Louis Essen
RELATIVITÀ: SCHERZO O TRUFFA?
Pubblicato dalla Soc. Ed. Andromeda
per gentile concessione di Mr. Philip Darrington,
delle Ed. EWW ("Electronics and Wireless World")
«La relatività di Einstein è uno scherzo o una truffa? Ci sono sempre state delle critiche: Rutherford la definì uno scherzo; Soddy disse che era una truffa; Bertrand Russell suggerì che era contenuta nelle equazioni di trasformazione di Lorentz; e molti scienziati hanno, a più riprese, sottolineato le sue contraddizioni […]. Einstein definì la velocità della luce come una costante universale e così infranse una regola fondamentale della scienza. […] Concluse che, alla fine del viaggio, il tempo segnato dall'orologio in movimento era minore di quello segnato dall'orologio stazionario. Il risultato non derivava da un esperimento, ma era semplicemente un presupposto che si era implicitamente infiltrato durante la complicata procedura […]. L'uso che Einstein fece del "Gedankenexperiment" ("esperimento mentale"), assieme alla sua ignoranza delle tecniche sperimentali, produsse un risultato che ingannò lui stesso e generazioni di scienziati […]. Non credo che Rutherford avrebbe ritenuto questa teoria uno scherzo, se avesse immaginato di quanto essa avrebbe ritardato lo sviluppo razionale della scienza».
Per alcuni dei suoi collaboratori è difficile accettare la mia tesi (WW, ottobre 1978) secondo la quale la teoria della relatività di Einstein è invalidata dai suoi errori intrinseci. Butterfield, ad esempio, (EWW, Febbraio 1987) nega che ci sia una qualche duplicazione di unità o un qualcosa di male nell'ottenere i risultati da esperimenti concettuali. Inoltre, se la mia tesi è corretta, il nuovo lavoro sperimentale descritto da Aspden (FWW, Agosto 1987) non è necessario per smentire la teoria, sebbene possa confermare che i suoi presupposti erano errati. Ciò non vuol suggerire che i risultati sperimentali non siano importanti, ma che dovrebbero essere considerati come passi lungo lo sviluppo di nuove teorie.
Le discussioni sulla teoria tendono ad essere molto complesse e i suoi lettori
potrebbero essere interessati a conoscere una breve sintesi dell'argomento che
io illustrai tempo fa ad un amico che voleva conoscere su cosa vertesse la
controversia, e in particolare, quale fosse il significato del paradosso dell'orologio.
La teoria era un tentativo di spiegare il risultato di un esperimento che era
stato fatto per misurare la velocità della terra attraverso lo spazio. Gli
scienziati pensavano che, dato che la luce è un'onda elettromagnetica che
viaggia attraverso lo spazio ad una velocità indicata dal simbolo c, e la terra
viaggia attraverso lo spazio ad una velocità v, avrebbe dovuto essere possibile
misurare v tramite un esperimento ottico effettuato in laboratorio. Michelson e
Morley hanno ideato e usato un Interferometro a tale scopo. Hanno diviso un
fascio di luce in due parti che sono state poi dirette lungo i due bracci dello
strumento ad angoli retti uno rispetto all'altro, e i due fasci sono stati
riflessi indietro per ricombinarsi e formare delle frange di interferenza. Lo
strumento è stato ruotato di 90°, di modo che se uno dei bracci era inizialmente
parallelo rispetto al moto della terra, veniva così a trovarsi ad angolo retto
rispetto a questa direzione.
Ci si aspettava che si sarebbe verificato un movimento delle frange, da cui
poteva essere calcolata la velocità della terra, ma non è stato riscontrato
nessuno spostamento.
Fitzgerald e Lorentz hanno fatto notare che questo risultato poteva essere
ottenuto se si fosse ridotta di (1-v²/c²)½ la lunghezza del braccio
dell'Interferometro che si stava muovendo parallelamente alla terra, come
conseguenza di questo movimento. Una tale affermazione arbitraria non costituì
una spiegazione soddisfacente e gli scienziati cercarono di pensare ad una causa
più fondamentale.
Einstein arrivò alla conclusione che la risposta era da ricercarsi nel modo in
cui il tempo veniva misurato e nella definizione di simultaneità tra due eventi;
e sulla base di queste idee e di due ulteriori presupposti sviluppò la sua
teoria, pubblicata nel 1905. Si trattava essenzialmente della teoria di Maxwell
e Lorentz modificata per incorporare il risultato di Michelson-Morley.
Successivamente, nel 1917, estese la teoria per includere gli effetti
gravitazionali e presuppose che la luce veniva deflessa quando passava vicino al
sole. La previsione poteva essere verificata solo osservando il percorso della
luce proveniente dalle stelle durante un'eclissi solare e nel 1919 Eddington
condusse una spedizione all'isola di Principe in cui l'eclissi fu totale; e dopo
che furono studiati i risultati annunciò che la previsione era stata confermata.
La teoria fu poi gradualmente accettata, e alla fine fu considerata come una
rivoluzione nel pensiero scientifico.
Ma c'è sempre stato chi l'ha criticata:
Rutherford la definì uno scherzo; Soddy disse che era una truffa; Bertrand
Russell suggerì che era contenuta nelle equazioni di trasformazione di Lorentz;
e molti scienziati hanno sottolineato a più riprese le sue contraddizioni.
Queste opinioni contrarie, assieme al fatto che i piccoli effetti previsti dalla
teoria stavano diventando significativi per la definizione dell'unità del tempo
atomico, mi hanno spinto a studiare il Lavoro di Einstein. Ho trovato che era
scritto in un linguaggio impreciso, che una affermazione era espressa in due
forme contraddittorie e che conteneva due gravi errori.
La caratteristica essenziale della scienza è che dipende dall'esperimento. I
risultati dell'esperimento sono espressi in termini di unità che non devono
essere duplicate se si vogliono evitare contraddizioni e le unità di misura sono
le uniche quantità che possono essere rese costanti per definizione. Quando
Einstein scrisse il suo lavoro, due delle unità erano quelle della lunghezza e
del tempo. La velocità veniva misurata in termini di queste unità.
Einstein definì la velocità della luce come una
costante universale e così infranse una regola fondamentale della scienza.
Una delle previsioni della sua teoria era che un orologio in movimento scandisce
le ore più lentamente di un identico orologio stazionario. Prendendo in
considerazione il presupposto di base della teoria, e cioè che la velocità
uniforme è puramente relativa, ne segue che ciascun orologio va più lentamente
di un altro quando viene osservato dalla posizione dell'altro orologio. Questa
previsione è strana ma non è logicamente impossibile. Einstein poi ha fatto il
suo secondo errore nel corso dell'esperimento. Ha immaginato che i due orologi
fossero inizialmente sincronizzati e che uno di essi si allontanasse lungo un
certo numero di segmenti di retta, a una velocità uniforme, per tornare infine
al punto di partenza.
Concluse che al ritorno, l'orologio oggetto degli spostamenti doveva essere in
ritardo rispetto all'orologio rimasto stazionario. Ma proprio in quanto si
tratta solo di moto uniforme, non c'è nessun modo per distinguere fra i due e
ciascun orologio dovrebbe "girare" più lentamente dell'altro.
Questo risultato è conosciuto come IL PARADOSSO DELL'OROLOGIO o, dato che gli
orologi sono talvolta paragonati a gemelli identici, uno dei quali invecchia più
lentamente dell'altro, come il paradosso dei gemelli.
Centinaia di migliaia di parole sono state scritte in merito al paradosso, ma la
spiegazione è semplice, e deriva dall'uso che Einstein fa dell'espressione "visto da". Chiaramente, se si vede che un orologio va più lentamente dell'altro
anche quando è ritornato nella stessa posizione dell'altro, deve essere
effettivamente più lento. Ma gli andamenti degli orologi distanti non sono
confrontati tramite l'osservazione. I tic che emettono sono ricevuti e contati
su un quadrante separato; si tratta di un processo che attualmente viene seguito
continuamente in tutto il mondo per la sincronizzazione del tempo atomico. È la
lettura su questo quadrante ausiliario che sarebbe inferiore e non quella sul
quadrante dell'orologio stesso. Se l'esperimento viene eseguito in maniera
corretta, il risultato è che il tempo dell'orologio che si muove misurato nella
posizione dell'orologio fisso è inferiore di quello dell'orologio fisso. Ciò
corrisponde alla previsione iniziale, ed è così che dovrebbe essere, dato che un
esperimento concettuale non può dare un risultato diverso dall'informazione che
in esso viene immessa.
L'uso che Einstein fece degli esperimenti ideali,
assieme alla sua ignoranza delle tecniche sperimentali, produsse un risultato
che ingannò lui stesso e generazioni di scienziati.
Si convinse che la teoria produceva i risultati che lui voleva, poiché la
contrazione del tempo è in accordo con la contrazione di lunghezza, necessaria
per spiegare il risultato di Michelson-Morley.
In realtà, non si sarebbe potuto effettuare il percorso di andata e ritorno
senza introdurre accelerazioni, ma Einstein ignorava il loro possibile effetto
sulla velocità di scansione del tempo dell'orologio, e ammise implicitamente che
non avevano alcun effetto. Alcuni anni più tardi, nel 1918, usò un altro
esperimento ideale per tentare di rispondere alle critiche sul risultato del
paradosso. Uno degli orologi compì nuovamente un viaggio circolare e i
cambiamenti di direzione furono ottenuti inserendo e disinserendo i campi
gravitazionali a vari stadi del percorso e il tempo registrato dall'orologio
mobile era inferiore a quello registrato dall'orologio fisso. Il risultato non
fu conseguente ad un esperimento reale, ma era semplicemente un presupposto
entratovi implicitamente durante la complicata procedura. Il rallentamento degli
orologi che egli aveva precedentemente attribuito alla velocità uniforme, dato
che l'accelerazione non aveva nessun effetto, ora l'attribuiva
all'accelerazione, e questa è un'argomentazione seguita in molti libri di testo.
Le affermazioni fatte frequentemente, secondo cui la teoria è sostenuta dalla
prova sperimentale non reggono ad un attento esame. Ci sono seri dubbi
sull'affermazione di Eddington, sia in merito al valore previsto che è stato
accresciuto di un fattore 2 rispetto al dato fornito da Einstein, sia riguardo
al modo in cui i risultati sono stati analizzati - dato che alcune delle letture
sono state scartate. La stessa critica va fatta in relazione ad un esperimento
più recente eseguito, con notevoli costi, nel 1972. Quattro orologi atomici sono
stati lanciati attorno al mondo e i tempi registrati da essi sono stati
confrontati con i tempi registrati da orologi simili a Washington. I risultati
ottenuti dai singoli orologi differivano addirittura di 300 nanosecondi. Questa
considerazione assurdamente ottimista fu accettata e fu ampiamente divulgata
nella letteratura scientifica e dai media come conferma del paradosso
dell'orologio.
Tutto ciò che l'esperimento dimostrava era che gli orologi non erano
sufficientemente accurati per rilevare il piccolo effetto previsto.
Perché gli scienziati hanno accettato una teoria che contiene ovvii errori e
manca di qualsiasi supporto sperimentale? È una domanda difficile, ma si possono
suggerire varie ragioni. Innanzitutto c'è il linguaggio ambiguo usato da
Einstein e la natura dei suoi errori. Le unità di misura, sebbene di
fondamentale importanza, vengono raramente discusse al di fuori dei circoli
specialistici, e gli errori nel confronto degli orologi, sono mascherati negli "esperimenti ideali". Poi c'è il prestigio dei suoi sostenitori.
Eddington aveva il pieno appoggio della Royal Astronomical Society, della Royal
Society e dei circoli scientifici di tutto il mondo. Prendendo l'imbeccata dagli
scienziati, persone importanti e impegnate in altri percorsi di vita, vi hanno
fatto riferimento come a una conquista eccezionale dell'intelletto umano.
Un'altra forte ragione per cui fu accettata mi è stata suggerita da un ex
presidente della Royal Society. Confessò che nemmeno lui aveva compreso la
teoria, anche se non era un esperto in materia, ma pensava che doveva essere
corretta perché l'aveva trovata "così utile". Questo è un requisito molto
importante in qualsiasi teoria, ma non ne consegue che gli errori in essa
contenuti debbano essere ignorati.
Nella misura in cui si pensa che la teoria spieghi il risultato dell'esperimento
di Michelson-Morley, sono incline a concordare con Soddy che si tratta di una
truffa; e non penso che Rutherford l'avrebbe
considerata uno scherzo se si fosse reso conto di quanto avrebbe ritardato lo
sviluppo razionale della scienza.
***
Chi rifugge dal riflettere sulle unità di misura le quali, come spiega il fisico Louis Essen in "Relatività: scherzo o truffa?", "sebbene di fondamentale importanza, vengono raramente discusse", determina a mio parere non solo la truffa della relatività speciale, ma anche quella del monetarismo. Louis Essen (1905-1997), membro della Società Reale, lavorò per moltissimi anni al Laboratorio Nazionale di Fisica (Teddington) al problema della misurazione del tempo e della frequenza; fu considerato il "padre" dell'orologio atomico per aver progettato e costruito nel 1955 il primo orologio atomico al cesio funzionante, mettendo però in discussione la velocità della luce (in verità impossibile da misurare perché la luce è immateriale). Nel 1959 fu insignito della Medaglia d'oro "Popov" dell'Accademia delle Scienze Sovietica e dell'Ordine dell'Impero Britannico. Quello che non si sa, o che non si vuole ricordare, è che i suoi scritti, che dimostrano la bufala della relatività speciale, posero fine alla sua brillante carriera, e decretarono il suo isolamento a vita dal mondo accademico. Ciò testimonia che la relatività fu ed è imposta dai poteri forti (Stato accentratore, cultura dell'obbligo) come cultura di Stato, esattamente come avviene oggi per la moneta attribuita al diritto anziché all'economia. Anche Giacinto Auriti, docente statale di diritto, incappò in questo errore culturale di Stato, confondendo l'unità di misura con l'unità aritmetica. Confondere l'unità di misura con l'unità aritmetica porta allo statalismo e/o all'einsteinismo e/o alla cosiddetta politica economica (keynesianesimo, religione di Bankitalia, BCE, FED, ecc.), ma sarebbe meglio dire alla MAFIA (cioè al "diritto di Stato", che sostituisce lo Stato di diritto), secondo la quale, la moneta sarebbe fattispecie giuridica senza alcuna dimostrazione dei "fatti" di tale "fattispecie", o in base al dogmatico presupposto (pregiudizio) che le unità di misura abbiano "necessariamente" le qualità corrispondenti a ciò che devono misurare. Auriti non si accorse della contraddizione insita in tale "necessità". Infatti se si afferma una cosa (per esempio lo spazio) come "corrispondente" ad un'altra (per esempio il tempo) significa che, per corrispondere fra loro, le due cose devono essere essenzialmente diverse. Perché se non lo fossero non avrebbero alcun bisogno di essere "corrispondenti". Una sostanza o una qualità non ha bisogno di corrispondere a se stessa. Potrà solo corrispondere ad un'ALTRA sostanza o qualità. Per es., l'orologio, pur misurando il tempo, non ha necessariamente in sé la qualità del tempo: le sue lancette indicano semplicemente uno spazio percorso, a cui noi (e solo noi) attribuiamo del tempo trascorso. Il tempo trascorso è dunque "qualità corrispondente" allo spazio percorso dalle lancette, solo perché gliela attribuiamo noi convenzionalmente. Ma tale spazio che CORRISPONDE al tempo, NON È tempo. Il tempo trascorre senza necessitare di convenzioni umane. Allo stesso modo l'unità aritmetica "1" è fatta di ritmo, che come il tempo, non necessita dell'unità di misura "1". Invece l'unità di misura "1" necessita dell'unità aritmetica "1" (cfr. il video "Rythmus et Mensura" del 16 febbraio 2014: http://youtu.be/zPPyIuAhAKE). Coloro che oggi affermano la moneta come fattispecie giuridica arrampicandosi perfino sugli specchi abbaglianti di Einstein (cfr. ad es. la "Risposta allo zelota arenato nel diritto di Stato" (http://digilander.libero.it/VNereo/risposta-allo-zelota-arenato-nel-diritto-di-stato.htm ) giocano coi concetti come Einstein, vero maestro in tale gioco anti-evolutivo...
Nereo Villa, 11 agosto 2016