale" (o "corpo eterico") da Rudolf Steiner. Quanti sono coloro che ne hanno accettato la
scientificità? Eppure il ragionamento che viene da quell'esperienza è molto
semplice: se hai di fronte un uomo vivo e un uomo morto vedi la differenza delle
due "cose" percepibili. Solo nella "cosa" morta hai però a che fare con un corpo
fisico, nel quale è già iniziato il disfacimento che porta poi alla
putrefazione. Invece - ripeto - nel corpo vivo hai a che fare NON con un corpo
fisico ma con un corpo fisico compenetrato di vitalità che non vedi, anche se
essa lotta energicamente, e incessantemente, contro tale disgregazione: si
tratta della forza coesiva che plasma sostanzialmente la forma della "cosa"
viva, cioè dell'uomo vivo. Alcuni scienziati come Maria Goeppert Mayer, Jensen,
e Wigner, pretendendo misurarla come forza coesiva del nucleo atomico, l'hanno
chiamata "magica" individuando "numeri magici" (L. G. Barry, "I numeri magici
nucleari", Ed. Atanor). Altri l'hanno bombardata... Dunque anziché servirsene,
cioè servirsi del pensare come corpo vitale, o almeno accogliere il pensare
cosmico presente in ogni io umano, l'hanno bombardato. Cioè si sono comportati
davvero come scimmioni... Hanno lottato contro ciò che non hanno mai capito.
Hanno lottato contro il pensare anziché grazie al pensare.
Eppure è in quella lotta eterea o eterica che si esprime ciò che Goethe chiamava
il fenomeno primordiale della scienza sociale.
Tale fenomeno è la dimostrazione che in ogni uomo c'è qualcosa di non relativo
ma di incontrovertibile, consistente nella possibilità di pervenire ad un
pensare nuovo capace di unificare in sintesi universali le cose percepibili del
mondo. Ed è proprio in questa universalità del pensare che l'umanità può
concepire i concetti e le idee di ogni nuova concezione del mondo...
Ovviamente, quando si fa l'esperimento dei colori al fine di ricavarne la prova
scientifica del fenomeno primordiale della scienza sociale occorre ricordarsi di
non escludere l'uomo sperimentatore. Soprattutto occorre essere interiormente
vivi, non morti in ideologie, astratte dallo spazio, e/o astratte dal tempo, in
cui sono collocate.
OSSERVAZIONI SUL FENOMENO
Solo se si è interiormente vivi, l'osservazione sperimentale di questo fenomeno
ha in sé anche la possibilità di risolvere il problema del buio o del male, o
dell'io negato (non essere), o crocifisso come sovrastruttura della materia, che
sola si crede valore perché si crede di percepirla coi sensi...
Il fenomeno necessita di due periodi temporali che offrono in un primo tempo uno
spettro di colori e in un secondo tempo (osservazione su superficie bianca) lo
spettro di colori opposto.
Ma cos'è lo spettro di colori opposto?
Lo spettro di colori opposto non è altro che il medesimo spettro di prima, posto
fuori da quel primo periodo di spazio e di tempo.
Basterebbero dunque quei 6 o 7 secondi di tempo della tua concentrazione per
risolvere il problema del buio o del male o di ogni altra cosa polare?
La risposta è affermativa se si usa bene il nostro tempo, dato che basta quella
manciata di secondi per accorgerci che il male non è altro che un bene fuori
tempo (o fuori dal suo spazio). Il problema dell'esistenza o della non
esistenza del buio o del male, ecc., è risolvibile nella misura in cui io riesco
innanzitutto a comprendere essenzialmente le mie esperienze di opposizione,
contrapposizione, avversione, ecc., a qualcosa.
Attraverso i colori nelle loro diverse gamme di chiaro-scuro è più facile capire
il problema, perché il regno della tenebra è superabile da parte del regno della
luce NON però con punizioni o sanzioni, bensì con non violenza: non opponendoci
al male, ma comprendendolo, al fine di trasformarlo in bene, dato che quando una
parte della luce entra nel male, il male è già superato.
Io percepisco in me stesso che il regno della tenebra del mio soggettivismo di
pensiero si libera dal buio grazie alla luce dell'universalità del pensare
stesso. Sento di muovermi interiormente verso questa o quella direzione, come in
un'altalena fra conoscenza universale e mia esperienza individuale di tale
valore universale. Quando non avverto la prima direzione di queste mie
oscillazioni (che è l'universalità), credo che il pensare sia solo un'attività
soggettiva, dunque debole. Quando non avverto la seconda direzione (che è la mia
esperienza individuale dell'universalità), credo di perdere attraverso il
pensare la mia individualità. Allora mi rifugio nel non-pensiero, cioè
nell'ideologia astratta, fuori dallo spazio e fuori dal tempo presente. In
ambedue i casi sono un pensatore debole: se insisto nella prima convinzione,
reputo per me impossibile la conoscenza della realtà; se invece insisto nella
seconda reputo mi sia impossibile la moralità se non in modo etero-diretto; ma
se così insisto, insisto solo in dogmi di fede.
Ambedue queste fedi possono vivere in me, dimostrando erronea l'altra, in base a
mille ragionamenti. E qui sta la paradossale mia "forza di pensiero debole":
quella di relativizzare ogni tipo di ragionamento e dialogo. Qui sta anche la
mia patologica autodistruzione, capace, per es., di astrattamente combattere
bacco, tabacco e venere negli altri, e non concretamente in me stesso, o mi
accontento di notare la pagliuzza nel tuo occhio senza considerare la trave nel
mio. E mi rifugio nella placenta del mio "sinedrio" o del mio "Stato" o della
mia "democrazia", o della mia "Scienza", ecc.
L'origine del male risiede, appunto, in questa placenta, nel cui anacronismo
l'astratto (per di più paradossale) domina il concreto, attraverso legismo del
branco, che è la legalità priva della legittimità dell'io.
In questo legismo avviene la scellerata permuta del nostro io con l'io di
gruppo, legato al legismo del branco, per cui l'uomo diventa gregario, anziché
individuo, tradendo se stesso. Per cui si sente dire dagli esseri umani più
malati il ruffiano motto del "tramutare l'io nel noi". Allora l'io può
impunemente ed irresponsabilmente compiere delinquenza, in nome dell'amore per
la legalità del gruppo, anche quando la legalità è senza legittimità, in quanto
priva di verità. Tanto la verità non esiste, dice Pilato... Cos'è la verità?
Infatti chi ama la legislazione più della verità, si accorge ben presto di amare
il proprio organo legislativo più della legge; e di amare se stesso più di tale
organo legislativo. Ma questo "amore di sé" sarebbe valido, cioè veridico, se amasse coerentemente la
responsabilità nel proprio agire. Visto però che poi si è costretti a delegare
all'io di gruppo il proprio agire, si agisce in realtà inconsapevolmente e
irresponsabilmente contro il proprio stesso interesse. Ecco perché l'unica via
di rimedio non è la legge ma la sua legittimità, cioè l'interiorizzazione della
giustezza dei suoi contenuti, che fa dell'esemplare-della-specie-animale-uomo
non solo un osservante acefalo delle regole come vorrebbero i predicatori di
morale e i legislatori o i nuovi scribi, ma un individuo responsabile
consapevole, cioè un individuo libero dai legami della specie.
Viene l'ora ed è questa, direbbe e dice ancora il Cristo, di prendere coscienza
dell'indivisibilità del benessere. Perché chi pensa solo ai casi suoi e crede di
poter separare il bene proprio da quello degli altri - ed è proprio questo che
hanno dimostrato di fare questi nuovi scribi e farisei - dimostra di non saper
fare il proprio interesse, e tanto meno quello di coloro che da loro son
governati. Da qui dunque l'esigenza scientifico-spirituale, cioè tramite
esperimento concreto, della liberazione. Senza liberazione dell'io dai legami
della specie non può esservi sovranità né democrazia. Nel 1776 Benjamin Franklin
affermava: "Chi rinuncia alla libertà per raggiungere la sicurezza non merita né
la libertà né la sicurezza". Ebbene, nel
carteggio fra Einstein e Freud del 1932
queste due persone sono perfettamente d'accordo sul contenuto della seguente
affermazione del 2011 di Mario Monti, da lui stesso riconosciuta come una
distorsione, circa la rinuncia alla sovranità in nome dei "passi avanti: "I
passi avanti per l'Europa sono per definizione cessione di parti delle sovranità
popolari a un livello comunitario". Einstein chiamava suo primo assioma questa
distorsione, vale a dire che: "la ricerca della sicurezza internazionale implica
che ogni Stato rinunci incondizionatamente a una parte della sua libertà
d'azione, vale a dire alla sua sovranità, ed è assolutamente chiaro che non v'è
altra strada per arrivare a siffatta sicurezza" (vedi carteggio accennato).
Freud gli rispondeva prontamente: "La comunità deve [...] istituire organi che
[...] provvedano all'esecuzione degli atti di violenza conformi alle leggi
[...]. Le leggi di questo sodalizio determinano allora fino a che punto debba
essere limitata la libertà di ogni individuo di usare la sua forza in modo
violento, al fine di rendere possibile una vita collettiva sicura" (ibid.). Ecco dunque
la società malata in cui viviamo.
L'individuo va dunque liberato dalla specie tramite esperienza concreta.
Considerare di un problema un suo punto di vista astratto - sia pure esso il
problema del buio nel mondo - porta solo ad assumere questa o quella fede o
ideologia come una droga. Così facendo si diventa però dipendenti.
Anche appellandomi astrattamente a definizioni legali o a legislazioni del
chiaro e dello scuro e perfino ai colori dell'esperimento precedente, resterò
sempre dipendente da esse, perché nessuno saprà mai definire in realtà dove
incomincia il bene e dove termina il male, dove finisce lo scuro e dove
incomincia il chiaro. Chi sa definire con precisione quando termina il regno
della tenebra e quando inizia quello della luce? O più semplicemente chi sa
dirmi quando termina la notte e quando incomincia il giorno? Per definire
astrattamente tenebra o luce si dipende sempre da qualcuno o da qualcosa: per
esempio dal calcolo del tempo, dai calendari, e perfino dalle correzioni di
questi, dette anche correzioni di Bessel...
Così, volendo immaginare un regno delle tenebre che intenda assalire il regno
della luce, la cosa mi si presenta come se da un lato forze tenebrose possano
arrivare fino ai confini del regno della luce per conquistarlo ma non vi
riescono. Si pensi alle eclissi! Dal lato opposto le forze tenebrose non
potrebbero nemmeno essere "punite" da parte del regno della luce, dato che nella
luce nulla vi potrebbe essere di imposto o di cattivo, ma solo chiarezza, cioè
bene. Gli elementi del male non possono essere puniti dagli elementi del bene...
E gli elementi del bene non possono essere imposti agli elementi del male...
Come posso allora continuare a rappresentarmi il fatto? Posso rappresentarmelo
solo in un modo: immaginando che forze del regno della luce possano prendere una
parte del proprio regno e mescolarlo al regno materiale della tenebra.
L'esperimento dei colori di Goethe è identico a quello dello swing nel campo
sonoro: fra una pausa ed un suono intercorre sempre una durata di tempo; se un
suono non arriva a tempo, manca lo swing oppure termina un ritmo. Allora ho il
silenzio, la fine di un suono, di un brano musicale.
La fine del suono è identica alla fine del mio essere nel suono dell'"io sono".
Sembra un gioco di parole ma la risurrezione è anche alla fine di un suono
perché la fine di un suono è come la fine di una parola, ed all'inizio era la
parola, scrive la tradizione giovannea. Quindi un suono che poi "ritorna".
Ovviamente ritorna nella misura in cui va a tempo con lo spirito del tempo.
Perché ci sarà sempre un'altra canzone... E che l'io o che il suono o che l'io
sono risorga o ritorni è un dato di fatto presente già nell'esperienza musicale
del "ritornello", in quella del "ritorno" delle stagioni, cioè del ciclo del
tempo...
Si può anche sapere a memoria tutta l'economia del mondo, o tutta la Bibbia, ma
a che serve se poi non si sa procedere con swing nel nuovo? Swing significa
altalena. Procedere senza passare dalle vecchie forme del bene alle nuove, è
come sedersi staticamente tanto su un'altalena quanto su una poltrona. Mi siedo.
Non mi muovo. Che faccio? Mi annoio nello spazio! L'errore nel tempo è come
quello nello spazio. Il buio altro non è che luce al posto sbagliato. Lo stesso
vale per il male.
Gli esempi da fare sono infiniti. L'esempio seguente è di Rudolf Steiner, il
fondatore della scienza dello spirito, e riguarda le competenze ed i talenti
umani: occorre rappresentarsi da un lato un eccellente pianista e dall'altro un
eccellente tecnico del pianoforte, entrambi bravissimi nel loro campo. Il
tecnico dovrà anzitutto costruire il pianoforte, e poi darlo al pianista. Se
questi è bravo, userà il pianoforte in in modo adeguato, e così entrambi faranno
bene a fare ciò che fanno, e faranno "il bene". Se però il tecnico si mette in
testa che vuole tenere lui un concerto al posto del pianista, e martella sui
tasti, non è per nulla al suo posto. Occupa uno spazio non suo. Ed il bene
diventa male. Ecco dunque che il male altro non è che il bene al posto
sbagliato.
Spazio e tempo sono perciò massimamente determinanti per la mia comprensione del
male.
Quando qualcosa che è molto bene in un certo tempo si conserva uguale, pian
piano si irrigidisce e diventa senza dubbio molto male. Perché pregiudicando ciò
che è progredito, contrasta il bene. Ecco allora che subito saltano
fuori tutti i concetti di "apostasia" e di "eresia", fino a quelli odierni
riassumibili nel "non politicamente corretto"...
NOTE
(1) Vedi l'esatta "Etimologia di economia"
(2) Johann Wolfgang von Goethe (1749-1832). In genere si crede che Goethe sia stato un grande poeta e un letterato, e non uno scienziato. Invece le cose non stanno così: col suo atteggiamento, egli rese pienamente giustizia a un modo di pensare conforme alla natura, ed esponendolo mediante idee scientifico-naturalistiche. Ciò è confermato da attuali recenti invenzioni che basano essenzialmente sulle sue scoperte circa la polarizzazione luce-tenebra e sul suo grande studio sui colori. Mi riferisco alla macchina fotografica Polaroid ed alla televisione a colori, funzionanti entrambe grazie ai suoi studi sulla polarità luce-tenebra. Di fronte all'opera di Goethe ed ai suoi risultati pratici, quelli di Einstein scompaiono nella "macchina del tempo", dato che la bomba atomica non non fu opera di Einstein, ma di altri primitivi; Einstein la promosse soltanto come "padrino" del progetto Manhattan, mettendosi a livello di un ladro di galline o di formule altrui, emulo di Al Capone o di Hitler (personalmente non vedo dove possa essere la "genialità" di Einstein, dato che è oramai notoria la sua opera poco intelligente di plagiario "arraffone").
Il sistema della teoria dei colori di Goethe è qualcosa di completamente diverso e di nuovo rispetto a quelli scientifici ordinari basati sul morto. Per esempio l'essenza del colore non è ricercata a partire dall'occhio, come fa per esempio Schopenhauer. Per Goethe, l'occhio non è la causa del colore ma del suo manifestarsi. Da questa innovazione prende le mosse la sua teoria dei colori, capace di investigare l'occhio, mettendone perfettamente a nudo la natura. Ecco perché anche quando incomincia dalla fisiologia del colore, lo fa in modo essenzialmente diverso da com'era di solito intesa questa parte dell'ottica. Non è interessato a spiegare le funzioni strutturali dell'occhio ma, per arrivare a conoscere le sue facoltà e capacità, preferisce osservarlo in condizioni svariate. E osservandolo si chiede: "che cosa si produce quando la luce e il buio agiscono sull'occhio?", "cosa succede quando immagini delimitate entrano in rapporto con l'occhio?". La novità di Goethe (che non è mai stata accettata dalla scimmiesca scienza odierna) consiste nel cercare di appurare che cosa possa prodursi per mezzo dell'occhio nell'atto visivo VIVENTE. E questo è per lui ciò che veramente conta, dato che tutto il resto, che conduce solo - come affermano in coro per esempio gli pseudo scienziati attuali - alla negazione della realtà dei colori, non appartiene al campo della teoria fisiologica dei colori ma a quello della fisiologia ordinaria del morto corpo fisico. Goethe considera l'occhio VIVENTE in quanto reputa impossibile studiare il vedere umano nell'occhio morto dei cadaveri. Ed è da questo studio che passa poi ai processi oggettivi che producono i fenomeni del colore. Ovviamente quando parla di quei processi oggettivi, non intende mai impercepibili ipotetici processi materiali e di movimento, ma vuole fermamente restare nel campo del mondo percettibile. La teoria fisica dei colori, che forma la seconda parte della sua opera, cerca dunque condizioni indipendenti dall'occhio ma connesse col sorgere dei colori, e che sono comunque sempre ancora percezioni. E qui osserva, con l'aiuto del prisma, della lente, ecc., come vengano alla luce i colori, soffermandosi sempre a seguire il colore nel suo divenire, ed osservandolo nascere in sé isolatamente dai corpi. Solo in un altro capitolo a parte, quello della teoria chimica dei colori, passa ai colori quelli attaccati, o fissati nei corpi. Se nella sua teoria fisiologica dei colori risponde alla domanda: "come possono, in genere, apparire i colori?", e se in quella fisica risponde alla domanda: "come sorgono i colori in date condizioni esterne?", Goethe ora risponde al problema: "come mai il mondo dei corpi appare dotato di colore"? Così, dall'osservare il colore quale attributo del mondo dei fenomeni, passa al mondo dei fenomeni quale appare in tale attributo. E non si ferma nemmeno lì dato che, nel capitolo "Effetti sensibili-morali del colore", considera finalmente il superiore rapporto fra il mondo colorato dei corpi e l'attività interiore (anima) umana. Questo è il rigoroso cammino in sé compiuto della scienza goethiana: partire dal soggetto quale condizione, per ritornare ancora al soggetto quale essere appagato NEL suo mondo e DEL suo mondo. Anche se in ciò è ben riconoscibile l'anelito scientifico che va dal soggetto all'oggetto, e poi di nuovo al soggetto - che per esempio aveva condotto Hegel (Georg Wilhelm Friedrich Hegel, 1770-1831) all'architettura di tutto il suo sistema filosofico - l'"Abbozzo di una teoria dei colori" di Goethe che, assieme ai due studi preparatori "Contributi all'ottica" ed "Elementi della teoria dei colori" ed all'aggiunta polemica intitolata "Rivelazioni sulla teoria di Newton", dovrebbe essere riconosciuta come l'opera principale dell'ottica, non è minimamente considerata dagli scienziati di oggi (cfr. R. Steiner, "Introduzioni agli scritti scientifici di Goethe. Per una fondazione della Scienza dello Spirito (Antroposofia)", Ed Antroposofica, Milano 2008, pp. 235-8).
Nel 1994 ebbi l'occasione (essendo stato in tournée musicale a Düsseldorf ) di visitare il museo di Goethe. Era una villetta a cui si accedeva tramite un lungo viale di un grande parco. Sembrava di entrare in una reggia, una favolosa reggia. Alla fine del viale c'era la piccola abitazione che era il suo studio, quello che gli permise di realizzare la sua "Teoria dei colori", cioè il suo più ambizioso e impegnativo progetto scientifico. Osservando i suoi apparecchi per sperimentare le POLARITÀ luce-tenebra, ebbi subito chiaro che quegli oggetti non erano altro che gli antenati della nostra TELEVISIONE A COLORI. La POLARITÀ dei contrasti fra luce ed oscurità, principio fondamentale su cui poggia non solo la TV a colori, ma anche l'oramai antica macchina fotografica "POLAROID" era e resta l'incontrovertibile dimostrazione scientifica PRATICA dell'esattezza delle idee di Goethe sulla sensazione e sui colori. Ma nessuno se ne è accorto. Oggi si crede, anzi, che tutta la tecnologia, l'informatica, l'ottica, sia merito di Newton e di Einstein. Ma è solo una fede. Oltretutto è una fede in baggianate del tutto indimostrate. Di fronte alla POLAROID di Goethe ed alla fantascienza di Einstein si preferisce la fantascienza di Einstein, perché è forse un modo di evadere da questo mondo, che non si vuole accettare così marcio qual è. Oppure sembra quasi che la riflessione umana abbia paura di confutare Newton, il meccanicistico antagonista di Goethe. E questa paura mi sembra il retaggio di un terrore antico, quello che accompagnava il leggere la bibbia: coloro che erano trovati in possesso di una bibbia erano messi al rogo dalla chiesa! O l'altra paura, quello del tempo di Einstein, quando i libri degli ebrei erano vietati dal nazifascismo, e chi ne era trovato in possesso poteva passare dei guai. A Berlino nel 1939 erano proibiti i libri degli ebrei, quindi anche il solo parlare di Einstein era considerato come opporsi al nazifascismo. Io condivido ogni opposizione al fascismo o al nazifascismo, così come reputo abominevole il comunismo od ogni sottomissione all'autorità opposta, anzi, ad ogni autorità che non sia autorevolezza, soprattutto se si presenta come scienza da credere. Il mio occhio percepisce la luce e il buio, il chiaro e lo scuro, il bagliore e la tenebra. E fra queste polarità percepisce i colori. Non ci vuole mica Einstein per capirlo...