Roberto Monti

 

Elementi di filosofia naturale

 

Parte Seconda: Principi per una fisica moderna.

 

 

 

Fondamenti teorici e sperimentali della relatività generale (1986)
 

Fonte: R. Monti, "Scritti di critica alla Teoria della

Relatività (1984-1987)" Ed. Andromeda, Roma 2018

 

A cura di Nereo Villa

INTRODUZIONE - PRINCIPI PER UNA FISICA MODERNA - I POSTULATI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE - LE VERIFICHE SPERIMENTALI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE - VARIAZIONE DELLA FORZA CON LA VELOCITÀ - Bibliografia

Presentazione del curatore

 

Nel 1979, le verifiche sperimentali della teoria della relatività in merito all'avanzo secolare (moti precessionali dei perieli) planetari non erano ancora state fatte; nel 1986 mancavano ancora le misure indispensabili per confermare la corrispondenza tra previsione teorica e dati sperimentali, né la loro revisione critica tramite la nuova strumentazione tecnologica, fu mai presa in considerazione. Oggi, 18° anno del 3° millennio, nessuno o quasi nessuno sa che, per funzionare correttamente, l'orologio atomico dei GPS (Global Positioning System), di cui perfino gli smarphones sono dotati), va resettato ogni giorno. E si tiene ben nascosto questo fatto, perché esso è la dimostrazione evidente che i calcoli einsteiniani in base ai quali sono costruiti questi apparecchi che - ripeto - devono essere resettati giornalmente per funzionare, erano e sono sbagliati. Ciò fu confermato niente meno che dal "padre" dell'orologio atomico Louis Essen (1905-1997), che nel 1955 progettò e costruì il primo orologio atomico al cesio funzionante, mettendo però in chiaro che la misura c (velocità della luce) era sbagliata. Ma cosa avvenne? A causa di questa affermazione avvenne che, nonostante Essen avesse lavorato per anni e anni al Laboratorio Nazionale di Fisica (Teddington) ed al problema della misurazione del tempo e della frequenza, e nonostante fosse stato insignito nel 1959 della Medaglia d'oro "Popov" dell'Accademia Sovietica delle Scienze e dell'Ordine dell'Impero Britannico, la sua brillante carriera fu stroncata: si decretò il suo isolamento a vita dal mondo accademico! Ecco perché poi Essen scrisse che l'uso che Einstein fece dei «gedanken experimente (esperimenti mentali), assieme alla sua ignoranza delle tecniche sperimentali, produsse un risultato che ingannò lui stesso e generazioni di scienziati» (Louis Essen, "Relatività: scherzo o truffa?", Ed. Andromeda). E ancora: «Non credo che Rutherford avrebbe ritenuto questa teoria uno scherzo, se avesse immaginato di quanto essa avrebbe ritardato lo sviluppo razionale della scienza» (ibid.). Dunque, tutto ciò testimonia ancora che la relatività einsteiniana fu ed è imposta dalla cultura dell'obbligo come "cultura di Stato": una cultura dogmatica che assomiglia più a una teologia che ad una scienza. Oggi infatti il più zelota credente nell'einsteinismo dà per scontato che i GPS siano addirittura la prova provata dell'esattezza della teoria di Einstein. Ma questa è una grossa menzogna. Di fatto, se una macchina qualsiasi funziona in modo giusto non dovrebbe aver bisogno di essere giornalmente aggiustata... Una volta uno di questi zeloti creduloni arrivò a dirmi che proprio perché tutto è relativo l'orologio atomico va resettato ogni giorno! Ovviamente se si arriva a pensare in questo modo si potrebbe anche dire che proprio perché tutto è relativo devo aggiustare ogni giorno il mio orologio da polso, il quale accelera o ritarda ogni giorno di un'ora o due, ecc... In ogni caso, in una conferenza Rudolf Steiner affermò che per confutare la relatività bastava il perielio di Mercurio, calcolato da Einstein con gli stessi criteri di calcolo terrestri anche se Mercurio è celeste e non terrestre (per approfondire, vedi anche: "La terra non è il cielo"). Buona lettura.

 

Nereo Villa, astell'Arquato, 5 luglio 2018

INTRODUZIONE ۩
 

In un articolo dedicato ai "Trionfi e limiti della teoria di Einstein" C. Moller osserva come in confronto con i sovrabbondanti dati sperimentali che confermano la teoria della Relatività Ristretta, le fondamenta sperimentali della Teoria Generale sono tuttora ad un livello che non colpisce in maniera particolare [1].
 

Ma nonostante lo scarso appoggio sperimentale, la maggior parte dei fisici fu convinta della validità della Teoria della Relatività Generale persino molto tempo prima che venissero effettuate le recenti verifiche precise che restano pur sempre, tuttavia, ben lungi dal poter essere ritenute soddisfacenti [1].


Questa convinzione sembra dunque riposare essenzialmente sul fatto che le leggi relativistiche generali si presentano come generalizzazioni naturali delle leggi, sperimentalmente ben fondate, della Relatività Ristretta [1].

Il Prof. Moller dimentica tuttavia di rilevare, come dovrebbe, che tutte le leggi sperimentalmente ben fondate impropriamente attribuite ad Einstein erano già note prima del 1905, mentre i due postulati della Relatività Ristretta, sulla base dei quali Einstein fu in grado di giungere ad una deduzione di queste leggi, erano ben lungi dall'essere sperimentalmente ben fondati; e la Relatività Generale è la generalizzazione non già delle leggi ma dei postulati della Relatività Ristretta. Ora, in un recente lavoro [2] ho mostrato come tutte le leggi sperimentalmente ben fondate attribuite alla Relatività Ristretta possono essere coerentemente dedotte sulla base del seguente postulato:

 

Le onde elettromagnetiche

si propagano, nello spazio di fondo, con velocità

c0 =

indipendente dalla velocità del corpo emittente.

 

 

Quanto ai due postulati della Relatività Ristretta, il primo (Principio di Relatività ristretto), che afferma la perpetuità e incorruttibilità delle oscillazioni elettromagnetiche, risulta sperimentalmente infondato; mentre il secondo, che implica il paradosso una velocità finita è infinita, può ritenersi, tutt'al più, non contraddetto dal confronto dei dati sperimentali così come essi sono... dal 1905, poiché dal 1905 fino ai nostri giorni non ne è stata effettuata alcuna verifica sperimentale.

In primo luogo, dunque, la relatività ristretta non può ritenersi in alcun modo come prova indiretta della validità della teoria generale e, ovviamente l'infondatezza del Principio di relatività ristretto vanifica la ragion d'essere di qualsiasi Principio relatività generale e di una conseguente Teoria della relatività generale.

 

L'analisi dei suoi postulati non è tuttavia una sterile esercitazione nella misura in cui fornisce lo spunto per alcune considerazioni di carattere storico e sperimentale. In secondo luogo è facile mostrare come, introducendo il concetto di carica gravitazionale, l'identità tra massa inerziale e massa gravitazionale si riduce ad una banale tautologia, mentre il cosiddetto Principio di equivalenza è, e rimane, il frutto metafisico di uno dei numerosi gedanken experimente (esperimenti ideali) einsteiniani.

In terzo luogo, le supposte evidenze sperimentali i della teoria generale si dividono in due categorie: quelle che sono facilmente interpretabili anche sulla base della teoria classica e quelle che sono ben lungi dal potersi ritenere sperimentalmente fondate.

Ma prima di cominciare l'analisi dei postulati della relatività generale voglio enunciare i principi che costituiscono il filo conduttore della mia indagine, dando subito avvertenza al lettore del fatto che mi riservo sempre la più ampia facoltà di rivedere, limitare, cancellare qualsiasi principio... ancorché ne paresse assai fondato ogniqualvolta i fatti e l'esperienza mi convincano della necessità di una iniziativa di questo genere e mi forniscano, unitamente, l'opportunità di migliorare l'insieme di questi principi.

 


PRINCIPI PER UNA FISICA MODERNA
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Una parte troppo grande delle attuali teorie unitarie è pura manipolazione matematica, imprecisa quanto i presupposti iniziali sui quali riposa, che permette ai vari autori di perdere di vista la complessità e le interdipendenze del mondo reale in un dedalo di simboli pretenziosi e inutili.

Determinante, a questo riguardo, è certamente stata l'influenza del programma einsteiniano finalizzato alla costruzione di una teoria unitaria anche quando divenne chiaro, dopo il 1935, che esistevano in natura interazioni fondamentali diverse da quelle gravitazionali elettriche e magnetiche.

L'ormai evidente sterilità di questi tentativi di unificazione forzata condotti all'insegna di un tradizionale e ben noto principio metafisico perfetto impone, a mio giudizio, la scelta di nuove ipotesi di lavoro, che possono essere, in prima approssimazione, le seguenti:

A) Spazio tempo e causalità sono le categorie razionali primarie di ogni interpretazione qualitativa del mondo fisico; di ogni ulteriore articolazione dell'esperienza dalla quale sono indotte.

Quanto a noi, possiamo definirci, ai fini di costituire una "filosofia naturale": massa inerziale... dotata di categorie razionali.

Ciascuna delle varie, possibili, specificazioni operazionali di queste categorie, una volta definita, costituisce il fondamento di ogni nostra interpretazione quantitativa della realtà.

In altri termini: il metodo della scienza, proprio in quanto esistono varie, possibili, interpretazioni quantitative del mondo fisico (varie, possibili, forme di sistematizzazione della conoscenza), non esiste; ma i suoi confini razionali (spazio, tempo, causalità), sì.
 

Denominerò conseguentemente l'insieme di queste affermazioni: Principio di razionalità.

B) L'interazione gravitazionale non determina la struttura causale dell'Universo. Deve esistere, in altri termini, contrariamente all'ipotesi einsteiniana [3], lo spazio vuoto di campo gravitazionale (spazio di fondo) entro il quale l'interazione gravitazionale si manifesta con una specifica e finita velocità di interazione.

C) Ciascuna delle interazioni fondamentali oggi conosciute, conseguentemente, deve essere caratterizzata, nell'ambito di un necessario «spazio di fondo» entro il quale viene a collocarsi:
1) da una specifica velocità di interazione inversamente proporzionale alla forza dell' interazione;
2) da una specifica carica dell'interazione la cui massa inerziale è direttamente proporzionale alla forza dell'interazione.

D) Le equazioni che governano la dinamica dei corpi (di qualsiasi genere) in movimento entro lo spazio di fondo devono tener conto di specifici fattori (relazioni) di interazione con lo spazio di fondo, e di specifici fattori (relazioni) di connessione tra le diverse interazioni.

 
A questi principi aggiungo le seguenti definizioni preliminari:

Def. 1 - L'affermazione: gli effetti sono proporzionali alle forze costituisce la prima specificazione qualitativa del principio di causalità.
Def. 2 - Viene associato il nome di forza ad ogni causa; il termine variazione di stato ad ogni effetto F Δφ/Δt

Def. 3 - Le forze agenti si distinguono in interne (F) ed esterne (Fe). Il criterio su cui è basata tale suddivisione è la validità del principio di azione e reazione (terza legge di Newton). Se tale principio è soddisfatto all'interno del sistema fisico considerato, si parla di forze interne; se non lo è, di forze esterne [4].
Def. 4 - In relazione alla dinamica dei corpi materiali, la specificazione quantitativa del principio di causalità ha la struttura (prima e seconda legge di Newton): dP/dt = Fe (s,t,V); ove: P - mV = quantità di moto; m = massa inerziale in movimento; t = tempo; s = spazio; V = ds/dt = velocità del corpo in movimento; Fe (s,t,v) = forza esterna applicata, funzione di s, t e V.
Def. 5 - Conformemente al postulato C, ad ogni corpo in quiete corrisponde, in prima approssimazione, una massa inerziale:

m0 = m0(S) + m0(Q) + m0(W) + m0(Γ)... (2)
ove: m0(S) = massa inerziale della carica forte S; m0(Q) = massa inerziale della carica elettromagnetica Q; m0(W) = massa inerziale della carica debole W; m0(Γ) = massa inerziale della carica gravitazionale Γ.
Def. 6 - Conformemente al postulato D, non esistono sistemi assolutamente isolati. Conseguentemente la quantità di moto P non si conserva a tempo indeterminato.

Def. 7 - Nella espressione matematica delle forze compaiono necessariamente costanti specifiche, determinabili solo sperimentalmente.
È quanto basta, per cominciare.


I POSTULATI DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE
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La via attraverso la quale Einstein giunge ad una generalizzazione della teoria della relatività si apre con l'affermazione: Le leggi della fisica debbono essere di natura tale che esse si possano applicare a sistemi di riferimento comunque in moto. Cosicché non rimane altro da fare che riguardare tutti gli immaginabili sistemi di coordinate, per principio, come egualmente idonei per la descrizione della natura. Ciò porta ad esigere che: «Le leggi generali della natura debbono potersi esprimere mediante equazioni che valgano per tutti i sistemi di coordinate, cioè che siano covarianti rispetto a qualunque sostituzione» (covarianti in modo generale) [5].

E prosegue con l'affermazione, ancor più strabiliante, secondo cui: «Questo bisogno di covarianza in modo generale, che porta via dallo spazio e dal tempo l'ultimo avanzo di obiettività fisica, è una necessità naturale» [5].
 

A sostegno di questo vero e proprio riflusso nella metafisica Einstein pone un dato sperimentale: l'identità tra massa inerziale e massa gravitazionale: e il risultato di un esperimento ideale (gedanken experimente): l'equivalenza tra due sistemi di riferimento K e K' dei quali il primo è inerziale e il secondo si muove rispetto al primo di moto relativo traslatorio uniformemente accelerato (esperimento dell'ascensore). Questi sistemi, dal punto di vista fisico... possono entrambi con ugual diritto essere considerati «a riposo», vale a dire che essi hanno uguale diritto di venir scelti quali sistemi di riferimento per la descrizione dei fenomeni fisici [5]. Conclude, infine, con l'affermazione secondo cui: In base alla teoria della relatività generale, la gravitazione occupa una posizione eccezionale nei confronti delle rimanenti forze, e soprattutto delle forze elettromagnetiche, in quanto le 10 funzioni che rappresentano il campo gravitazionale determinano contemporaneamente le proprietà metriche dello spazio quadridimensionale [5].

 

Ma questa geometrizzazione della fisica einsteiniana conduce inevitabilmente ad un vicolo cieco. A pochi giorni dalla sua morte, dopo cinquant'anni di relatività, Einstein dovrà constatare, infatti, che: «siamo ben lontani dal possedere una base concettuale della fisica alla quale poterci in qualche modo affidare» [6].

A questo proposito due concetti essenziali della fisica sono per l'appunto: carica e materia.
 

In altri termini:

Per ciascuna delle interazioni scoperte e sperimentate dopo quella gravitazionale è stata introdotta, come causa una carica specifica della quale la materia costituisce il supporto spazio-temporale. Ma ci si è dimenticati di estendere questa considerazione elementare anche al campo gravitazionale. Di notare, cioè, che: a qualsiasi carica - compresa quella gravitazionale - è necessariamente associata una massa inerziale (una certa quantità di materia).

Questa dimenticanza può tuttavia essere colmata introducendo il concetto di carica gravitazionale nel modo seguente:

Def. 8 - La carica gravitazionale unitaria Γ è la carica gravitazionale associata ad una massa inerziale di 1 Kg.

Questa definizione e i postulati A, B, C, D, comportano le seguenti variazioni alla legge di gravitazione universale newtoniana:
 

Def. 9 - Due cariche gravitazionali Γ1 e Γ2 si attraggono reciprocamente secondo la legge (Newton, Coulomb, Laplace) [2]:

 

           (3)

 

ove: g0 = 1,1925 ∙ 109 Γ²/Nm² = permeabilità gravitazionale dello spazio di fondo

αg = coefficiente di smorzamento gravitazionale dello spazio di fondo.

 
Adotterò inoltre, provvisoriamente e fino a prova contraria, il principio di conservazione del quanto di carica gravitazionale (gravitone γ). In altri termini supporrò che per un gravitone di massa inerziale mγ0 , in moto a bassa velocità V (V<105 km/s) nello spazio di fondo, valgano le relazioni: γ0 = γ, mγ0 = mγ .

 

A questo punto consideriamo le accelerazioni di k ed nk quanti di carica gravitazionale in un medesimo campo macroscopico (quello terrestre in senso lato). Valgono conseguentemente le relazioni:

 

m1 = kmγ0; m2 = nkmγ0 = nm1; Γ1 = ky; Γ2 = nkγ = 1

 

 

 

Fig. l m1, m2, = masse inerziali dei corpi 1 e 2;

Γ1, Γ2 = cariche gravitazionali;
T = Terra; ΓT = carica gravitazionale della Terra;

r = distanza dei corpi 1 e 2 dalla superficie equipotenziale considerata.

 

 

Ovvero: cariche microscopiche in un campo macroscopico sono soggette alla medesima aaccelerazione (a meno, appunto, di non esser tali - cioè non microscopiche - e perturbare, di conseguenza, il campo macroscopico).

Con ciò la cosiddetta equivalenza tra massa inerziale e massa gravitazionale si riduce ad una banale tautologia.

 
In altri termini, esiste un solo «tipo» di massa: la massa inerziale (che «ama trasmutarsi», come direbbe Newton, nelle varie, possibili, forme di energia radiante [7]). Infine, che osservatori accelerati non siano fisicamente equivalenti è ovvio e il motivo per cui il più grande tra i fisici teorici ha preso in seria considerazione una ricerca di equivalenza matematica [8] è probabilmente da ascriversi alla necessità, dopo 11 anni, di produrre qualcosa di paragonabile al lavoro del 1905. Fock, a quanto pare, ha già illustrato chiaramente come sia priva di significato dal punto di vista della fisica ogni nozione di equivalenza tra osservatori inerziali ed osservatori accelerati, e come debba essere considerato altrettanto privo di significato ogni principio generale di relatività [8].
 

Lo stesso Einstein, d'altra parte, finisce per sottolineare come: non appare a priori evidente alcuna ragione per cui le leggi della natura non possano essere costituite in maniera da assumere una forma particolarmente semplice per certi sistemi di coordinate. In tal caso l'esigenza della covarianza generale delle leggi sarebbe interamente  sterile. L'esigenza appare solo giustificata in base alla eguaglianza delle masse  inerti e pesanti [6], il cui significato abbiamo appena visto.

Voglio solo osservare brevemente, allo scopo di stigmatizzare ancora una volta l'incredibile e deprecabile assunzione degli esperimenti ideali nel bagaglio della fisica di questo secolo, come le velocità  dell'ascensore in caduta libera con accelerazione g e di quello accelerato uniformemente con accelerazione g di Einstein, dopo un anno (il tempo minimo per un qualsiasi esperimento reale di equivalenza fisica) hanno, per l'appunto, acquistato valori inauditi [9] e, in particolare, superato la velocità della luce (o, in caso contrario, hanno certamente mostrato qualche effetto di non equivalenza).

 

LE VERIFICHE SPERIMENTALI ۩

DELLA TEORIA DELLA RELATIVITÀ GENERALE

Le supposte verifiche sperimentali della teoria della relatività generale si dividono in due categorie: a) quelle che possono essere facilmente interpretate anche sulla base della teoria classica; b) quelle che non possono ritenersi sperimentalmente provate.

a) Alla prima categoria appartengono gli esperimenti relativi al comportamento degli orologi elettromagnetici (atomici) nel campo gravitazionale, e quelli relativi alla curvatura e conseguente ritardo dei raggi luminosi [5]
 

Tutti questi esperimenti possono essere facilmente interpretati sulla base del fatto che il fotone, in quanto particella dotata di massa inerziale: m0 = h0 ν/c0², è soggetto all'azione del campo gravitazionale (ha una carica gravitazionale) e di conseguenza segue le normali leggi della meccanica celeste e terrestre.

La sua traiettoria, per esempio, è incurvata come quella di qualsiasi corpo materiale, quando passa nelle vicinanze di qualche campo gravitazionale, la sua energia aumenta quando cade in un campo gravitazionale e diminuisce quando deve vincerne l'attrazione [10], [11].
 

b) Alla seconda categoria appartengono i movimenti dei perieli e le conseguenti ipotesi sulla velocità dell'interazione gravitazionale e delle onde gravitazionali. Svanita rapidamente la speranza che le Pulsar binarie potessero costituire un laboratorio per verificare le previsioni della relatività generale per ciò che riguarda l'avanzamento del periastro [11], la sola questione rimasta aperta è sostanzialmente quella relativa ad uno di questi movimenti; quello di sempre: l'avanzo secolare nella precessione del movimento del perielio di Mercurio.

 
A questo punto è opportuna una breve digressione:

Prima dell'affermarsi della teoria della relatività, l'ordine di grandezza della velocità dell'interazione gravitazionale (Vg) è stato oggetto di una analisi teorica da parte di Laplace, il quale ne ricavò la relazione: Vg > c0 ∙ 108 = 3∙1016 m/s [12]. Altri autori hanno ottenuto valori compresi tra:  c0∙106 e c0∙1015 (3∙1014 - 3∙1023 m/s) [13].

 

Tra il 1916 e il 1918 Einstein affronta, a sua volta, il problema costituito dalla definizione del modo di propagazione e della velocità dell'interazione gravitazionale [14].

Le tre possibili combinazioni a disposizione erano: onde l) longitudinali-longitudinali; 2) longitudinali-trasversali; 3) trasversali-trasversali [15].

Le onde di tipo 1 e 2 furono scartate poiché risultava che esse non potevano trasportare energia e potevano, invece, avere velocità arbitraria [16].

D'altra parte, secondo Einstein, nessun segnale può superare la velocità della luce. La soluzione di Einstein non poteva essere, dunque, altro che la seguente: onde gravitazionali trasversali con velocità c0 .

Questa, a quanto mi risulta, è la sola reale motivazione delle conclusioni einsteiniane, aggravate dall'illusione, tipicamente metafisica, di poter determinare a priori il valore sperimentale del coefficiente che, nell'equazione delle onde (longitudinali o trasversali che siano), avendo dimensioni [L/T]-2, rappresenta l'inverso del quadrato nella velocità [17].

Inoltre devo osservare che è stata stabilita un'identità arbitraria tra i modi e le velocità di propagazione dei campi stazionari (statici) e di quelli rapidamente variabili (dinamici).

In particolare, il modello dinamico elettromagnetico è stato generalizzato conformemente ad un uso secondo me erroneo del principio di similitudine sia per i campi dinamici che per tutti quelli statici.

D'altra parte nessuno ha mai osservato le onde trasversali, e le relative velocità di propagazione, dei campi elettrostatici, magnetostatici, gravitazionali, nucleostatici, ecc.

 

Infine, non è stato sufficientemente sottolineato il fatto che il solo campo dinamico del quale abbiamo ampia esperienza e che è stato adottato come modello generale, non è, a differenza dei campi statici, monocromatico, ma bicromatico (elettromagnetico) ed è per di più un campo fortemente dispersivo.

Come modello non sembra dunque molto appropriato per spiegare la sostanziale stabilità energetica dei campi statici (conservazione della carica) [17].

Per ciò che riguarda poi i campi gravitodinamici, l'esperienza si sta oggi incaricando di mostrare quanto l'asserzione einsteiniana relativa all'esistenza di onde gravitazionali trasversali trasversali con velocità c0 sia sperimentalmente fondata [18].
 

Per ciò che riguarda invece i campi gravitostatici, la sola  prova sperimentale indiretta dell'ipotesi einsteiniana:

Vg = c0 consiste nella perfetta coincidenza tra il valore teorico relativistico e quello sperimentale dell'inspiegato avanzo secolare ( 43" su 530") che è stato osservato nella precessione del perielio dell'orbita di Mercurio.


Come è noto infatti la relatività generale ha fornito, per l'avanzo corrispondente a una rivoluzione, la relazione:

 

            (4)

Ove: Mʘ è la massa del sole;

G0 la costante di gravitazione universale;

g la velocità dell'interazione gravitazionale;

e C la costante delle aree [19].

 

 

Per V²g - c0, l'equazione (4) fornisce un avanzo secolare di 43", in accordo con i dati sperimentali dell'epoca [20], e sulla base di questa perfetta corrispondenza, ulteriormente riscontrata nel 1921, è stata ritenuta provata la completa identità delle leggi di propagazione della luce e della gravità [21].
 

Nel 1930 e nel 1934 sono state avanzate, contro le fondamenta sperimentali di questa ipotesi, le seguenti obiezioni: da un lato l'avanzo secolare è stato ricalcolato in 53" [22], dall'altro è stato sottolineato il fatto che l'equazione (4) è stata ottenuta partendo dall'ipotesi, alquanto improbabile, di una perfetta simmetria del campo gravitazionale solare; mentre uno schiacciamento (oblateness) del nucleo interno del sole, possibile proprio là dove esistono strati in equilibrio relativo, formati da materia densa, con densità rapidamente crescente verso il centro e contenenti la quasi totalità della massa solare, specie se questo nucleo interno è in rapida rotazione, basterebbe da solo a spiegare l'avanzo inspiegato nella precessione del perielio di Mercurio e anche quello dei pianeti interni [23].


Una rassegna di I. I. Shapiro [11] mostra come entrambe le obiezioni sopra citate dovessero ritenersi valide a tutto il 1979, e lo sono ancora oggi.


Per ciò che riguarda l'entità dell'avanzo secolare, le misure indispensabili per confermare la corrispondenza tra la previsione teorica e i dati sperimentali, alla data del 1979, necessitavano di un lungo periodo di osservazione [11], mentre una revisione critica dei dati di Newcomb non era ancora stata presa in considerazione, e non mi risulta che lo sia a tutt'oggi.

 
Per ciò che riguarda la struttura del sole, data l'irrilevanza sia delle misure di Dicke e Goldenberg, sia delle misure di Hill e Stebbins [11], le questioni relative alla rapidità della rotazione e alla stratigrafia del suo nucleo interno sono tuttora aperte. E con ciò è aperta essenzialmente la questione dello schiacciamento di questo nucleo interno [24].


Infine, la teoria e i calcoli di Laplace conservano interamente la loro coerenza teorica e sperimentale [25].


Il risultato di Laplace è stato semplicemente accantonato a priori sulla base dell'impossibilità relativistica dell'esistenza di velocità superluminali.


Perciò la questione dell'ordine di grandezza della velocità dell'interazione gravitazionale deve tuttora ritenersi aperta.


VARIAZIONE DELLA FORZA CON LA VELOCITÀ
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Nell'articolo Fondamenti teorici e sperimentali della relatività ristretta in ho presa per buona la variazione della massa con la velocità einsteiniana; ma unicamente per evitarmi ulteriori dosi di strida dei beoti.

In realtà, come risulta dal postulato C e dalla Definizione 5, la conservazione della carica comporta, evidentemente, anche la conservazione della massa inerziale associata alla carica stessa.

Ora sulla base della Definizione 4 e delle semplici relazioni: dEi = dmi (ove: Ei energia irradiata; Vi velocità della radiazione, Vedi Seagreen N.1 p. 75-76), è possibile ottenere relazioni del tipo:

 

m0 = dV/dt = F0 φ(V)            (5)

ove: per V = 0 → φ(V) = 1;        per V = Viφ(V) = 0
 

 

Nell'interazione carica elettrica - campo elettrico, ad esempio, è: φ(V) = (1 - β²)3/2; mentre nell'interazione carica elettrica - campo magnetico è: φ(V) = (1 - β²)1/2.

Del resto appare improbabile che per V = c0 la massa inerziale di un elettrone acceleralo in un campo elettromagnetico diventi infinita, o anche solamente che per effetto di tale accelerazione l'elettrone assuma una massa inerziale pari a quella atta a sostenere una carica forte e possa potenzialmente, di conseguenza, assumere carica forte e interagire fortemente.

Perciò sono sempre stato propenso a ritenere che non la massa, ma la forza sia una funzione della velocità (da ciò la Definizione 4); e avevo del resto anticipato tra le righe questa conclusione affermando che: le forze elettriche e magnetiche non possono imprimere alle particelle con le quali interagiscono velocità superiori alla loro specifica velocità di interazione (Seagreen n. 1 p. 70). Basta ora aggiungere che: Un corpo che viaggia a velocità superluminale non è soggetto all'azione dei campi elettromagnetici esterni.

Ovviamente è a questo punto indispensabile ricercare una verifica sperimentale di questa affermazione; vedere, in altri termini, se nel giocar d'invenzione ho indovinato...
 

Consideriamo dunque il postulato C.
 

Conformemente ad esso si ha: Vg/c0 φ (FE/Fg).

 

Nell'ipotesi: Vg/c0 = (FE/Fg), assumendo: φ = si ha Vg c0 ∙ 1014, che è quanto basta per raggiungere in tempi ragionevoli almeno i contini dell'Universo visibile (= 260 ∙ 109 a.l.).

Che questo valore coincida press'a poco con quello calcolato da Burton [13] (Vg = c0 ∙ 1015) è, per me, una piacevole concomitanza, ma, al momento, niente di più. Allo stesso modo si ha:

VF/c0 φ (FE/FF) VF/c0 = (FE/FF) nell'ipotesi: φ = VF (0,1 - 0, 2)c0 .

Ciò significa, ad esempio, che per velocità superiori a VF un nucleone non dovrebbe sentire i campi nucleonici (l'interazione forte).


Al momento io ho solo il ricordo del fatto che per far interagire i suoi neutroni Fermi ha prima dovuto rallentarli.
 

Mi basta, tuttavia, per proseguire.

 

 

Bibliografia ۩

 

[1] L. Essen, "La teoria della relatività ristretta. Una analisi critica", Clarendon Press, Oxford 1971.

[2] A. Sommerfeld, "Lezioni di fisica teorica", Vol. II, Elettrodinamica, Sansoni 1961, pag. 51.

[3] J. C. Maxwell, "Teoria elettromagnetica della luce", in "Trattato di elettricità e magnetismo", Vol. II, Ristampa integrale dell'edizione del 1891, Dover 1954, pag. 431.

[4] A. Einstein, "Sull'elettrodinamica dei corpi in moto", Annali di fisica 17, 1905, pag. 891. (Trad. it. in: "Cinquant'anni di relatività", Ed. Giuntine Sansoni 1955, pag. 479).

[5] I. Newton, Lettera a Bentley, in J. C. Maxwell, "Campo ed etere", Boringhieri 1967 (Relatività), pag. 256.

[6] Vedi appendice 2.

[7] A. Einstein, "Considerazioni fondamentali sul postulato della relatività" in "I fondamenti della teoria della relatività generale", Annali di fisica 4, 49, 1916 (traduzione italiana in: "Cinquant'anni di relatività", pag. 510).

[8] A. Einstein, Citato in R. Resnick, "Introduzione alla relatività ristretta", Ed. Ambrosiana, Milano 1969, pag. 2.

[9] J. Rafelsky, L. P. Fulcher, W. Greiner, Phys. Rev. Letters, vol. 27, n. 14, 4 Ottobre 1971, pag. 958.

[10] H. Backe et al., Phys. Rev. Letters, vol. 40, n. 22, 29 maggio 1978, pag. 1443; C. Kozhuharov et al., Phys. Rev. Letters, vol. 42, n. 6, 5 febbraio 1979, pag. 376.

[11] P. S. De Laplace, "Opere", Tomo IV, Libro X, Capitolo VII, pag. 364, Parigi, Stamperia Reale 1845.

[12] R. Becker, "Teoria dell'elettricità", Sansoni, Firenze 1949, vol. I, Capitolo IV, p. 129.

[13] G. Burbidge, "X Simposio Texano sull'astrofisica relativistica". Annali dell'Accademia delle Scienze di N. Y., vol. 375, 1981, p. 152.   

[14] G. S. Hawkins, "Nature", 12 maggio 1962, pag. 563; Il nuovo Cimento, vol. XXIII n. 6, 16 marzo 1962, pag. 1201.
[15] G. De Vaucouleurs, in "Galassie esterne e oggetti quasi stellari". Simposio I.A.U. 44, D. S. Evans Editore 353-66, D. Reidel Publishing Co. Dordrecht 1972, pag. 355.
[16] J. Maddox, "Nature", vol. 307 n. 5949, 26 febbraio 1984, pag. 313.

[17] Olbers, "Opere", Berlino 1894, pag. 135.

[18] J. Chazy, "La teoria della relatività e la meccanica celeste", Tomo II, pag. 204, Gauthier Villars, Parigi 1930.

[19] Laplace, "Opere" Tomo V, Libro XIII, capitolo IV, Parigi Stamperia Reale 1845, pag. 481; Seeliger, Astronomischen Nachrichten Band 137, 1895, pag. 129. Sitzungsberichte Monaco Band 36, 1896, pago 373.

[20] J. F. Mulligan, Am. J. of Phys., vol. 44, n. 10, ottobre 1976, pag. 960.

[21] H. Abraham, "Le misure della velocità V". Congresso Internazionale di Fisica, Parigi 1900. Rendiconti. vol. II, pag. 247.

[22] E. B. Rosa, N. E. Dorsey, "Bulletin of Bureau of Standards", 1907, 3, pag. 433-605.

[23] N. E. Dorsey, "La misura di c". Rendiconti del Congresso Internazionale di Elettricità, Parigi 1932, Seconda Sezione, Relazione n. 10, pag. 189.

[24] A. A. Michelson, E. W. Morely, Am. J. Sci. 334, 333 (1887); R. J. Kennedy, E. M. Thorndike, Phys. Rev. 42, 400 (1932).

[25] D. J. Fixen et al., Phys. Rev. Letters, vol. 50, n. 8, 24 febbraio 1983, pag. 620.
[26] E. Esclangon, Comptes Rendus 182, 12 aprile 1926, pag. 921.

[27] D. Bramanti, "Nuovo Cimento", vol. 45b, n. l, maggio 1978, pag. 90.
[28] P. Caldirola, "Applicazioni e verifiche sperimentali della teoria della relatività ristretta" in "Cinquant'anni di relatività", pag. 399. 

[29] G. N. Lewis, Phil. Mag. 56, vol. 16, n. 95, novembre 1908, pag. 705.  

[30] N. Henbest, "New Scientist", 25 giugno 1981, pag. 848. M. H. Cohen, S. C. nwin, I.A.U. Symposium N°110 VLBI and compact radio sources, Bologna June 27-July 1, 1983, D. Reidel Publishing Company, pag. 95.
[31] H. I. Mandelberg, L. Witten, J.O.S.A., vol. 52, n. 5, maggio 1962, pag. 529.

[32] H. E. Ives, G. R. Stilwell, J.O.S.A., vol. 38, luglio 1938, n. 7, pag. 215.