Il business della relatività

e le chiavi per smascherarlo

 

 

Interpretando erroneamente un esperimento di Michelson Morley (cfr. A. Einstein, "Speech at Kyoto University", December 22, 1922, "NTM Shriftenreiche fur Geschichte der Naturvissenshaften", "Technik und Medizin", Leipzig, 20, 1983, p. 25-28) e per giustificare questa erronea interpretazione, Albert Einstein congetturò la teoria della relatività, esprimendone il principio fondamentale con le seguenti parole: "Stabiliamo, in accordo con l'evidenza sperimentale, che la quantità: c=2L/DT è una Constante Universale, la velocità della luce nello spazio vuoto" (cfr. A. Einstein, "Zur Elektrodynamik Bewegter Korper", "Annalen der Physik", 17, 1905, pp. 891-921, edizione italiana in: "Cinquant'anni di relatività". Ed. Giuntine Sansoni, Firenze, 1955, pp. 479-504). L'"evidenza sperimentale" menzionata in questa affermazione è però fino a prova contraria arbitraria, dato che chi la menziona non dice secondo quale oggetto di percezione sarebbe "evidente" la quantità di cui parla, cioè la cosiddetta velocità della luce, "stabilita" come "Constante Universale", anche perché lo stesso Michelson, basandosi su Maxwell del 1880 (cfr. J. C. Maxwell, "Nature", Jan. 29, 1880, p. 315), scriverà un anno dopo, 1881, che misurare la velocità della luce era impossibile. Ecco le sue parole: "Finora non disponiamo di alcun metodo per misurare la velocità della luce" (A. A. Michelson, Am. J. Sci. 22, 120, 1881) (cfr. anche in questo sito "Michelson 1881" di R. Monti in "Il grande bluff di Albert Einstein"). L'unico "metodo" attuale per tale "misura" è l'invenzione di una nuova... "misura" pensata come assoluta, vale a dire "c = 300.000 chilometri al secondo" da collocare nella formula dell'energia "E=mc²" per formalizzare la relatività. Ma come può l'assoluto generare relatività se è assoluto?

 

L'inconsistenza sperimentale della teoria della relatività risulta poi da un altro fatto: l'esistenza dei giroscopi ottici, i quali oggi (terzo millennio) confutano quotidianamente la giustezza della relatività speciale. Il giroscopio ottico funziona infatti in contraddizione con la relatività speciale, dato che Einstein - sempre per giustificare i suoi errori - dovette considerare il giroscopio ottico "teoricamente impossibile" (cfr. A. Einstein, "Relativity - The Special and the General Theory", Methuen, 1920, p. 66; cfr. anche: T. Theocharis, "Translation and Rotation Sensors, Proceedings of the International Conference Galileo Back in Italy II", Ed. Andromeda, Bologna 2000, pp. 441-446). Dunque delle due l'una: o l'intera teoria della relatività (sia speciale che generale) e le sue implicazioni cosmologiche (Big Bang ed Espansione dell'Universo) sono pura fantasia, oppure si tratta della più colossale truffa scientifica della scienza moderna.

 

I seguenti appunti, presi dalla prima parte del libro "Relatività e Alchimia" di Roberto Monti, dimostrano questa seconda ipotesi, fornendo una chiave di comprensione scientifica di questo business.

 

Tre sono le chiavi che permettono la comprensione della relatività einsteiniana: 1ª) la misura: c0= 1/√(ε0μ0) che si chiama: "VELOCITÀ ELETTROMAGNETICA DELLA LUCE"; 2ª) la misura: cM = 2L / ∆T che si chiama: "VELOCITÀ CINEMATICA DELLA LUCE";  3ª) la misura: σ0  che si chiama: "CONDUTTIVITÀ ELETTRICA DELL'ETERE".

 

Mediante queste tre chiavi è auspicabile che in futuro si possa incominciare a districare e risolvere la tragedia scientifica costituitasi durante il 20° secolo a partire dal cosiddetto "avvento della relatività" e con ciò si potrà comprendere anche come la degenerazione dell'economia in "econòmia" (vedi l'etimologia corretta di economia) abbia derealizzato il diritto e la cultura (vedi ne i punti essenziali della questione sociale). Con ciò non voglio dire che Einstein sia il colpevole di questo misfatto. Attribuire la colpa delle cose che vanno male a qualcuno non ha senso. E le cose vanno male dal tempo di Verre (basterebbe leggere le verrine di Cicerone per comprendere per esempio le dinamiche del cosiddetto signoraggio bancario forzosamente connesso alle "imposte"). Non c'è nessuno che impersona lo Stato. E dunque in ognuno di noi vi è lo Stato o la Chiesa o il Partito, ecc., come parte infantile richiedente protezionismo e deflessione dalle nostre responsabilità. Si tratta dunque di crescere, emanciparsi dal collettivo attraverso individualismo etico. Non vi sono altre vie. Perfino il discorso sulla civiltà risente del fatto che non vogliamo cambiare paradigma di pensiero (1), dato che siamo arrivati all'attuale disastro, in cui sarà sempre più evidente il fatto che l'umanità del futuro non potrà più accettare il "civis romanus" come ancora oggi impostato: sulla violenza, vale a dire sul fratricidio (Romolo e Remo) e sulla rapina o sul sequestro (ratto delle Sabine). Occorre pertanto davvero un nuovo modo di pensare lo Stato...

 

 

LE PRIME DUE CHIAVI

 

Nel 1676 (Romer) e nel 1728 (Bradley) fecero le prime misure della velocità della luce (Roberto A. Monti, "Theory of Relativity: a critical analysis", Physics Essays, Vol. 9, n. 2, June 1996, pp. 21-23; traduz. italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").

 

Nel 1856 Weber e Kohlrausch fecero la prima misura del rapporto tra le unità di carica elettromagnetica ed elettrostatica, detto "velocità v" (ibid.).

 

Nel 1857 Weber e Kirchoff ottennero l'''equazione dei telegrafisti" che descrive la propagazione dei segnali elettromagnetici lungo i fili, con "velocità v" (A. K. T. Assis "The meaning of the constant c in Weber's electrodynamics" e «Proceedings of the International Conference "Galileo Back in Italy II"», Inediti n. 134, Andromeda, Bologna, February 2000, pp. 23-36).

 

Nel 1864 Maxwell fu in grado di dedurre dalle sue equazioni l'esistenza di onde elettromagnetiche nell'etere con velocità di propagazione:

 

v = 1/√(ε0μ0)

(Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.;

trad. italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").

 

Maxwell confrontò i valori delle misure della velocità v con quelli ottenuti per la velocità cinematica della luce e, poiché esse comportavano misure metodologicamente distinte, ritenne di poter avanzare, sulla base del sostanziale accordo del loro ordine di grandezza, la sua "teoria elettromagnetica della luce": "È chiaro che la velocità della luce e il rapporto delle unità sono quantità dello stesso ordine di grandezza. Nessuna di esse si può dire a tutt'oggi determinata con un tale grado di accuratezza da consentirci di affermare che l'una è maggiore o minore dell'altra. È da sperare che mediante ulteriori misure le relazioni tra le grandezze delle due quantità potranno essere determinate più accuratamente. Nel frattempo la nostra teoria che afferma che queste due quantità sono eguali ed assegna una ragione fisica per questa eguaglianza è certamente non contraddetta dal confronto di questi risultati così come essi sono" (J. C. Maxwell, "A Treatise on Electricity and Magnetism", Dover 1954. Vol. II, P. 436 ).

 

Conseguentemente, a partire dal 1864, l'esistenza di due grandezze fisiche distinte: c0=1/√(ε0μ0) e cM=2L/∆T, che chiamiamo rispettivamente VELOCITÀ ELETTROMAGNETICA (c0) e: VELOCITÀ CINEMATICA (cM) della luce, era chiara. "All'inizio del secolo (1900) sembrava improbabile che esse (c0 e cM) potessero risultare identiche [...]. Michelson affermò chiaramente: [...] una differenza può quasi sicuramente essere prevista" (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; traduzione in italiano: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica"). ).

 

Sfortunatamente Michelson aveva già commesso due errori. Nel 1887, cercando di verificare la velocità orbitale della Terra relativamente all'etere:

 

1) Non fu in grado di determinare la corretta relazione tra le due quantità c0 e cM che è:

 

cM= c0(1-β²)/√(1-β²Sen²θ); β=v/c0 (ibid.),

il che significa che:

cM = f (c0, v, θ).

 

2) Egli non fu in grado di capire che i metodi di Roemer e Bradley e la misura di c0 (cioè: la MISURA ELETTROMAGNETICA DELLA VELOCITÀ DELLA LUCE) potevano consentire di verificare la velocità orbitale della Terra: v = c0 ∆T / 2T0; v = α c0 (α = angolo di aberrazione) (ibid.).

 

Oggi la misura dell'anisotropia della radiazione di fondo ha completamente risolto il problema della velocità della Terra, del sistema solare, ed anche della galassia, attraverso l'etere, rispettivamente 390 e 600 km/s (ibid.).

 

 

La teoria della relatività di Einstein nasce da DISINFORMAZIONE 

 

 

Michelson e Morley fecero una sola serie di osservazioni nel 1887, e non ripeterono mai più l'esperimento di deriva dell'etere NONOSTANTE MOLTE AFFERMAZIONI A STAMPA CHE AFFERMAVANO IL CONTRARIO (ibid.).

 

Morley e Miller sottolinearono che il risultato dell'esperimento di Michelson e Morley non aveva dato il valore aspettato, ma che l'effetto indicato NON era nullo (ibid.).

 

Sfortunatamente un impiegato dell'ufficio brevetti di Berna, A. Einstein, venne a conoscenza del risultato dell'esperimento di Michelson solo attraverso il libro di Lorentz del 1895 (L. Kostro, B. Lange, "Proceedings of the International Conference: Galileo Back in Italy II", Andromeda, Bologna, 1999, p. 338) e prese per buona l'affermazione secondo la quale l'esperimento di Michelson & Morley aveva dato invece un risultato esattamente nullo: "Subito arrivai alla conclusione che la nostra idea circa il moto della Terra rispetto all’Etere non è corretta, se accettiamo il risultato nullo dell’esperimento di Michelson come un dato di fatto" (A. Einstein, "Speech at Kyoto University, December 22, 1922", NTM - Shriftenreichefur Geschichte der Naturvissenshaften, "Technik und Medizin", Leipzig, 20, 1983, pp.25-28).

 

Di conseguenza concepì una teoria al fine di spiegare questo "risultato nullo": la Teoria della relatività (A. Einstein, Ann. Phys., 17, 891, 1905): "[...] Stabiliamo [...] che la grandezza:

c = 2L / ∆T

sia una costante universale: la velocità della luce nel vuoto".

 

Egli era incapace di distinguere tra cM e c0. Di conseguenza la relazione tra queste due grandezze fisiche:

cM = c0 (1 - β²) / √ (1 - β² Sen² θ) divenne:

   c = c0 (1 - β²) / √ (1 - β² Sen² θ).

Questo "paradosso" poteva essere "vero" solo collegando la "velocità della luce" al concetto di infinito: "Nella mia Teoria (della relatività) la velocità della luce gioca fisicamente il ruolo di una velocità infinita [...] per definizione [...] il tempo che la luce impiega per andare da un punto A a un punto B è uguale al tempo impiegato dalla luce per andare da B ad A: ∆TAB= L/(c-v) = ∆TBA= L/(c +v)" (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica" ; i.e.: A. Einstein, "Zur Elektrodynamik Bewegter Korper", "Annalen der Physik", 17, 1905, pp. 891-921, edizione italiana in: "Cinquant'anni di relatività", Ed. Giuntine Sansoni, Firenze, 1955, pp. 479-504).

 

 

[Nota di Nereo Villa: quando al finito mondo fisico-minerale delle unità di misura si applica il concetto di infinito si può sempre ricavare la misura di qualcosa e contemporaneamente leggerla come metà o doppio, triplo, ecc., all'infinito. Ciò è verificabile come segue. Si immagini una lista o tabellina di numeri: 1, 2, 3, 4, ecc., all’infinito, e un’altra di numeri pari: 2, 4, 6, 8, ecc., anch'essa crescente o decrescente all’infinito. Si può già dire che la prima e la seconda tabellina, giocando fisicamente il proprio ruolo all'infinito, hanno il medesimo quantitativo di numeri perché l’infinito è infinito per entrambe le liste. Eppure nella lista o tabella dei soli numeri pari, mancano i numeri dispari, quindi si può affermare paradossalmente che, pur avendo il medesimo quantitativo di numeri dell’altra, questa ne ha la metà! Lo stesso ragionamento si può fare non solo con le liste 1 e 2 ma con tutte le altre: 3, 6, 9, 12, ecc., 4, 8, 12, 16, ecc., 5, 10, 15, 20, ecc., e così via all’infinito. In tal modo si può dire che le varie quantità sono uguali ma diverse. Questo ragionamento, degno dei giochetti della "Settimana enigmistica", non poggia sulla realtà ma solo su astrazioni. Qui la logica astratta si scontra con la logica di realtà. Lo stesso avveniva più di due millenni e mezzo fa col ragionamento eleatico, a cui si ispirò Einstein, e secondo il quale Achille non raggiunge mai la tartaruga... In altre parole si rientra così nella (o si ritorna alla) FEDE, dato che con simili giochetti si arriva poi a CREDERE in una materia oscura o in un’energia oscura: togliendo realtà all'Etere è ovvio che poi il mondo risulti oscuro, dato che la misurazione dell'etere (creduto misurazione della luce) genererà sempre miriadi e miriadi di "nuove particelle" atomiche].

 

Con "L'avvento della relatività" l'esperimento di Michelson & Morley assume un nuovo significato sperimentale: molte diverse misure di precisione - non possibili all'epoca - sono richieste per verificare la "stabilità" della "costante universale" di Einstein: cM = 2L/∆T con un "braccio solo". Ma con "due braccia" è possibile fare un confronto tra velocità cinematiche in direzioni diverse, senza effettuare misure di cM. Questo è il "nuovo significato" fisico dell'esperimento di Michelson & Morley dopo il 1905: l'apparato di Michelson & Morley doveva funzionare come un giroscopio ottico.

 

Oggi sappiamo che un giroscopio ottico è sensibile fino a 0.001 deg/h, ma è necessario evitare l'agganciamento delle onde stazionarie (W. W. Chow. J. Gea-Banacloche, L. M. Pedrotti Rev. Mod. Phys. Vol. 57, N 1, January 1985, P. 61).

 

 

Altri appunti sul giroscopio ottico

Nel 1904 Michelson ebbe per primo l'idea del giroscopio ottico, ma non fu in grado di ottenere i soldi per costruirlo (A A. Michelson Philos. Mag. 8 (6), 48, December 1904, P. 716).

 

Nel 1913 l'idea di Michelson fu ripresa e sviluppata da Sagnac.

 

Sagnac, come Michelson, considerò due raggi di luce, uno viaggiante in senso antiorario (∆TF) e l'altro in senso orario (∆TR).

 

Si ha:  ∆TF=L/(c0-v); ∆TR=L/(c0+v).

 

La differenza è ∆TF - ∆TR = 2Lv/c0² (1 - β²) = 2Lβ/c0 (1 - β²), e, trascurando solo termini in β³ e ordini superiori:

 

∆T = ∆TF - ∆TR = 2Lβ/c0

 

La corrispondente differenza di fase è

L= (c0 ∆T) / λ=2Lβ

 

Lavorando con la differenza abbiamo conseguentemente la possibilità (prendendo come riferimento la velocità relativa alla radiazione cosmica di fondo) di mettere in evidenza effetti in β = v/c0 = 400/300.000 = 1.3x10-3 (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; versione italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica"). Aggiungendo uno specchio all'esperimento ideale di Michelson & Morley abbiamo l'esperimento di Sagnac (ibid.).

 

Nel 1913, Sagnac, lavorando con la differenza "∆TF - ∆TR ," verificò la formula L= (4 ω S) / c0 λ e confutò la teoria della relatività, suggerendo inoltre che un grande "circuito di Sagnac" posto su un mezzo di trasporto (nel suo esempio: una nave) avrebbe potuto essere sensibile a piccole e lente deviazioni attorno ad una direzione prefissata, così da poter funzionare come un giroscopio ottico (ibid.).

 

Se le vibrazioni meccaniche dell'apparato di Sagnac non avessero potuto consentire lo "sganciamento" delle onde stazionarie, il suo esperimento sarebbe stato considerato ulteriore verifica della relatività speciale.

 

Negli anni '60 il problema dell'agganciamento fu scoperto e risolto tecnicamente perché si sapeva già che un "circuito di Sagnac" doveva funzionare. Ed un risultato nullo non poteva essere accettato.

 

Il primo giroscopio ottico fu costruito nel 1963 da Macek e Davis.

 

Oggi un buon giroscopio ottico ad anello laser può stare nel palmo di una mano. Vettori come la serie Boeing 757/767 e un certo numero di A 310 delle industrie Airbus fanno uso di giroscopi ad anello laser al posto di quelli meccanici (ibid.).

 

 

 

Un'altra DISINFORMAZIONE: Eddington

Due anni dopo i risultati sperimentali di Sagnac, Einstein congetturò la Teoria della relatività generale (1916) (ibid.).

 

Una verifica sperimentale molto importante, perché "inaspettata" della teoria generale avrebbe dovuto essere una differenza tra la deflessione einsteiniana e quella newtoniana di un raggio di luce passante vicino al sole (vicino a un forte campo gravitazionale).

 

I risultati sperimentali osservati durante l'eclissi solare del 1919 non furono in grado di provare alcunché, ma Eddington decise che essi erano "convincenti in favore della teoria Einsteiniana" e la teoria fu velocemente, ampliamente e facilmente accettata (P. Marmet, "Einstein's Theory of Relativity versus Classical Mechanics", Newton Physics Books, Canada, 1997, pp.189-196.).

 

Questi risultati non furono mai più verificati sperimentalmente (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; versione italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").  

 

Una seconda DISINFORMAZIONE costituì le basi sperimentali delle teorie della relatività (Speciale e Generale).

 

Eddington tentò anche un'altra opera di disinformazione a proposito del cosiddetto "redshift gravitazionale" di Sirio B, insieme ad Adams, ma fallì (Marco Mamone Capria, "La costruzione dell'immagine scientifica del mondo". Ed. La Città del Sole, 1999, p. 265).

 

Infine Pound e Rebka mostrarono chiaramente che l'energia (o massa) della luce è soggetta alla gravitazione newtoniana allo stesso modo della materia ordinaria:

h υ = mgz; dove m = hυ / c0²

(R. T. Weidner "On weighing photons", Am. J. Phys. 35, 443, 1967)

 

 

 

La "spiegazione" di Langevin dell'esperimento di Sagnac (1921).

Dopo il "successo" delle spedizioni del 1919, Langevin tentò di "salvare" la relatività speciale per mezzo della relatività generale.

Langevin comincia dicendo che l'esperimento di Michelson & Morley e quello di Sagnac "non sono comparabili". Ma egli mostra solamente di non aver capito che la differenza consiste in uno specchio (4 invece di 3), dato che i due esperimenti sono perfettamente comparabili (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; versione italiana: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").  

 

Dopo di che egli fa l'ipotesi secondo cui la rotazione della piattaforma causa, nel sistema di riferimento connesso con la piattaforma rotante, esattamente le variazioni spazio temporali che possono spiegare il risultato sperimentale L= (4 ω S) / c0 λ se la relatività generale è vera.

 

Ma:

- 1) non ci sono prove sperimentali della validità della relatività generale (ibid.);

- 2) la piattaforma dell'esperimento di Sagnac può funzionare anche se fissata alla Terra, come dimostrò l'esperimento di Michelson Gale quattro anni più tardi (1925);

- 3) nel 1941 Dufour e Prunier mostrarono che l'argomentazione di Langevin era smentita se parte dei circuito ottico era fisso rispetto al laboratorio (ibid.).

Di conseguenza l'argomentazione di Langevin è priva di fondamento sperimentale e l'esperimento di Sagnac smentisce la relatività.

 

 

Gli esperimenti di Miller (1921-1925)

Dal 1921 al 1925 Miller ebbe l'opportunità di ripetere l'esperimento di Michelson & Morley a Mount Wilson.

 

Il risultato fu il seguente: "Queste osservazioni mostrano tutte uno spostamento periodico delle frange di interferenza, come per un vento d'etere, della stessa grandezza, circa 10 +/- 0.33 km/s ottenuta in precedenti esperimenti [...]. Gli effetti si sono rivelati reali e sistematici al di là di ogni questione [...]. Nelle condizioni delle attuali osservazioni gli spostamenti periodici non possono in alcun modo essere prodotti da effetti di temperatura [...]. Questi esperimenti hanno dato evidenza definitiva di un effetto reale sistematico ma piccolo in grandezza e il cui azimut non è spiegabile [...]. L'andamento della curva in tempi siderali ha mostrato in modo conclusivo che l'effetto osservato è un fenomeno cosmico" (ibid.).

 

Infine (1933) commentando gli altri esperimenti di deriva dell'etere effettuati da Kennedy, Joos, Michelson, Pease e Pearson, Miller sottolineò che: "In nessuno di questi esperimenti le osservazioni sono state di una tale accuratezza e di una tale continuità da determinare l'esatta natura delle variazioni diurne e stagionali" (ibid.).

 

Dopo gli esperimenti di Miller infatti, l'attitudine generale "non cercare effetti giornalieri nelle osservazioni interferometriche" sembra essere stata adottata dai relativisti.

 

Michelson, per esempio, tentò (1929) di ripetere l'esperimento di Miller (ibid.). Ma trovò il doppio del risultato di Miller. Conseguentemente, come Miller sottolineò nel 1933, pose fine all'esperimento e non pubblicò i dati sperimentali (ibid.).

 

Albert Einstein era conscio del pericolo costituito dall'esperimento di Miller. Inizialmente decise di ignorare i risultati di Miller (M. Mamone Capria, op. cit.) ma nel 1927 "suggerì l'idea" di possibili "errori sistematici" nell'esperimento di Miller (ibid.).

 

Qualche anno prima della morte di Einstein, Shankland fu convinto ad effettuare una nuova opera di DISINFORMAZIONE: "Una nuova analisi delle osservazioni interferometriche di Dayton C. Miller" (R. S. Shankland - S. W. Mc Cuskey - F. C. Leone - G. Kuerti, "A New Analysis of the Interferometric Observations of Dayton C. Miller", Rev. Mod. Phys. 27, 167, April 1955) ma, di fronte all'evidenza sperimentale mostrata da Miller, decise di "non imbarcarsi in una accurata nuova analisi" dei risultati di Miller (ibid.).

 

Il lavoro di Shankland apparve nello stesso anno e mese della morte di Einstein.

 

La "carriera scientifica" di Einstein cominciò con una DISINFORMAZIONE (Eddington 1919) e finì con un'altra DISINFORMAZIONE (Shankland, Aprile 1955).

 

Nel 1997, Maurice Allais fece finalmente una "corretta nuova analisi dei dati relativi alla soluzione cosmica" mostrata da Miller, confermando l'esattezza dei risultati di Miller (M. Allais, "Michelson, Morley, Miller: the cover-up, 21th Century", Vol. 11, n.1, Spring, 1998, p. 26; R. A. Monti, "Three Major Misinformations in Einstein's Theory of Relativity, Proceedings of the International Conference: Actual Problems of Natural Sciences at the Dawn of our Century", August 21-25, 2000, St. Petersburg, Russia 2001, p. 13).

 

Allais è un economista francese insignito del premio Nobel.

Il suo commento mostra che egli è all'oscuro della situazione morale della fisica del XX secolo: "È sorprendente che i risultati pubblicati nel lavoro di Miller del 1933 siano stati ignorati per venticinque anni. La completa archiviazione del lavoro di Miller mi colpisce come uno degli scandali della fisica moderna" (M. Allais, op. cit.).

 

 

 

L'esperimento di Kennedy e Thorndike (1929)

Nel 1929 Kennedy e Thorndike supposero che, secondo i loro calcoli teorici, un interferometro di Michelson e Morley a braccia diseguali poteva mostrare l'evidenza sperimentale non solo delle contrazioni longitudinali ma anche della dilatazione temporale.

 

Conseguentemente costruirono un interferometro a braccia diseguali.

Ma ebbero una sconcertante sorpresa: l'interferometro funzionava come un giroscopio ottico mostrando un "effetto giornaliero" dovuto alla rotazione della Terra attorno a una direzione fissata.

 

L'effetto giornaliero era un effetto reale: esso poteva essere chiaramente osservato sulle lastre fotografiche.

Di nuovo essi cercarono di "salvare la relatività" affermando che "L'effetto non aveva la grandezza prevista dalle teorie dell'Etere" (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; traduzione: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").  

 

Ma, di fatto, l'effetto giornaliero dell'esperimento di Kennedy e Thorndike, confuta decisamente la relatività, perché un effetto giornaliero, in se stesso, significa che la velocità cinematica della luce non è costante durante il giorno, mentre "la grandezza teorica prevista" secondo la relatività è "nessun effetto giornaliero".

 

L'esperimento di Kennedy e Thorndike non è mai stato ripetuto.

Roberto A. Monti suggerì, anni fa, che e come (cioè indicando quale apparato sperimentale usare) avrebbe dovuto essere ripetuto (R. A. Monti, "relatività e Alchimia" , Ed. Andromeda, Roma 2015, p. 23)

 

 

LA TERZA CHIAVE

Di solito, nell'equazione delle onde elettromagnetiche:

 

ε0 μ0 (δ² F / δt²) + ε0 μ0 (δ F / δt) = ∆ F    [1]

 

il termine ε0 μ0 (δ F / δt), che rappresenta l'effetto di smorzamento dovuto all'interazione dell'onda elettromagnetica con il mezzo attraverso il quale si propaga (etere), è molto piccolo e viene spesso omesso come ''trascurabile'' (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. it.: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").

 

Ovviamente la CONDUTTIVITÀ ELETTRICA DELL'ETERE: σ0  è ≠ 0, altrimenti non ci sarebbe smorzamento e l'onda elettromagnetica sarebbe un esempio di moto perpetuo (ibid.).

 

Ma Albert Einstein ignorava questa nozione elementare.

Per lui "l'equazione delle onde elettromagnetiche" era sempre stata:

 

1/c² = (δ² F / δt²) = ∆ F

 

L'etere e le sue proprietà fisiche, come σ0, semplicemente "non esistevano" (A. Einstein, Ann. Phys., 17, 891, 1905, op. cit). Ma, dal 1925, lo spostamento verso il rosso delle galassie mostrò chiaramente che un'onda elettromagnetica non è un esempio di moto perpetuo. Cioè che σ0 ≠ 0 (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. it.: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica") e, sapendo che l'energia di un'onda elettromagnetica è direttamente proporzionale alla sua frequenza, la soluzione dell'equazione [1] permette di determinare la relazione: r = (1/R0 σ0) 1n (1 + z) tra la distanza di una galassia e il suo spostamento verso il rosso: z = ∆λ/ λ0 (ibid.).

 

L'esistenza dell'''effetto energia": hυ0 / hυ = 1 + z = exp (R0 σ0 r) mostra che, in aggiunta a ε0 e μ0, esiste una terza proprietà "speciale" dell'etere: la conduttività elettrica: σ0 = (2.85 ± 0.15) 10-29 (Ω m)-1 (ibid.).

 

Nel 1938 W. Nernst fu il primo a sottolineare che lo spostamento verso il rosso corrispondeva esattamente all'ipotesi che egli aveva fatto nel 1912 e nel 1921 circa la conduttività dell'etere e l'esistenza di una radiazione di fondo a 2.8° K nota sino dal 1896 e ben misurata da Regener nel 1933 (R. A. Monti, "Albert Einstein and Walther Nernst: Comparative Cosmology", in: "Proceedings of the VIII National Congress of History of Physics”, Milano 1988 p. 331), (A. K. T. Assis "History of the 2.7 K Temperature prior to Penzias and Wilson",  Apeiron, VoI. 2, N° 3, July 1995, p. 79).

 

Il pericolo costituito dai risultati sperimentali di Hubble e dall'ipotesi di Nernst fu finalmente compreso da Einstein che, nel 1931, abbandonò la sua prima "infelice idea" del 1917 circa l'universo stazionario, in favore dell'ipotesi dell'''universo in espansione" avanzata da Fridmann nel 1922 (M. Mamone Capria, op. cit.) e fece l'ipotesi di un effetto doppler per spiegare lo spostamento verso il rosso (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. it.: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").

 

L'ipotesi dell'universo in espansione fu conseguentemente adottata da Einstein e dai suoi seguaci allo scopo di "salvare la relatività".

 

Ma il prezzo necessario fu un'ulteriore dose di contraddizioni e DISINFORMAZIONI:

1) L'esistenza di un effetto doppler è in contraddizione con i postulati della relatività: l'effetto doppler per le onde sonore esiste perché la velocità del suono è una costante che dipende solo da alcune specifiche proprietà fisiche del mezzo.

 

Senza un mezzo, niente onde sonore e niente effetto doppler sonoro.

 

Analogamente, l'effetto doppler per la luce è dovuto al fatto che la velocità della luce è una costante che dipende solo da alcune proprietà fisiche dell'etere: ε0 e μ0.

 

Senza etere niente onde elettromagnetiche e niente effetto doppler per le onde elettromagnetiche.

 

La relatività può riprodurre ben note formule derivate dall'elettromagnetismo classico (è sufficiente stabilire "c è costante").

 

Ma la reale costante dell'effetto doppler per la luce è:

 

c0 = 1 / (ε0 μ0)½, non cM = 2L/∆T = λ υ (ibid.)

 

2) Sulla base dei suoi dati sperimentali, Hubble rifiutò sempre di accettare la forzata interpretazione relativistica degli spostamenti verso il rosso come un effetto doppler.

 

Dopo la costruzione del nuovo telescopio da 200 pollici di Monte Palomar, nell'Agosto 1947, Hubble affermava: "II problema (dello spostamento verso il rosso) è essenzialmente un problema per il 200 pollici [...] è ben noto che una sorgente luminosa in rapida recessione appare più debole di una sorgente luminosa simile ma stazionaria ad una eguale distanza [...] la sorgente luminosa in recessione appare abnormemente debole [...] se gli spostamenti verso il rosso sono l'evidenza di una reale recessione, la riduzione delle luminosità apparenti dovrebbe essere apprezzabile vicino ai limiti di misura con il 100 pollici e dovrebbe essere cospicua vicino ai limiti del 200 pollici. All'estremo limite delle fotografie dirette con il 200 pollici il fattore dovrebbe essere dell'ordine del 40 o del 50 e dovrebbe essere inconfondibile" (R. A. Monti "Albert Einstein and Walther Nernst: Comparative Cosmology", in: "Proceedings of the VIII National Congress of History of Physics", Milano 1988, p. 331).

 

Quattro anni dopo, i primi risultati sperimentali confermarono la sua opinione contraria all'espansione dell'universo.

 

Nel 1953 egli decise, conseguentemente, un nuovo programma di ricerche. Ma pochi mesi dopo, il 28 Settembre 1953, morì a San Marino, California; e il suo programma di ricerca "antirelativistico" fu sepolto con lui, tanto che molti anni dopo il lavoro di Hubble divenne il bersaglio di grossolani e superficiali epitaffi, come i seguenti: "Più di dieci anni dovevano passare (dopo che l'ipotesi dell'espansione fu avanzata da De Sitter) prima che le osservazioni fatte dall'astronomo americano Edwin Hubble provassero al di la di ogni ragionevole dubbio che l'universo era in espansione" (W. Bonnor) (ibid.). "La legge di Hubble. Il colpo più serio allo stato stazionario dell'universo [...] venne dalle misure di Hubble della velocità delle galassie [...] dopo una serie di minuziose misure, Hubble scopri che in media una galassia recede da noi ad una velocità proporzionale alla sua distanza [...] la scoperta di Hubble distrugge immediatamente l'idea di un universo stazionario e immutabile [...] cosi, come indicato dalla legge di Hubble, 20.000 milioni di anni fa le galassie erano presumibilmente tutte ammassate nello stesso punto" (T. Regge) (ibid.).

 

Oggi le osservazioni delle magnitudini apparenti e degli spostamenti verso il rosso di quasar e galassie, mostrano chiaramente, che una "luminosità straordinaria" è associata a questi "oggetti celesti" se si adotta una legge lineare (relativistica).

 

Queste "eccezionali luminosità" (e velocità) sono proprio - come Hubble aveva predetto - la "inconfondibile evidenza" contro l'ipotesi dell'espansione dell'universo (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. it.: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").

 

3) Nel 1942 Walther Nernst morì, ed Albert Einstein tentò di seppellire il significato del suo lavoro scientifico, affermando che "Dopo il 1930" - quando Nernst scrisse il suo lavoro contro la relatività e contro l'universo in espansione - "egli (Nernst) fu sopraffatto da debolezza egocentrica". Nernst fu conseguentemente dimenticato fino al punto che quando, nel 1964, Penzias e Wilson riscoprirono la radiazione di fondo a 2.7° K, Gamow giocò una nuova opera di DISINFORMAZIONE tentando di convincere tutti che egli aveva predetto correttamente e prima di chiunque altro la "giusta" temperatura della radiazione di fondo cosmica sulla base dell'ipotesi del Big Bang (A. K. T. Assis "History of the 2.7 K Temperature prior to Penzias and Wilson", Apeiron, VoL. 2, N° 3, July 1995, p. 79).

 

 

Conclusioni generali

La relatività einsteiniana dà prova di essere sperimentalmente infondata sulla base di almeno 12 DIVERSI TEST sperimentali, che contraddicono i suoi due postulati (Theory of Relativity: a critical analysis, op cit.; trad. it.: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica").

 

Ulteriori tests che possono smentire la teoria della relatività sono concepibili (nuove misure elettromagnetiche della velocità della luce, un esperimento di Kennedy-Thorndike modificato) (ibid.).

 

 

La difficoltà nel trattare la questione dell'"avvento della relatività" non è dunque dovuta alla mancanza di argomentazioni scientifiche o di esperimenti, i quali, indicano che la teoria è già 12 VOLTE sperimentalmente infondata.

 

La reale difficoltà sembra essere il fatto che la relatività di Einstein non è una questione scientifica, ma un affare accademico (un vero e proprio BUSINESS ACCADEMICO): molti scienziati lavorano in programmi di ricerca concernenti astronomia ed astrofisica relativistiche, cosmologia relativistica, antenne gravitazionali relativistiche, letteratura scientifica e popolare relativistica. E molti scienziati lavorano nel campo della fisica delle particelle elementari per studiare i 10-37s dopo un evento (il Big Bang) che non si è mai verificato.

 

Contro questa situazione le argomentazioni scientifiche più fondate hanno scarse probabilità di riuscita.

 

Ma nonostante le attuali difficoltà la scienza dovrà prevalere.

 

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(1) Nota di Nereo Villa: il cambiamento è comunque possibile ed è già iniziato, anche se in punta di piedi. Ma sarà sempre più percepibile se si chiarirà che LA CONVENZIONE NON È LA NUOVA CONCEZIONE SCIENTIFICA DEL MONDO O IL NUOVO PARADIGMA DA ADOTTARE. Il problema di scambiare il convenzionale per il nuovo è in definitiva il problema che la scienza contemporanea deve ancora risolvere. E ciò è testimoniato perfino in alcuni titoli di libri di fine millennio da coloro che se ne accorsero, come ad es.: S. Bergia & M. Valleriani, "Relatività ristretta: convenzione o nuova concezione del mondo?", Vol. XXXIX, N. 4, 1998, pp. 199-221 e F. Selleri, "Relatività ristretta: nuova concezione del mondo o convenzione?", Vol. XL, N. 1, 1999, pp. 19-23.
 

 

BIBLIOGRAFIA:

 

- Roberto A. Monti, "The real Einstein" (PDF: http://digilander.libero.it/VNereo/roberto-monti-the-real-einstein.pdf).

- Roberto A. Monti, "Il grande bluff di Albert Einstein", Ed. Moderna, Ravenna 2011 (http://libri.edizionimoderna.com/).

- Roberto A. Monti, "relatività e Alchimia" , Ed. Andromeda, Roma 2015.

- Roberto A. Monti, "Theory of Relativity: a critical analysis", Physics. Essays, Vol. 9, n. 2, June 1996; traduz. in italiano: Roberto A. Monti, "Teoria della relatività: un'analisi critica".