La conservazione della materia non esiste

 

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A me pare che la conservazione della materia sia un dogma di fede, non una conoscenza. In quanto tale non esiste se non come ideologia.

 

Oggi per abitudine, cioè senza alcuna verifica diretta, si crede nel principio della conservazione della materia. Perciò si sente spesso dire che “nulla si crea e nulla si distrugge”. Ma è vero proprio l’esatto contrario: tutto si crea e tutto si distrugge, dato che tutto è in divenire. La conservazione della materia è dunque un pregiudizio scientifico da sfatare, basato sul secondo principio della termodinamica mal compreso. Spero di riuscire a spiegare questo importante argomento, poiché l’incapacità umana di distinguere la concretezza logica (o logica di realtà) dalla logica meramente intellettuale (logica astratta), genera fraintendimenti, prigioni ideologiche, incomprensioni, guerre, e conseguenti carestie.

 

La realtà non consiste di sole percezioni sensibili ma anche di percezioni sovrasensibili come, appunto, concetti e idee (insiemi di concetti), che possono essere più o meno pieni di concretezza. Infatti solo grazie a un concreto contenuto concettuale posso sapere perché la chiocciola si trovi ad un gradino di organizzazione più basso di quello del leone.

 

Ed ogni concetto vale in quanto è in movimento in noi, cioè vive come vive un organismo: così come un organismo vivente è mobile e non qualcosa di staticamente chiuso in sé‚ allo stesso modo è vivo un concetto (o un’idea) conforme alla realtà. Ogni concetto ha valore in quanto è vivente e si sviluppa in varie direzioni come una radice verso il terreno, e/o come il fusto e il fogliame di una pianta verso il cielo.

 

L’osservazione della differenza tra un pensare conforme alla realtà ed un pensare non conforme alla realtà riguarda sostanzialmente la differenza fra un pensare libero ed un pensare non libero, o vincolato, o  dogmatico. Tale osservazione è quindi importante e necessaria per trasformare in positive le nostre abitudini negative. Ogni abitudine (buona o cattiva che sia) è infatti sempre e innanzitutto un’abitudine di pensiero.

 

L’uomo è però ancora molto lontano dal soddisfacimento di questa necessità e quindi si crea delle religioni compensatrici, che però non riescono mai a darlo felice, dato che solo il superamento della contraddizione è gioia. La scienza che si fa religione dovrà pertanto tenerne conto se davvero intende svilupparsi.

 

Attraverso la fisica, la scienza odierna insegna da un lato il principio del disordine, cioè il secondo principio della termodinamica, che tenderebbe a condurre a rovina ogni cosa organizzata mentre, attraverso la biologia, dall’altro lato, insegna che esiste un principio di progressione degli organismi viventi.

 

Secondo la scienza il mondo fisico tenderebbe pertanto alla decadenza e contemporaneamente al contrario della decadenza, cioè all’ascesa, al miglioramento ed al progresso secondo la biologia. Ma come possono quindi questi due principi essere le due facce di una stessa realtà che, fin dalle elementari, d’abitudine la scuola richiede agli scolari di associare tra loro come conoscenza, scavalcando logica e buon senso?  

 

Il secondo principio della termodinamica è evidentemente da ristudiare.

 

Per ristudiarlo in modo spregiudicato occorre però fare innanzitutto tabula rasa dell’antiquata convinzione che dagli inizi del XX secolo fa credere alla gente che occuparsi di ciò che è immateriale renda l’uomo debole o estraneo al mondo fisico, creduto il solo concreto.

 

Di fatto credere di essere uomini scientifici nella misura in cui ci si occupi di fisica, e poi procedere esclusivamente attraverso fisica teorica ed esperimenti mentali (Gedankenexperimente) è un’altra incongruenza generata dal medesimo pregiudizio da sfatare in quanto abitudine negativa.

 

Fra i grandi fisici della storia che si occuparono del calore, William Thomson (1824-1907), comunemente conosciuto dal 1892 col nome di Lord Kelvin, fece importanti scoperte nel campo della termodinamica, introducendo la scala assoluta delle temperature, detta poi “scala Kelvin”.

 

Abbiamo poi Rudolf Clausius (1822-1888), anch’egli studioso di termodinamica, in particolare di entropia, termine da lui coniato.

 

Con il fisico e ingegnere francese Carnot (Nicolas Léonard Sadi Carnot, 1796-1832) che portò a termine ricerche per migliorare il rendimento del motore a vapore, si parlava infatti di legge di entropia.

 

Questa legge, detta legge (o ciclo) di Carnot, afferma uno dei più certi enunciati fondamentali che abbiamo nel mondo fisico, per spiegare come le forze del mondo si trasformano in rapporto al fisico, così che una forza passa in un altra. Per esempio, se si batte con la mano su un tavolo e si misura con un termometro preciso l’azione sul piano del tavolo, si trova che il punto in cui cade il colpo diventa caldo. Allo stesso modo il calore della locomotiva si trasformava in movimento e questo, viceversa, in calore.

 

Alla base di tutto ciò vi sarebbe, appunto, la legge fisica di entropia, secondo la quale ogni forza deve trasformarsi in calore che si distribuisce poi nello spazio cosmico. In tal modo si crede scientifico dire, in base a leggi fisiche, che la Terra alla fine subirà una morte per il calore.

 

Chi però crede che nel mondo esistano solo leggi fisiche si trova poi ai ferri corti col fatto che la vita continua e da parecchio. Se la legge fisica di entropia fosse vera, l’uomo potrebbe già dire in base ad essa che la vita è simile a un tizzone destinato a scomparire, finire, cioè bruciare assieme alla luce stessa delle stelle. Ma così non è in quanto tale legge non basa su logica di realtà. Ecco perché Haeckel diceva che il principio di entropia è insensato in quanto in contraddizione con la sua legge sulle sostanze. Che le cose si trasformino in continuazione è infatti per Haeckel una legge di natura.

 

In riferimento alle scoperte di Lavoisier, ognuno sa cosa significhi il fatto chimicamente dimostrabile che se si uniscono una all’altra delle sostanze, il loro peso è uguale alla somma delle parti. E ognuno sa che quella dimostrazione equivale alla vecchia legge matematica secondo la quale “il tutto è uguale alla somma delle parti” valida però solo per il PESO.

 

Infatti se prendiamo il nostro cellulare e con un mortaio lo pestiamo in un crogiuolo riducendolo in polvere non possiamo più dire che il tutto è la somma delle parti. Ogni granello di polvere di quel cellulare è una sua parte ma non è più il cellulare. Il cellulare è tale solo se coincide con la propria forma non con la sua polvere. E la forma è immateriale (o spirituale) perché tutto si trasforma.

 

Goethe diceva: “Chi vuole riconoscere e descrivere il vivente, tenta dapprima di estrarne lo spirito, poi ha in mano le parti, purtroppo manca solo il legame spirituale! (Goethe, “Faust”, Studio, Scena dello Scolaro). Ebbene la scienza odierna è diventata un trascurare quel legame immateriale o spirituale, che fa di un cellulare un cellulare, e della sua polvere pestata nel mortaio mera polvere.

 

Dunque il PESO di una cosa NON è la cosa.

 

La cosa è quella data cosa per via concettuale, dunque immateriale, non per via del suo PESO.

 

Una scienza che riduca il mondo alla misura del suo peso, o della sua grandezza, o della sua energia, ecc., riduce la realtà del mondo. Riducendone la realtà, come può fare un servizio al mondo? E come può essere un servizio per chi abita il mondo, se lo aliena dal mondo? 

 

Un esempio di alienazione dal mondo è presto fatto: colui che, ragionando per assoluti o dogmaticamente, pretende che la propria scienza sia rigorosamente oggettiva, così che essa ricavi i suoi contenuti soltanto dall'osservazione, dovrebbe contemporaneamente pretendere che essa rinunzi del tutto al pensare, dato che il pensare, per sua natura, va sempre al di là dell'osservato. La rinuncia al pensare sarebbe però anche la rinuncia ad ogni intuizione e quindi alla scienza stessa. Se egli si accorgesse di questo paradosso, non ragionerebbe più dogmaticamente o per assoluti. Se invece non se ne accorge può arrivare perfino a credere sensata una comprensione non pensante di qualcosa, cioè che possa esistere un comprendere senza intuire. Ciò è avvenuto veramente. E fu esattamente Albert Einstein, creduto da tutti il genio dei geni a dire che con l'avvento della sua teoria della relatività - queste sono le sue parole: "ciò che l'uomo considera intuitivo o non intuitivo è cambiato! [...] Intendo dire che la Fisica è comprensibile e non intuitiva" ("Physikalische Zeitschrift", Vol. 21: "Allgemeine Diskussion ueber Relativitaetstheorie bei Versammlung deutscher Naturforscher und Aerzte", Bad Nauheim, September 1920)! Qui vi è alienazione essenziale creduta scienza.

 

La scienza non dovrebbe alienare l’uomo dal mondo. Dovrebbe renderlo forte, energico e intraprendente per l’esistenza, arricchendo e non impoverendo la realtà. Invece oggi essendo estranei alla realtà dei fatti, abbiamo bisogno poi di teologie da appiccicare all’alienazione generata dalla scienza. Abbiamo bisogno della teologia della transustanziazione, la cui realtà però NON è una fede da credere o un misticismo materialistico di tipo magico ma trasformazione di sostanza in  NUOVA e concreta FORMA.

 

La legge della conservazione della forza, o dell’energia, o della materia è dunque insensata.

 

E il secondo principio della termodinamica? Il suo artefice, il medico e fisico Julius Robert Mayer  (1814-1878), che nel 1842 aveva scoperto, e nel 1851 annunciato, quel principio come l’equivalente meccanico del calore, ben sapendo tuttavia che tale principio non era (e non è) valido per la fisiologia umana.

 

Osservando le dinamiche energetiche dei vari materiali, Mayer comprendeva che tra il calore ed il rendimento meccanico domina un rapporto ben definito, che si può esprimere numericamente: attraverso pressioni, urti, attriti, e così via - cioè attraverso un lavoro - si forma calore.

 

In quel periodo si poteva ben riflettere, per esempio, sulla macchina a vapore, nella quale il calore era di nuovo commutato in rendimento di lavoro. Ogni quantità di calore sorgente da lavoro può essere infatti calcolata dall’entità del lavoro stesso. Si può per esempio calcolare che se si converte in lavoro la quantità di calore necessario a far salire di un grado la temperatura di un litro d’acqua, questo lavoro può sollevare di un metro 424 chili. Non deve quindi stupire se in questi fatti si vide un enorme progresso rispetto alla spiegazione della materia che era stata data finora.

 

Si procedette però da esaltati in questa via e si arrivò all’esagerazione di attribuire alla materia l'eternità. Ed oggi siamo ancora talmente immersi in quell’esaltazione e confusione, che in base al 2° principio della termodinamica la maggior parte delle persone è stata indotta a credere al “riscaldamento globale”.

 

Oggi però la tecnologia è talmente avanzata ed alla portata di tutti che la scienza è costretta a smentire se stessa: è del 30 luglio 2018 la smentita da parte della scienza della sua congettura del “riscaldamento globale” (Your News Wire del 30/07/2018). Ma per un sano pensare tale congettura non sarebbe mai sorta e non ci sarebbe stato bisogno, secoli dopo, della sua smentita. 

 

Nel 2014, rinominando un mio vecchio video (di un'ora circa) intitolato "Sulla legge della conservazione della forza o energia" per rimuoverne qua e là alcune parti e renderlo più breve (oggi dura una decina di minuti), lo ripubblicai col nuovo titolo "Le cause della bufala del riscaldamento globale". Nel video parlo di pregiudizi e superstizioni che da secoli imperano dogmaticamente in ogni sfera scientifica. Si tratta di problemi irrisolti a causa di una “malattia” dell’umanità, che ha invaso la maggior parte delle persone di tutto il pianeta. Siamo infatti quasi tutti ammalati di rimozione del nostro giudizio critico. Perciò in genere i problemi restano per secoli irrisolti nelle nostre coscienze, non tanto perché difficili da risolvere ma soprattutto perché preferiamo - da onesti alienati che pagano le tasse - farli risolvere da altri, dallo Stato, o dalla Scienza, o dalla Chiesa, ecc.

 

Le considerazioni espresse in quel video riguardano dunque quelle superstizioni e quei pregiudizi che oggi sono ancora tali e quali ad allora, solo che oggi dominano catafratti di apparenza scientifica.

 

La scoperta di Mayer è una straordinaria conquista della scienza fisica ma fu immediatamente fraintesa come “legge” della conservazione della forza o energia.

 

Questa legge afferma che la forma di tutte le forze o energie esistenti nell’universo è costante, dato che ogni energia può solo trasformarsi, così da manifestarsi una volta come calore, un’altra volta come forza meccanica, e così via.

 

Tuttavia, presentando la scoperta di Mayer come legge di conservazione dell’energia o della materia la si fraintende radicalmente.

 

Mayer intendeva chiarire la metamorfosi delle varie forme energetiche, non la loro conservazione. Infatti la conservazione di una formazione o di una forma è - perfino etimologicamente o semanticamente - esattamente il contrario della propria trasformazione.

 

Vista in una grande concatenazione di fatti storici dell’emancipazione umana, la sopracitata legge di conservazione è tutt’altro che evolutiva: è il più grande ostacolo alla comprensione dell’oggetto “uomo”.

 

Nell’uomo si formano sempre forze nuove, energie nuove, materia nuova, e si formano sempre DI NUOVO.

 

Negando questa realtà non si può arrivare ad una conoscenza del vero essere umano, perché questo vero essere umano dipende appunto proprio dal fatto che tramite lui sono continuamente generate nuove forze e nuove sostanze. Si pensi al fatto che anche il solo nostro corpo fisico ogni sette anni cambia tutta la sua struttura materiale, molecolare ed atomica. E poi si pensi a tutte le invenzioni dell’uomo, alla tecnica, alla tecnologia, sempre nuove. La concezione della conservazione della materia e dell’energia è pertanto confutata da ciò che accade sia all’interno dell’organismo umano che all’esterno grazie alle opere del suo intuire, nonostante tutti i dogmi scientifici anti-evolutivi imperanti nelle coscienze dei più ingenui o dei più primitivi. Si pensi per esempio al comune odierno smartphone, dotato di giroscopio ottico. L’ho detto tante volte ma vale la pena di ripeterlo affinché se ne prenda coscienza: per erigere la sua congettura di formule erronee detta “Relatività speciale” e per giustificare i suoi errori, Einstein dovette considerare “teoricamente impossibile” un giroscopio ottico (cfr. A. Einstein, "Relativity - The Special and the General Theory", Methuen, 1920, p. 66; cfr. anche: T. Theocharis, "Translation and Rotation Sensors, Proceedings of the International Conference Galileo Back in Italy II", Ed. Andromeda, Bologna 2000, pp. 441-446). Invece il giroscopio ottico è presente oggi in ogni smartphone nella misura in cui l’immagine (foto, video, o altro) si capovolge o si sposta a seconda del movimento di chi lo manipola. L’esistenza dei giroscopi ottici confuta pertanto quotidianamente la giustezza della relatività speciale. Dunque l'intera teoria della relatività (sia speciale che generale) e le sue implicazioni cosmologiche: il Big Bang e l'Espansione dell'Universo, sono pura fantasia, persistente come la più colossale truffa scientifica della scienza moderna.

 

Oggi col modo einsteiniano di pensare si arriva a credere nel Big Bang ed alla conseguente creazione dal nulla.

 

Questa strana fede einsteiniana nella creazione dal nulla non è molto diversa da quella dei bigotti medioevali nell’asina parlante della Bibbia (Numeri 22,28). Cioè è pura superstizione.

 

Solo quando si riconquisterà l’idea sintetica secondo cui è effettivamente impossibile che dal nulla nasca qualcosa, dato che le cose si trasformano in modo da perire mentre altre ne sorgono, solo allora si sarà guadagnato qualcosa di fecondo in campo scientifico.

 

Se questo pensiero non sostituirà la legge della conservazione dell’energia e/o della materia si resterà impantanati nella scienza creduta anziché sperimentata e verificata, e quindi in una superstizione ancora più superstiziosa di quella del cavallo pegaseo einsteiniano.

 

Queste cose andrebbero dette e ripetute se si vuole uscire dalla superstizione, anche se è risaputo che dicendole si è tacciati immediatamente di complottismo: oggi, al minimo ragionamento che fai in campo scientifico, ti danno del "complottista". E allora, se sei uno zelante seguace del tuo professore, ti allinei ai non complottisti: una volta (facilmente) rilevata l'impostazione "complottista" - scrive Bartocci - lo studioso "pigro" autorizza la propria coscienza a ignorarne completamente qualsiasi argomentazione (U. Bartocci, "Una rotta templare alle origini del mondo moderno", Presentazione). E di fatto oggi i ben pensanti, grazie a tali AUTORIZZAZIONI ALL'IGNORARE sono diventati NON pensanti... È molto più comodo! E quasi sempre si parla di complotti per sostenere che esistono soltanto nella fantasia sbrigliata dei "dietrologi". Pertanto, il termine "dietrologia" è diventato purtroppo sinonimo di giudizio critico. Ecco perché il pensare odierno tende davvero al BI-PENSIERO di Orwell, con conseguenza di NEOLINGUA (o OCOLINGO), sempre di Orwell... (ed a questo proposito faccio notare al fisico teorico odierno, rimasto mentalmente al Concilio di Trento, che la mia attività “complottista” di tipo catechistico, incominciata nel 1992 è terminata il 2 agosto 2018, dato che il punto 2267 della dottrina cattolica è stato finalmente cambiato).

 

L’essere umano dunque crea sempre nuove cose, nonostante gli errori di Einstein e nonostante l’interpretazione erronea della scoperta di Mayer.

 

Costruire una legge come quella della conservazione dell’energia e della materia, e proclamarla universale proviene dalla tendenza umana a descrivere le cose unilateralmente, confondendo la definizione col postulato. I nostri concetti dovrebbero formulare solo dei postulati e non dare definizioni che abbiano la pretesa di essere universali.

 

Anziché formulare una “legge” riguardo alla conservazione delle sostanze e delle forze, dovremmo ricercare per quali entità questa legge possa valere.

 

I secoli 19° e 20° ebbero appunto tale infausta tendenza a stabilire una legge dichiarandola valida in tutti i campi.

 

Da un paio di secoli la tendenza galileiana di osservare prima il dato empirico e poi di codificarlo si è progressivamente e radicalmente invertita. La necessità di ottenere macchine a vapore sempre più potenti e redditizie (il primo motore a vapore fu realizzato da James Watt nel 1769) incentivò le ricerche e gli studi nel campo della termodinamica, e lo sviluppo di questi studi contribuì a far prevalere il metodo deduttivo su quello empirico. Ed oggi ciò che prevale sono appunto gli esperimenti mentali (Gedankenexperimente).

 

Il secondo principio della termodinamica fu elaborato dal fisico tedesco Rudolf Clasius e generalizzato da Ludwig Boltzmann. Oggi quel principio consiste nella falsità dell’affermazione che qualunque sistema fisico non può che procedere da un minore ad un maggiore stato di entropia (l’entropia, termine coniato dallo stesso Clausius, è la misura del grado di disordine di un sistema), cioè da uno stato ordinato ad uno meno ordinato.

 

Questa affermazione, apparentemente innocua, in realtà prevedeva per l’universo la morte termica e lo condannava ad una fine caotica e irrimediabile più o meno lontana.

 

La coscienza di un inevitabile compimento della “storia cosmica” si aggiunse così alle numerose cause che portarono alla profonda crisi culturale iniziata a partire dagli ultimi decenni del 19° secolo e che dura tutt’ora.

 

Allora Nietszche precludeva ogni possibilità di indagine filosofica, e contemporaneamente Lamark, Darwin e Malthus avanzavano teorie aberranti che definitivamente toglievano all’uomo le ultime pretese di centralità nella natura, sopravvissute a Copernico ed a Keplero; in letteratura, il periodo decadente e di avanguardie nell’arte figurativa offrivano l’espressione di una civiltà che sempre più fuggiva dalla realtà.

 

Cambiando la cultura verso l’astratto, anche la salute mentale prese l’indirizzo dell’astratto sub-reale e l’umano divenne sub-umano in quanto il valore di un uomo era ormai divenuto inferiore a quello di una sua particella sub-atomica.

 

Con Einstein arrivammo poi alla totale crisi culturale dell’astrattismo assoluto, che perdura tutt’ora come sublime mondo del bello e dell’introspezione (sic!) in cui non c’è più bisogno di intuire, ma solo di credere, cioè di fidarsi del “dottorato” di Stato, implicante il politicamente corretto o il fisicamente corretto secondo i quali si è “dottori della legge” scientifica nella misura in cui ci si attiene al marchio di argomento di cui non si può parlare per non essere tacciati di complottismo.

 

Questa crisi, non a caso, si sviluppava parallelamente alla degenerazione progressiva dei rapporti pacifici tra le nazioni.

 

La prima guerra mondiale completò il disfacimento di tali rapporti.

 

Con la seconda guerra mondiale l’uomo  smarrì completamente la fiducia in sé e nel progresso, perché con le nuove tecnologie, il progresso fu finalizzato unicamente - grazie soprattutto alla schiera dei “filosofi eroi” alla Bertrand Russell o alla Albert Einstein - al genocidio.

 

In questo mondo atterrito, distrutto socialmente e psicologicamente, che vedeva nella scienza non più la via per la libertà culturale ma la strada più diretta per l’annientamento totale, si erano inserite, non solo le note leggi della conservazione della materia e della conservazione dell’energia, che Mayer aveva annunciato ma anche gli errori di Einstein divenuti dogmi da credere. Ancora oggi se si vuole lavorare come docenti universitari occorre mostrare massima fede nel dottorato di Stato, nella Comunità Scientifica e nella Chiesa Cattolica, dimostrando la “scientificità” dei suoi dogmi con parole nuove come per esempio “Big Bang” per la “creazione dal nulla”, o “espansione dell’universo” per un universo finito e perciò desideroso di espandersi secondo misura matematica del paradosso di Zenone, in cui nessuno abbia più il coraggio di pensare all’universo infinito di Giordano Bruno come relatività poggiante su buon senso piuttosto che su divinizzati errori matematici secretati.

 

Scrive il matematico e storico Umberto Bartocci: «Era il mese di novembre del 1984 quando l'amico Roberto Monti pubblicava coraggiosamente (sul 1° numero di Seagreen, rivista bolognese underground - coraggiosi peraltro anche la rivista e il suo editore, che merita una citazione esplicita: Paolo Brunetti) un'analisi critica della teoria della relatività, con il titolo IL GRANDE BLUFF. E proprio di coraggio, anzi di temerarietà si deve parlare, perché Monti era comunque un fisico "integrato", e sapeva bene che, se risultava ancora possibile che durante un congresso di matematici a Berlino nel 1928 la teoria di Einstein venisse da qualcuno definita come "La più grande truffa matematica di tutti i tempi", oltre 50 anni più tardi (e soprattutto dopo la vittoria nella II guerra mondiale delle potenze alleate sotto la leadership angloamericana, l'Olocausto, e le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki - a torto, ma universalmente proposte come una feroce conferma applicativa delle nuove concezioni dello spazio e del tempo!), egli si stava rivolgendo a un codazzo di epigoni e adulatori, i quali avrebbero assai poco favorevolmente accolto il suo invito a una revisione dei correnti giudizi di valore» (U. Bartocci, “Geometrie non euclidee - Introduzione - cartesio-episteme.net”).

 

Poco importa che pochi, o addirittura pochissimi, siano bene al corrente di cosa si tratti nello specifico. Anzi, la forza di un "paradigma", in un dato momento storico, consiste proprio nel suo essere accettato in maniera passiva, per puro spirito di imitazione e di autocondizionamento da parte di "masse" di... intellettuali, fenomeno che dimostra quanto purtroppo l'essere umano voglia ridursi a semplice "animale" per di più "gregario".

 

Nel libro "Lo scimmione intelligente" di E. Boncinelli è per esempio espressa la convinzione dello scrittore francese relativista Raymond Queneau (1903-1976), secondo la quale “La scimmia, senza sforzo, diventò l’uomo, che un po’ più tardi, disgregò l’atomo”. Queneau è famoso per il suo “senso del relativo”, che raggiunge il colmo in “Exercices de style” (1947), dove si allineano 99 versioni diverse, dello stesso fatto banale.

 

Proprio in questi “scimmioni intelligenti” le leggi scientifiche che proclamano non hanno alcun valore, dato che in ogni istante accade in loro qualcosa che le contraddice in modo incontrovertibile: accolgono continuamente in loro alimenti che, passando nell’apparato digerente, vengono tutti e totalmente distrutti da loro, eliminati. Non possono negarlo, a meno che sostengano di nutrirsi per conservare in loro la materia dei loro escrementi secondo la legge!

 

Allo stesso modo uno scimmione intelligente non può “relativizzare” o negare il fatto che chi mangia una banana di due che ne ha resti incontrovertibilmente con una sola banana. Se lo negasse per attenersi alla legge del tutto relativo o del non euclideo, sarebbe uno zelota assoluto, un credente insomma. I CREDENTI in una SCIENZA sono però simili ai credenti in una qualsiasi altra confessione religiosa. Questo è un morbo che dura da millenni nell’umanità garantendo ai faraoni di dominarla rendendola schiava in un modo o nell’altro. Fissandosi per esempio in Einstein o in un qualsiasi altro sedicente scienziato, o filosofo, o fazione politica, partito, ideologia, ecc., ci comportiamo spesso come gli antichi del Medio Evo, fissati in Aristotele. Alla fine del Medio Evo, succedeva infatti che anziché osservare la natura, apparisse molto più comodo prendere gli antichi libri di Aristotele per metterli a base di ogni conferenza accademica. Si racconta addirittura che un peripatetico (aristotelico ortodosso), inviato ad osservare un cadavere per persuadersi che i nervi NON partono dal cuore (come egli aveva erroneamente creduto di leggere in Aristotele filtrato da Avicenna e Averroè), ma che il sistema nervoso ha il suo centro nel cervello, avesse risposto: “L’osservazione mi dimostra che la cosa sta veramente così, ma nei libri di Aristotele sta scritto il contrario, ed io credo ad Aristotele”. Così questa tipologia di aristotelici era effettivamente diventata una calamità. Ecco perché la scienza empirica dovette farla finita con questo falso aristotelismo, e richiamarsi all’esperienza pura (un impulso particolarmente energico fu dato a questa tendenza da Galilei).

 

Per ritornare agli scienziati della conservazione della materia, bisognerebbe ribadire loro che non esiste alcuna materia indistruttibile. La conservazione della materia è solo un’idea priva di relazione con la vita, cioè un’assolutizzazione di qualcosa priva di senso, dato che solo distruggendo, eliminando, materia, la vita può continuamente fluire e passare dal mondo immateriale e sovrasensibile a ciò che è stato distrutto: quando gli alimenti passano nei vasi linfatici, ciò che era morto o ridotto a pezzettini dai nostri denti, ridiventa in noi qualcosa di vivente, assumendo altra forma: la nostra forma!

 

Chi conosce o osserva l’essere umano sa che nel suo processo organico la materia è del tutto annientata per essere ricreata di nuovo.

 

Proprio nel nostro organismo vi è dunque un processo contrario a leggi scientifiche, fatte credere e fatte studiare al popolo ignaro attraverso la kultura dell’obbligo di Stato, catastrofiche menzogne, insomma, di cui dobbiamo ancora accorgerci.

 

L’esigenza è quindi quella di liberarsi delle pseudoscienze alla Einstein, Angela, Hack, Cicap e compagnia bella, poggianti sull’assenza del giudizio critico di chi si rassegna in definitiva a conoscere soltanto il corpo fisico.

 

Nei campi della psicologia e della politica le cose non andarono meglio dato che, appellandosi al principio della conservazione dell’energia ed agli esperimenti di Rubner e Atwater, si arrivò perfino a scoprire il cosiddetto “parallelismo psicofisico” e le belle trovate politiche del consociativismo sionista della serie “convergenze parallele”, ecc.!

 

Ancora oggi viviamo ignari in quel consociativismo. Se infatti le parallele possono davvero incontrarsi all’infinito, ciò significa forse che con l’“avvento” del sionista Einstein i contenuti dei concetti cambiano, come nel bis-pensiero di Orwell così che non si distingue più una congruenza da un’incongruenza?

 

L’attuale linguaggio di chi ci governa è antilogico o sognante, tant’è vero che la fisica stessa è stata ridotta a Gedankenexperimente, esperimenti mentali, cioè astrazioni senza alcun rapporto con la vita reale, detti “fisica teorica”.

 

A me pare dunque che la cosiddetta fisica teorica e l’indistruttibile materia del 2° principio della termodinamica mal compreso (dato che secondo lo scimmione intelligente tutto dovrà distruggersi poi per calore), siano il sintomo dell’incapacità dell’uomo di comprendere se stesso e il mondo.

 

Occorre prendere consapevolezza che se si mangia un alimento innanzitutto lo si distrugge e che ciò non è relativo: non si può dire che potrebbe anche essere l’alimento a mangiare noi secondo la relatività di Einstein. Sembra una battuta incredibile ma la storia della bistecca è nota: più di un secolo fa, un fisico aveva presentato a studiosi un semplice esperimento sulla relatività, da cui appariva che è del tutto indifferente strofinare un fiammifero sulla sua scatola, oppure tenere fermo il fiammifero e strofinarvi contro la scatola, dato che in entrambi i casi il fiammifero si accendeva. Uno degli astanti, di fronte a questo fisico che amava spiegare la relatività con la semplificazione del fiammifero che si accende sfregandolo sulla scatola, ma che si accende anche se si sfrega la scatola sul fiammifero, aveva risposto: “Però c’è una bella differenza se io mangio una bistecca o se la bistecca mangia me”. Così il fisico si scandalizzò molto per il trattamento della teoria della relatività da parte di questo altro studioso. Quest’ultimo però aveva ragione. Infatti diceva: “Certo, qui c’è qualcosa di relativo. E tutto quello che si applica ad uno spazio newtoniano o a uno spazio euclideo, anche quello è tutto relativo. Però non appena tratto la relatività in merito alla gravità, le cose non vanno più così semplicemente come Einstein se le rappresenta, dato che sopravvengono condizioni reali!”.

 

Infatti, nella misura in cui si adotta un pensiero conforme alla realtà non si può procedere mediante convergenze parallele o altri paradossi di questo tipo.

 

La relatività di Einstein si fa valere solo quando l’intera realtà viene scambiata con la matematica, con la geometria e con la meccanica. Ma quando si entra nel campo della realtà, allora la relatività non va più bene. Infatti, decisamente, non è per nulla relativo se io mangio un pesce, o se il pesce mangia me. Con la scatola di fiammiferi si può muovere la scatola o il fiammifero, ma il panino bisogna mangiarlo, non si può lasciarsi mangiare dal panino.

 

Tutte queste PALLE sono nel loro insieme veramente manicomiali, soprattutto se poi, in nome di simili scienziaggini “relatività assoluta” (cioè tutto è relativo tranne l’affermazione che “tutto è relativo”!), “parallelismo psicofisico”, “conservazione dell’energia”, “morte termica”, “selezione naturale della specie”, si giustifica la  loro trasformazione in palle di cannone o in bombe atomiche.

 

Giochino pure gli antilogici figli del grande Einstein, con la sua “scatola di fiammiferi”, dato che essa non fa male a nessuno. Ma l’atomica fa male. Giochino pure costoro a fare i filosofi, dato che la dialettica è oramai per loro come una droga di cui non possono fare a meno per catechizzare la loro identificazione con la materia e con le proprie viscere, conservate in pregiudizi astratti. Però se proprio non possono fare a meno di relatività, ripassino allora la relatività di Giordano Bruno, che almeno era sensata.

 

Quanto segue è la conclusione di Giordano Bruno in merito, appunto, all’abitudine, basata sui pregiudizi astratti del fideismo o dell’intellettualismo del suo tempo, di credere vero il falso: “L’infelice ha imparato a rendere ciechi i suoi occhi e a calpestare la natura e la sapienza. È da questo genere di uomini che balzano fuori i facili creduloni e sostenitori di non dotte dottrine secondo cui le voci della natura sono dei miracoli e l’arco di un cerchio, per quanto grande sia, non potrà mai uguagliare una linea nel piano. L’assurdità che la mente aveva prima concepito si rafforza e il senso che completamente viene ascoltato, in modo da negare le cose manifeste di cui potrebbe essere convinto e ricorrere invece a quei mezzi grazie ai quali l’ignoranza riesce a smorzare tutta l’intensità della luce della natura, soffoca tutto il fulgore alimentato dalla costante luce del raggio del Sole. Così hanno avuto origine mille prodigi strabilianti per cui gli stolti restano stupefatti e con voce animalesca celebrano la natura occulta delle cose, mentre denigrano quella manifesta [...]. Potrai concludere che tutte le cose determinate sono un minimo ed un niente, se collocate nello spazio infinito, riducibili alla specie di atomi e punti. Da ciò deriva che solo l’uno è semplicemente grande e chiaramente le altre cose, solo relativamente, sono grandi o minime” (“OPERE LATINE di Giordano Bruno, Il triplice minimo e la misura. La monade, il numero e la figura. L’immenso e gli innumerevoli”, Ed. UTET, Torino, 1980).

 

Giordano Bruno parlava di relatività secondo logica conforme alla realtà, cioè non contraria al buon senso, come è quella degli stupidi: “Io rimango del tutto senza parole innanzi alla loro stupidità così poco opportuna, come davanti a quella di chi afferma che due linee che procedono all’infinito non si possono mai incontrare, sebbene si avvicinino tra loro sempre più” (ibid.).

 

Per il sostenitore della relatività, probabilmente, questa non è che un’opinione che non permetterebbe i precisi calcoli dei viaggi spaziali! Infatti il mondo del relativista einsteiniano è costituito da mere misurazioni fisico-matematiche e dotato della sua dinamica relativistica. Egli crede di entrarvi, e in effetti entra in quel mondo da lui costruito, preventivamente formulato e rappresentato, traendone serie di esperienze e notazioni, che non appartengono però a un oggettivo contatto col cosmo, ma al contatto con l’astratta rifrazione matematico-fisica di esso. Egli crede perciò che l’essere umano possa andare sulla Luna. Ignora che le astronavi navigano in realtà solo entro miraggi. Ignora la vacuità di senso dell’impresa cosiddetta “spaziale”, ed identifica la conoscibilità matematica della Luna con la sua raggiungibilità. Il cosmo gli appare sensibile in rapporto al suo terrestre, o locale, percepire sensorio: identificando la conoscenza col regno della misurabilità e la dilatazione della conoscenza con la dilatazione dei limiti fisici, ha l’illusione di superare tali limiti spazialmente. Gli sfugge però che questi limiti non riguardano l’oggettività spazio-temporale, ma il pensare, ancora incapace di superarli in se stesso. Lo scienziato odierno ignora in se stesso il limite spazio-temporale che lo separa dall’elemento vivente di un filo d’erba, o di un chicco di grano, anzi: ignora ciò che lo separa da tutto il vivente terrestre, e vuole andare sulla Luna. Vuole conoscere la Luna, quando non ha ancora conosciuto la Terra.

 

Ma tutto ciò è solo un affare accademico, un business ormai smascherato.

 

La natura della scienza è insulare. In generale, i chimici leggono e scrivono di chimica, i biologi leggono e scrivono di biologia, e i fisici leggono e scrivono di fisica. Salvo rare eccezioni, sono però tutti in competizione per lo stesso dio quattrino. Quindi, volendo più soldi per se stessi, competono come in una commedia, convincendo le agenzie di finanziamento che per loro sono diventate oggi più importanti di qualsiasi altro ramo della scienza.

 

Così, con i soldi delle tasse del popolo sempre più tartassato, estendono la loro ignoranza fino a orbite astrali distanti miliardi di “anni luce”. Arrivati alla Luna, illusi di esservi arrivati come esseri umani, ti dicono poi: “Sulla Luna c’è l’impronta dell’uomo, non puoi negarlo!”. Sì. L’impronta c’è. Non lo nego. Ma è l’impronta del loro scafandro, non del loro piede... E il loro scafandro segna la cablatura cerebrale che permise quell’illusione a spese dei poveri, i quali - giustamente - faticano a comprendere il senso dell’odierna scienza… o di tali imprese.

 

Questa concezione del sapere, vecchia di tremila anni, organizzata precisamente sugli stessi principi usati in Egitto dai sacerdoti di Iside per sottomette e reclutare “lavoratori”, fondendosi col pessimismo tipico dell’inizio del XX secolo, portò, in cosmologia, al risultato più ovvio: un universo chiuso, finito nello spazio e nel tempo, nato nel passato e destinato alla morte termica. La cosmologia del Big Bang è un risultato di tale visione deduzionistica ed élitaria della conoscenza, né essa va estraniata dal contesto storico e culturale in cui si sviluppò: un’epoca del tutto preda della fede nel mondo materiale, talmente tramortita intimamente nella vita del pensare che rispetto ai profondi tesori dell’interiorità umana non ebbe più nessuna veracità.

 

Facendo nascere il mondo dalla nebulosa primordiale di Kant-Laplace che si addensa, e nell’addensarsi produce gli esseri viventi e in ultimo l’uomo, il sub-umanesimo imperante può solo dire che un tale insieme di reciproche attività - compreso tutto ciò che gli umani elaborarono nel campo della moralità - è destinato a scomparire in una morte nel calore.

 

Ma questo non è vero. È vero solo per coloro che sono talmente alienati nel trasudato psichico del passato, che vivono ancora in un’epoca che in realtà è oramai finita.

 

Nell’attuale immagine del mondo che la scienza delle università di Stato continua a offrire ci sono infatti solo punti d’appoggio per un’ulteriore guerra mondiale da giustificare.

 

Occorre pertanto passare dall’università all’universalità del pensare… o dal dottorato di Stato all’essere dottori di se stessi, medici di se stessi, cioè dallo stato di sonno allo stato di veglia dell’io.