"Einstein venne a conoscenza
dell'esperimento di
Michelson quando era
studente, leggendo il libro
di Lorentz del 1895" (ibid).
Nel 1922 (queste le sue parole) "subito arrivai alla conclusione che la nostra
idea circa il moto della
Terra rispetto all'Etere non
è corretta, se accettiamo il
risultato nullo
dell'esperimento di
Michelson come un dato di
fatto" (ibid).
Einstein riteneva che il risultato di questo esperimento fosse nullo, ma non
era nullo, e la ragione per
cui non lo sapeva era
perché:
"come studente tedesco egli non ebbe la possibilità di leggere il lavoro
originale (in inglese) di
Michelson e Morley:
altrimenti avrebbe
constatato che il risultato
sperimentale era al disotto
delle aspettative, ma non
nullo" (ibid).
Il risultato fu: "La
velocità relativa della
Terra e dell’Etere è
probabilmente inferiore a un
sesto della velocità
orbitale (5 km/s) e
certamente inferiore a un
quarto (7.5 km/s)…
l'esperimento va ripetuto"
(ibid.)
Quindi Einstein formò la sua
teoria su un risultato che
era falso:
"Einstein arriva troppo presto a un’idea sbagliata come conseguenza di una
informazione iniziale
errata" (ibid.).
Non aveva informazioni
corrette perché all'epoca
non era un vero scienziato
con accesso alle
informazioni corrette, ma un
umile impiegato in brevetti,
che in quanto tale "non ebbe la possibilità di avere una conoscenza diretta della Fisica
sperimentale, in particolare
della Metrologia
Elettromagnetica, non
conoscendo nemmeno cose come
riferimenti e bibliografia"
(ibid. p. 3).
Questo ci fornisce anche una
ragione per cui non fornì
riferimenti nel suo famoso
documento del 1905 sulla RS:
"Per
questo motivo, nel suo
lavoro sulla Relatività
Speciale, egli non cita il
nome di Michelson: egli
aveva semplicemente ammesso
il risultato nullo
dell’esperimento di
Michelson come un dato di
fatto.
Per la stessa ragione, non conosceva il lavoro di Michelson del 1904:
"Relative motion of Earth
and Ether", che spiega il
principio dell'Effetto
Michelson-Sagnac: il
principio del Giroscopio
Ottico" (ibid.).
Quindi nel suo famoso
articolo Einstein non ammise di
procedere dall'esperimento
di Michelson-Morley (MMX),
ma risulta che così stanno
le cose, e che
la sua comprensione di
quell'esperimento era
sbagliata, quindi la teoria
che congetturò da
quell'esperimento fu
pure sbagliata.
Ciò che la comunità
scientifica cerca di
fare è schivare ogni cosa
intorno agli errori di
Einstein e creare più
disordine.
Questo pasticcio si estende
ai testi di Relatività che
affermano falsamente che
l'esperimento di
Michelson-Morley aveva dato un
risultato nullo;
questi testi riportano le credenze sbagliate di Einstein! Non riportano
ciò che l'esperimento di Michelson-Morley
effettivamente ha mostrato.
2.
Cosa ha dimostrato
l'esperimento MMX
"Nel 1856 Weber e Kohlrausch ottennero la prima misura del
rapporto tra le unità di
carica
elettromagneticaq ed
elettrostatica,
detto "velocità v" (R. Monti, "Il
business della relatività e
le chiavi per smascherarlo")
"Nel 1857 Weber e Kirchoff ottennero l'"equazione dei telegrafisti", descrivendo
la propagazione dei segnali
elettromagnetici lungo i
fili, con "velocità v"
(cfr. ibid.).
"Nel 1864 Maxwell fu in grado di dedurre dalle sue equazioni l'esistenza di
onde elettromagnetiche
nell'etere con velocità di
propagazione:
v = 1/√(ε0μ0)".
[NB:
"v" è poi etichettato come c0 in cui "c" è l'iniziale del
termine latino "celeritas",
per "celerità", "velocità"].
Di conseguenza esistono
chiaramente da allora due distinte
grandezze fisiche:
c0=1/√(ε0μ0)
e cM=2L/∆T,
dette rispettivamente
VELOCITÀ ELETTROMAGNETICA (c0)
e VELOCITÀ CINEMATICA (cM)
della luce ("Il
business...", op. cit.).
"All'inizio del secolo (1900) sembrava improbabile
che esse (c0
e cM) potessero risultare identiche [...] Michelson aveva
chiaramente affermato: [...] una
differenza può quasi
certamente essere prevista"
(cfr. ibid.).
"Sfortunatamente Michelson aveva già fatto due errori" (ibid.).
"Nel 1887, cercando di testare la velocità orbitale della Terra rispetto
all'etere:
1) Non fu in grado di
annotare la relazione
corretta tra le due quantità
c0 e
cM, che è:
cM =
c0 (1-β²)/√(1-β² Sen²
θ); β=v/c0
il che significa che: cM = f (c0, v,
θ).
2) Non fu in grado di capire
che i metodi di Roemer e
Bradley e la misura di
c0
(cioè la
misura
elettromagnetica della
velocità della luce)
avrebbero potuto consentire
di testare
la velocità orbitale della
Terra: v = c0 ∆T / 2T0; v =
α c0 (α = angolo di aberrazione).
["v" ora usato come velocità orbitale della terra].
Oggi la misurazione dell'anisotropia della radiazione di fondo ha risolto
completamente il problema
della velocità della Terra,
del sistema solare e anche
della galassia attraverso
l'etere, questi
rispettivamente di 390 e 600
km/s" (ibid. e
R. Monti,
"Three major misinformations in Einstein's theory of Relativity").
Michelson e Morley fecero una sola serie di
osservazioni nel 1887, e
successivamente non
ripeterono mai più
l'esperimento del "vento
d'Etere" (o di deriva
dell'etere), nonostante molte
affermazioni stampate
affermino il contrario
(cfr. R.
Monti, "Il vero Einstein", p. 11).
"Morley e Miller hanno sottolineato che il risultato dell'esperimento di
Michelson-Morley non aveva
la grandezza prevista, ma
l'effetto indicato non era
zero" (cfr.
"Il business...", op. cit.).
Sfortunatamente un impiegato dell'ufficio brevetti di Berna
venne a sapere dell'esito
dell'esperimento di Michelson solo attraverso il
libro di Lorentz del 1895 e
sostenne che il risultato
sperimentale
dell'esperimento di
Michelson-Morley era
esattamente zero. Con
ciò l'impiegato escogitò,
con sua moglie,
una teoria per spiegare questo inesistente "risultato
nullo": la teoria
della relatività (ibid.).
"[...]
Stabiliamo [...] che la grandezza: c = 2L / ∆T sia una costante
universale: la velocità
della luce nel vuoto"... Cioè questi due sposini non erano neanche in grado di
distinguere la
velocità elettromagnetica c0
dalla
velocità cinematica cM
della luce, e ciò
nonostante si sentivano
talmente
padroni della materia
da procedere pontificando
quale dovesse essere la
velocità della luce,
dichiarandola per di
più COSTANTE!
(cfr.
ibid.).
Di
conseguenza la relazione tra
queste due grandezze
fisiche:
che avrebbe
potuto essere "vero" solo
astrattamente, giocando al
gioco dell'infinito. Di
fatto, con la seguente
affermazione
Einstein stabilisce in
fisica che una velocità
finita è infinita:
"[...]
la velocità della luce ha, nella
nostra
[di Einstein - ndc] teoria, fisicamente il ruolo di una velocità
infinita"
(cfr.
ibid.).
A questo
punto occorrerebbe chiedersi
cosa comporti il fatto che
un elemento di una teoria
abbia fisicamente un ruolo
infinito.
giocando con l'infinito
avviene che si
può ipotizzare tutto e il
contrario di tutto. Però non
si può dire tutto e il
contrario di tutto in basea
logica di realtà, cioè in
base a conferma
sperimentale. Ad esempio, se
si ipotizza che il fuoco
(causa) accenda la brace
(effetto), l’esperimento in
grado di confermare
quell'ipotesi consisterà
nell’avvicinare
ripetutamente il legno al
fuoco, in modo da constatare
empiricamente la
verità dell’ipotesi con
l’accensione ripetuta della
brace. Insomma, le teorie
sono utili perché servono
per impostare una ricerca.
Ma senza verifiche
sperimentali restano solo
astrazioni o paradossi. La
legge della gravitazione di
Einstein consiste, per
esempio, nell'affermazione
che la linea è una curva. E
questo è solo uno dei
paradossi del modo
antilogico di procedere
entro la relatività di
Einstein.
La relatività di Giordano
Bruno è di tutt'altra
natura (cfr.
"Il principio di relatività"
in M. M. Capria, "Giordano
Bruno e la nascita della
scienza moderna"). Chi
ama la scienza dovrebbe
riflettervi.
Bruno
ragiona così:
se un segmento e la sua metà sono entrambi divisibili all'infinito, come
possono avere un diverso numero di parti? Eppure è evidente che il segmento doppio deve
avere un numero doppio di parti. Si dovrà dire che il segmento minore è
egualmente divisibile ma ha meno parti del maggiore? La soluzione bruniana è che
"esiste un qualche termine indivisibile alla divisione fisica [naturae
dividenti], il quale non si divide in altre parti quando la divisione sarà arrivata
ad esso; e se
la ragione e la matematica, senza alcuna conseguenza pratica o uso, ma
solo al fine di una vana
contemplazione, volesse assumerlo infinitamente divisibile, faccia come
crede. [...] Ed è necessario che un individuo aggiunto a un individuo faccia una somma
maggiore, poiché gli individui sono corpi fisici, non vane specie dei matematici
(Camoeracensis Acrotismus
[1588] in F. Fiorentino, F.
Tocco, G. Vitelli, V.
Imbriani, C. M. Tallarigo (a
cura di) 1879-91: "Iordani
Bruni Opera Latine
Conscripta, publicis
sumptibus edita", Napoli,
Morano, poi Firenze, Le
Monnier., I.1, p. 154).
Questo punto
di vista poggia su logica di
realtà. Occorre prenderne
atto se non si vuole
continuare a bloccare la
fisica nel pantano in cui è
stata fatta cadere per
ragioni più economiche che
di ricerca scientifica. Oggi
è molto comodo far dire alla
fisica tutto e il contrario
di tutto secondo formalismi
matematici. Quando
però al finito
mondo fisico-minerale delle unità di misura si applica il concetto di
infinito si
può sempre ricavare la misura di qualcosa e contemporaneamente leggerla come metà o doppio, triplo, ecc., all'infinito. Ciò è
verificabile come segue. Si immagini una lista o tabellina di numeri: 1, 2, 3, 4, ecc., all’infinito, e un’altra
di numeri pari: 2, 4, 6, 8, ecc., anch'essa crescente o decrescente all'infinito. Si
può già dire che la
prima e la seconda tabellina,
giocando fisicamente il
proprio ruolo all'infinito,
hanno il medesimo
quantitativo di numeri
perché l'infinito è infinito
per entrambe le liste.
Eppure nella lista o tabella
dei soli numeri pari,
mancano i numeri dispari,
quindi si può affermare
paradossalmente che, pur
avendo il medesimo
quantitativo di numeri
dell’altra, questa ne ha la
metà! Lo stesso ragionamento
si può fare non solo con le
liste 1 e 2 ma con tutte le
altre: 3, 6, 9, 12, ecc., 4,
8, 12, 16, ecc., 5, 10, 15,
20, ecc., e così via
all’infinito. In tal modo si
può dire che le varie
quantità sono uguali ma
diverse. Questo
ragionamento, degno dei
giochetti della "Settimana
enigmistica", non poggia
sulla realtà ma solo su
astrazioni. Qui la logica
astratta si scontra con la
logica di realtà. Lo stesso
avveniva più di due millenni
e mezzo fa col ragionamento
eleatico, a cui si ispirò
Einstein, e secondo il quale
Achille non raggiungerebbe
mai la tartaruga... In altre
parole si rientra così nella
(o si ritorna alla) FEDE,
dato che con simili
giochetti si arriva poi a
CREDERE in una materia
oscura, oppure in un'energia
oscura. Togliendo realtà
all'Etere è ovvio che poi il
mondo risulti oscuro, dato
che la misurazione
dell'etere, creduta
misurazione della luce nel
vuoto, genererà sempre
miriadi e miriadi di "nuove
particelle" atomiche:
particelle costosissime (in
termini economici) che sono
solo idee astratte o
virtuali, cioè prive di
connessioni con la vita
reale.
La misura di "c0", che è la velocità
della luce nel "vuoto" è
arbitraria: non solo perché
non supportata da prove
sperimentali reali, dato che
la velocità "c" è una mera
astrazione priva di
connessioni con la vita
reale, ma anche in quanto
basa su una convenzionale
unità di misura,
assolutizzata come
immutabile,
incontrovertibile.
Di fatto,
la velocità della luce nel
"vuoto" poggia sui fantasmatici
"fatti" consistenti in
coacervi algebrici,
che da un lato affermano
il "qui lo
dico" o "principio einsteniano
della relatività" e,
dall'altro, il "qui
lo nego" o "principio einsteniano della costanza
della velocità della luce
nel vuoto" e dunque della non
relatività. "Un po' di qui e
un po' di là", diceva il comico Panariello...
Quando dico queste cose, gli
zeloti della fisica teorica
mi dicono di studiare la
loro fisica, che è una
fisica settaria, oppure, non
avendo argomenti, mi
insultano. Ma mi mandano a
nozze. Nereo studiati il
fotone che è meglio...
In verità il fotone (come
qualsiasi altra particella)
NON esiste: è un concetto
senza contenuto,
un'invenzione dell'uomo, che
dimostra solo la sua
incapacità di pensare. Lo si
può intuire: si immagini per
esempio di dare una forte
martellata a un pezzo di
vetro. Si producono delle
schegge. Credere - come
credono i fisici delle
particelle - che il vetro
prima di essere colpito sia
costituito da quelle schegge
è un'ingenuità. Perché, se
anche in quel vetro si
scorgessero tramite raggi X
configurazioni di sue
venature che sembrano
schegge, non si potrebbe mai
dire che quelle sono le
schegge di quel vetro,
dato che bisognerebbe ancora
generarle colpendolo col
martello. E comunque
bisognerebbe dimostrare (ma
finora non è mai stato
fatto) che quelle venature
siano veramente la forma
delle future schegge.
Oltretutto se col martello
si distrugge un vetro, ciò
che resta poi lì per terra
sono schegge, che però, se
sono schegge, non sono più
quel vetro. Invece per il
fisico delle particelle,
quelle schegge sono i
"vetroni" del vetro. E dirà
che il vetro è formato da
"vetroni". Ecco perché da
questo suo punto di vista si
possono chiamare "deficientoni"
i suoi pensieri deficienti
di contenuti percepibili.
La fisica delle particelle è
dunque solo un linguaggio di
una setta che io rifiuto,
proprio perché rifiuto le
stregonerie infinitesimali
matematiche della relatività
e della scienza dei
ragazzini o quantistica
(faccio notare che la
meccanica quantistica degli
inizi fu scherzosamente
soprannominata Knabenphysik,
che significa, appunto
"fisica da ragazzini").
I concetti e le idee di
questo linguaggio non hanno
alcuna connessione con la
realtà, dato che i suoi
contenuti sarebbero da
credere come enti
impercepibili con carattere
di percepibilità, dunque
congetturati, supposti, o
postulati, o favoleggiati,
sognati, ma mai verificati,
mai sperimentati
empiricamente. Perfino
l'idea di fisica teorica è
spuria. Perché ciò che è
fisico è fisico e ciò che è
teorico è teorico, e ciò che
è teorico è immateriale
mentre ciò che è fisico è
materiale. Ecco perché la
fisica teorica è totalmente
improduttiva. Ed ecco perché
Einstein rifiutò poi la "Knabenphysik",
cioè la Quantistica dei
ragazzini, generata dal suo
stesso psichismo unilaterale
e dagli spettri da lui
evocati con le sue (di
Mileva) stregonerie
matematiche. E allora cosa
avvenne? Avvenne che tutti
questi spettri
(spettrogrammi, grafici,
spinori, spin, spettri di
emissione, e così via) gli
sfuggirono di mano, passando
prepotentemente in altre
mani, nella mani di
ragazzini, appunto, ancora
più superficiali, che sono
oggi le generazioni dei
professori universitari, che
si susseguono nelle fila dei
nuovi supporters
einsteiniani di Stato, che
lo Stato usa per lavare il
cervello degli studenti al
fine di giustificare gli
ingenti finanziamenti
europei, fra Ginevra e Gran
Sasso. Tutto ciò per non
aprirsi alle idee di Goethe
per esempio, o di Tesla, o
di Steiner, ecc., a idee di
energie alternative, motori
ad acqua, a idrogeno, a
energia eterica, ecc.
Di fatto se si osservano le
forme del moto che si
attribuisce alla luce non
percepiamo che cosa sia
trasmesso da quel moto,
bensì solo attraverso quale
veicolo qualcosa come
luce è trasmesso; ma questo
qualcosa è del tutto
immateriale, anche se si
manifesta mediante materia.
Il veicolo o il mezzo
mediante cui si manifesta
l'immateriale ente della
luce è la materia eterica,
che è la materia più sottile
dell'atmosfera.
Di per sé il
mezzo (lo si chiami come si
vuole: etere, materia,
materia eterea, spazio di
fondo, atmosfera, radiazione
di fondo, ecc.; cfr. "Spazio-tempo curvo e
radiazione cosmica di fondo"), se
è privo di luce e
portatore di oscurità.
Invece, reagendo alla luce -
che è onnipresente, in
quanto immateriale -, si
modifica, è mosso e si
determina. Come tale, è
colto sotto forma di
movimento dal soggetto che
l'accoglie da una
determinata fonte. Ma è
un'illusione credere che il
mezzo sia la luce: sembra
che luce si muova e si
propaghi ma così non è. La
luce è un ente
extrasensibile (o
sovrasensibile) ed
onnipresente, che solo
l'elemento interiore del
percepire può cogliere:
elemento che però
normalmente non è
consapevole a colui che percepisce.
L'oscurità è il simbolo
della materia. Nella misura
in cui l'oscurità o la
materia è percepita,
incomincia a
spiritualizzarsi diventando
luce interiore, perché chi
percepisce alberga in sé
la relazione con la fonte
della luce. Infatti di
un'astronave risplendente e
viaggiante nell'oscurità
dello spazio non si può dire
che la luce che ci permette
di vederla si muova con
l'astronave, ma che la luce
è presente in ogni punto
dello spazio e che perciò è
riflessa dall'astronave in
movimento.
In verità, la luce non ha
bisogno di muoversi, perché
è.
La sua essenza è la forma
della sua presenza nel
mondo. E poiché non esiste
forma che non sia idea, la
luce è tanto esterna quanto
interna all'uomo, essendo
pensare vivente, vita
dell'animarsi interiore
dell'intuire umano.
"Oggi sappiamo che un giroscopio ottico è sensibile fino a 0,001 deg/h, ma è
necessario evitare
l'agganciamento (o il blocco)
delle onde stazionarie"
(cfr. "Il business...", op. cit.).
Oggi, a causa degli errori di Einstein e dell'inconsistenza
sperimentale della sua
teoria risulta poi un fatto
alquanto strano: l'esistenza
dei giroscopi presenti nella
maggior parte dei nostri
smartphones, confuta
quotidianamente la giustezza
della relatività speciale.
Il giroscopio ottico
funziona infatti in
contraddizione con la
relatività speciale, dato
che Einstein - sempre per
giustificare i suoi errori -
dovette considerare il
giroscopio ottico "teoricamente
impossibile"!!!
(ibid.).
Dunque
delle due l'una: o
l'intera teoria della relatività (sia speciale che generale) e le sue
implicazioni cosmologiche (Big Bang ed Espansione dell'Universo) sono pura
fantasia, oppure si tratta della più colossale truffa scientifica della scienza
moderna.