NEREO
VILLA
Il cielo di tutti
Capisaldi di economia
celeste e di liturgia cosmica per il terzo millennio
Questo breve saggio tratta del cielo astrale e planetario in rapporto a ciò che dovrebbe essere una chiesa che tenga conto del cielo, accentua le problematiche arabo-palestinesi soprattutto in merito alla differenza fra la concezione multirazziale universale di Gesù di Nazaret ed ogni altra concezione religiosa del mondo confessionale. Ho cercato (nella 3ª parte) di offrire al lettore dei punti saldi incontrovertibili di matematica spirituale del linguaggio, da cui partire per ricavare anche da lì un punto di vista adatto ad un futuro sostanziato di pace reale su tutto il pianeta.
Indice:
1ª parte:
Aspetti del malinteso "Cristo"
nel cattolicesimo - La distruzione astratta del micro e del
macrocosmo - L'eresia dei rapporti fra terra, cieli e
divinità - Il mandato ecclesiale per l'ordine
celeste e terrestre - L'immagine dell'ordine celeste - Burocrazia divina - L'umanità del futuro - Oscurantismo scientifico del cielo - Il salto evolutivo fra vecchio e nuovo
2ª parte:
Il salto generazionale fra vecchio e
nuovo - Il corpus domini è la terra - Osanna come parola d'ordine cosmico - Liturgia cosmica - Elementi biblici di rivoluzione solare - L'iracheno Abram da Roma alla Cina - Cana in Galilea ed il vero israelita - La bestemmia di Gesù - Nuova eucarestia
3ª parte:
La Terra di Israele - Esempio di logica immaginativa - Assimilazione occidentale dell'idea di
predominio
4ª parte:
ARIETE - TORO - GEMELLI - CANCRO - LEONE - VERGINE - BILANCIA - SCORPIONE - SAGITTARIO - CAPRICORNO - ACQUARIO - PESCI
5ª parte:
Appendice
politico-astrologica in merito a plutocrazia e a Plutone
Aspetti del malinteso "Cristo" nel cattolicesimo
L'attuale sensibile crescita di antisemitismo ed antiamericanismo mondiale - e, come è noto, i due massimi centri del mondo ebraico sono gli USA ed Israele - è un aspetto sintomatico della scarsa integrazione della vita ecclesiale nella "persona" del Cristo. Si tratta di una mancanza o scarsità poggiante su un colossale malinteso della chiesa cattolico romana.
Non così invece era la comunità dei cristiani ai tempi di Paolo di Tarso, quando si accoglieva volentieri nell'interiorità il popolo ebraico seguace della Toràh, come assimilazione all'Io cristiano del destino giudaico(1).
Questo fatto lo si potrà rigirare o manipolare come si vuole, però non si potrà mai negare che con il "Cristo in me" di Paolo c'è anche una coscienza ebraica in me.
La questione ebraica è da questo punto di vista la "pietra d'inciampo" del cattolicesimo, la cui tragedia consiste nel fatto di avere inteso (cioè malinteso) il Cristo come sostituzione ed abolizione della Toràh senza però avere spiegato il Cristo come involucro di ogni Io umano (in greco le parole "crisalide" e "Cristo", "chrysallis" e "Christós", hanno la stessa radice e indicano perciò la correlazione tra Cristo e l'Io umano che deve trasformarsi da bruco strisciante in farfalla librantesi nell'universalità del pensare).
Di conseguenza, la chiesa romana ha di fatto nullificato attraverso tale sostituzione ed abolizione - per inconscia conseguenza - anche il Cristo stesso. Ma lo spirito non può essere ingannato e risorge, anche se la germinale consapevolezza degli esseri umani circa i processi di sottomissione del popolo derivanti da tale abolizione e sostituzione è molto lenta a sbocciare. Risulta infatti da ciò che il "Messia dal volto ebraico" non è - come sostengono erroneamente i teologi storici - alle spalle dei cristiani ma è, al contrario, davanti a loro, ed aspetta di essere conosciuto. Ciò che loro sfugge è proprio il destino ebraico di Gesù di Nazareth, sia nella sua vita che nella sua morte e risurrezione.
La comprensione del cammino d'Israele è "gesuano" (uso appositamente questo neologismo in quanto oggi il termine "cristiano" è secondo me inflazionato: vuol dire tutto e non vuol dire niente). Infatti la comprensione della vita, della morte e della risurrezione di Gesù, è concentrata nella storia d'Israele, e la respinta d'Israele da parte della chiesa non è altro che paura del destino, cioè del suo destino ebraico figurato in Gesù, che dovrebbe pertanto anche essere logicamente una materia di fattispecie cristiana.
In altre parole, se è vero che, secondo l'esperienza del cristianesimo il Cristo è personificazione e incarnazione della Toràh, allora è anche vero che proprio l'autocomprensione ebraica della Toràh dovrebbe avere un significato per la comprensione cristiana del Cristo: incontrando la Toràh in Gesù Nazareno, il cristiano e la chiesa cristiana dovrebbero necessariamente incontrare anche il popolo ebraico. E se è vero che il Messia ha il volto ebraico, proprio per l'"analogia entis" della stessa teologia cattolica, il rapporto Cristo-Toràh non può che coincidere col rapporto Cristo-Israele.
Chi incontra Israele con la sua Toràh, non può non incontrare dunque anche il Cristo.
Il malinteso del Cristo fa però edificare la sua chiesa su un fondamento giuridico: "Su questa pietra io costruirò la mia Chiesa..." dice Gesù, e questa frase è usata nei secoli per giustificare un "Vicariato di Cristo", un'"istituzione del Cristo".
Anche questo è segno del grave malinteso della chiesa romana, vale a dire di una paurosa "svista" consistente nel voler vedere il divino in un'idea anziché in un rapporto fra idee.
Se infatti si rapportano anche i soli versetti precedenti a quello usato giuridicamente, si scorge un passaggio importante: "...Voi chi dite che io sia?. Rispose Simon Pietro: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente. E Gesù: Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa..."(2).
Nella consapevolezza della maggior parte dei cittadini cristiani però questo passaggio è completamente trascurato: Gesù vuole edificare la chiesa non su un concetto ma su un fatto, e precisamente sul fatto che un uomo riconosca in un altro uomo il "Cristo".
E proprio perché l'uomo Pietro riconosce nell'uomo Gesù il Cristo, Gesù pone tale riconoscimento a pietra di fondamento della chiesa o dell'organismo sociale del futuro.
Si tratta del riconoscimento dell'Io cristico nell'uomo. Questo, e non altro, avrebbe dovuto costituire l'edificazione della chiesa reale, chiesa pertanto non certo intesa come mera cupola o istituzione concettual-dogmatica del Cristo ma come vivente organismo di testimonianze ogni volta rinnovabili dell'unica verità possibile tanto nel cielo quanto sulla terra.
Invece "Pietro" fu trasformato giuridicamente in una "definizione apostolica" e il "Cristo", che è involucro dell'Io in ogni essere umano, in un'"istituzione", poggiante non sulla vita ma sulla morte che perfino lo stesso concetto di de"finizione" evoca in sé.
Il "titolo" di messia comprende infatti in se stesso non un regno "di questo mondo"(3) bensì qualcosa che si instaura dentro l'uomo(4) grazie al "Figlio dell'Uomo", Io umano che non nasce da carne e sangue, bensì dall'elemento spirituale dell'umanità la cui natura è tale che muove in se stessa la possibilità di tale scoperta. Il bambino, a un certo punto della sua infanzia dice "Io" a se stesso ed è questa la vera e propria nascita verginale del "Figlio dell'uomo" da parte della natura umana: senso vero della nascita del Cristo in quanto involucro (sinderesi) dell'"Io sono" negli esseri umani.
La distruzione astratta del micro e del macrocosmo
La mancata conoscenza di questo passaggio dell'autocoscienza - da parte delle confessioni religiose preposte a promuovere in senso paolino la capacità dell'Io (forza cristica) di superare i condizionamenti dell'ego attraverso l'esperienza "Non io ma il Cristo in me"(5) comporta il fallimento della chiesa già nel suo nascere come istituzione burocratica del "primato" di Pietro, fallimento testimoniato fra l'altro dalla nascita della psicanalisi e del relativismo del pensiero.
Così come da un lato Freud, Adler, e altri psicanalisti ebrei, pretesero di deralizzare il microcosmo interiore mostrandolo come inconscio, vale a dire come qualcosa che per definizione non può essere conosciuto, e dimostrandone la torbida onnipotenza, fatta sede di selvaggi istinti atavici, della libido primigenia e dei famosi "complessi" su ogni facoltà o inclinazione dell'io di veglia, dall'altro il relativismo dell'ebreo Einstein mirava alla distruzione del macrocosmo, dando a credere che le stelle non esistono, "anche se ne vediamo la luce che arriva a noi quando esse "in realtà" non esistono più". Dando a credere al profano che la scienza stessa confermava l'impossibilità di qualsiasi saldo punto di riferimento, tale teoria astratta dava anche l'ultimo colpo ad un tipo concreto di conoscenza fisica, sostituendovi un sistema puramente "formale" di enti matematici ed algebrici. Da un altro lato ancora, il tentativo di istituzionalizzare l'Io secondo giuridismo "canonico", accanto al non riconoscimento del Cristo da parte ebraica, due facce di una stessa medaglia documentante che il Messia non è stato ancora riconosciuto da Israele ma neppure da Roma, creava l'unica cosa che poteva creare: odio. Se infatti tale riconoscimento ci fosse stato, Roma non avrebbe accusato Israele di "deicidio", dichiarando se stessa "Verus Israel". La logica di chi accusa l'altro anziché riconoscere nell'altro il Cristo essendo estranea al cristianesimo(6).
Ciò che risulterà sempre più evidente alla coscienza degli esseri umani del terzo millennio non potrà pertanto essere rimosso: tanto Israele quanto Roma non riconobbero il Cristo, eppure ambedue giuridicamente pretesero essere il popolo eletto, ambedue ovviamente senza fare i conti col cielo.
Ciò che si paleserà sarà che - da un lato - tutta la storia di Israele risaliva ad Abramo, il primo essere umano - secondo la tradizione ebraica - a proclamare il monoteismo contro i caldei, studiosi degli astri, e - dall'altro - che Roma continuò - e continua tutt'ora - a manifestare tale avversione per ogni attuale studioso della logica celeste.
Così, mentre il Vaticano continua a dimenticare l'antica considerazione celeste - peraltro testimoniata dallo spirito del linguaggio: "vaticano" proviene etimologicamente da "vaticinio" e da "vate"; e "considerare" da "sidera", che in latino significa "stelle" - Israele continua a dimenticare che Abramo era - proprio secondo l'interpretazione dei Padri della tradizione ebraica, egli stesso un astrologo(7), che "portava sul cuore una tavola astrologica e tutti i re d'oriente e d'occidente usavano recarsi presso di lui per consultarla"(8) e che anche Sara lo era(9).
Ad ascoltare Roma ed Israele attuali, sembrerebbe proprio che l'uomo, per essere in "regola celeste" non debba ascoltare il "celato" che il "cielo" nasconde in sé, come residenza del divino. Di che cielo si tratti nel "Padre Nostro" recitato dagli uomini risulta così qualcosa di oscuro. Tale oscurantismo combatte infatti sia ciò che si cela esotericamente "in cielo come in terra", sia il cielo dell'astrofisica! Pare proprio che nessuna di queste vie, che in fondo sono la medesima via al cielo, sia bene accetta alle confessioni religiose.
L'eresia dei rapporti fra terra, cieli e divinità
Eppure, il fatto che le modificazioni del nostro pianeta siano in stretta relazione con il cielo delle costellazioni è un'importante realtà, comprovata dai testi sacri, e perfino dai calendari.
Cercherò di mostrare tutto ciò anche se quanto dirò costituisce, per gli oscurantisti, materia di eresia.
All'inizio della primavera il sole sorge in un certo segno dello zodiaco. Circa ottocento anni prima di Cristo sorgeva nel segno dell'Ariete, cioè dell'Agnello (per l'astrologia ebraica l''"Ariete" e l'"Agnello" sono la stessa realtà). Prima ancora nasceva nel segno del Toro.
Il sole impiega 2160 anni per passare da un segno all'altro ed il periodo necessario per attraversare tutte le dodici costellazioni, costituito da quasi ventisei mila anni (25.920 anni per la precisione, periodo temporale arrotondato dall'astronomia moderna a 26.000 anni) è detto anno cosmico.
I popoli antichi sentivano profondamente queste relazioni dello spostarsi del sole nello zodiaco e partecipavano interiormente al sorgere del Sole in primavera ed al rinnovarsi di tutta la natura, che durante l'inverno si era "riposata". Essi sentivano che i raggi del sole primaverile erano divini, in quanto svegliavano la natura dal suo profondo sonno. E sentivano che la forza della primavera univa quest'ultima alla costellazione in cui il sole sorgeva. Per loro era il segno zodiacale a inviare sulla terra il sole con la sua nuova forza divina creatrice. Loro, che, a differenza della maggior parte degli uomini attuali, erano ancora dotati di vita del pensare, e facevano collegamenti concreti di quanto percepivano. Tramite questi collegamenti rilegavano la terra ed il cielo. E questo rilegare era religione.
L'"agnello" appariva perciò agli uomini di circa due millenni fa come il benefattore dell'umanità, e tutti i miti relativi all'agnello risalgono infatti a quell'epoca. A questo simbolo si uniscono anche dei concetti divini come il "Salvatore" (il Cristo Gesù) rappresentato nei primi secoli con il simbolo della croce, sotto la quale vi è l'agnello, e solo nel sesto secolo il Salvatore è rappresentato crocifisso.
Nel periodo precedente a quello dell'Agnello - o Ariete per l'astrologia occidentale - vale a dire prima dell'800 a.C., il sole nasceva nella costellazione del Toro, e di conseguenza troviamo in Egitto la venerazione per il bue Api ed in Persia quella per il toro Mitra.
Ancora prima, il sole nasceva nella costellazione dei Gemelli, ed in effetti si rinvengono nella mitologia indiana e germanica molti accenni ai gemelli. I due caproni gemelli con cui viaggia il dio Donar ne sono un residuo.
Se poi si retrocede all'epoca del Cancro che ci porta vicino al diluvio atlantico, col quale finisce una civiltà e ne inizia un'altra, si coglie un segno ben definito: la doppia spirale, simbolo del Cancro.
I popoli insomma hanno sempre avuto precisa coscienza degli avvenimenti celesti, paralleli alle modificazioni sulla Terra.
Il mandato ecclesiale per l'ordine celeste e terrestre
Se si tiene conto di essi, il cosiddetto "mandato ecclesiale", basato sulle parole che il Cristo rivolge a Pietro nella circostanza dell'annuncio della sua passione, risulta tutt'altro che un monopolio giuridico di tipo magico: "Quello che tu legherai sulla Terra - vale a dire ciò che la tua natura più profonda legherà - coincide con ciò che sarà legato in cielo, e quello che la tua stessa natura scioglierà quaggiù, sarà sciolto anche in cielo"(10). Solo una comprensione integrale e universale di queste parole potrà realizzare in futuro una chiesa reale, cioè una comunità reale di cristiani. La cattolicità reale della chiesa non può prescindere da un pensare realmente universale, perché solo tale pensare può essere cristiano, e perché solo un pensare realmente cristiano è connesso con la verità celeste e con l'ordinamento armonico degli astri.
La parola "cattolico" significa "universale", e la cattolicità reale può infatti essere compresa solo tenendo presente un antichissimo insegnamento dei misteri che è sempre incontrovertibilmente valido: le cose che avvengono fra gli esseri umani, e gli esseri umani stessi, sia presi singolarmente, che come comunità umane, non sono che riproduzioni di quanto avviene nel cosmo, nel vasto universo. I popoli umani sono "come le stelle", nel senso che sono immagine dell'ordine celeste. Per scrivere una comparazione logica di questo tipo l'uomo antico metteva una "c" di fronte all'oggetto da comparare. Dovendo, per esempio, scrivere l'espressione "come le stelle", l'uomo primordiale scriveva, attraverso i suoi linguaggi solari, la lettera "c" subito seguita dalla parola che doveva essere comparata, ed in questo caso "come le stelle" veniva scritto "CSTELLE".
L'immagine dell'ordine celeste
Tale insegnamento è redatto nella Genesi, là dove è detto che Abramo riceve la promessa: i tuoi discendenti saranno ordinati come le stelle nel cielo: "la tua progenie sarà l'immagine dell'ordine delle stelle nel cielo". Questa è la giusta interpretazione del passo biblico che di solito viene tradotto "I tuoi discendenti saranno numerosi come le stelle del cielo"(11).
La lettera ebraica "kaf", , come particella di comparazione prefissa, significa "come", nel senso di "secondo", per esempio: "uomo secondo il suo cuore"(12).
"Stella" si dice in ebraico "cocàv", . "Cocavì", , è l'espressione del suo plurale, formato aggiungendo una "i", cioè una "iod", .
L'espressione plurale "cocavì" preceduta dalla lettera "kaf", , sopra menzionata come "CSTELLE", compare nella Bibbia esattamente sette volte(13).
Occorrerebbe allora chiedersi anche perché tale espressione si trova nella Bibbia proprio solo 7 volte. Sette è il numero dei pianeti principali del nostro sistema solare ma queste relazioni numeriche non sono considerate valide, e forse il motivo di ciò è che esse sono talmente precise che spaventano i ricercatori confessionali, abituati a ricercare la verità rispondente alla loro confessione.
Negli antichi misteri infatti i segreti del cosmo venivano espressi parlando un linguaggio stellare, prendendo cioè i segreti del cosmo come mezzo di espressione per quanto si voleva dire, e vi furono tempi in cui i maestri della conoscenza rivestivano i loro insegnamenti di parole e di immagini tratte dalle posizioni degli astri: nel corso delle stelle e nei loro reciproci rapporti si scorgevano le immagini migliori adatte ad esprimere le esperienze spirituali dell'uomo. L'antica saggezza sapeva leggere in quella scrittura stellare i segreti della divinità che pervade e vivifica il mondo. L'ordinamento degli astri era espressione visibile della divinità, e lo sguardo di chi si rivolgeva al cielo, andando verso l'universo, riconosceva in esso la manifestazione del divino.
Per questo motivo, le modalità stesse di tutta la rivelazione divina sono svelate nell'ordinamento e nelle armonie degli astri: il dio dell'universo si manifestava (e si manifesta) nell'ordinamento celeste, e proprio perché il dio dell'universo doveva esplicarsi in modo particolare nella missione del popolo ebraico, era necessario che ciò avvenisse secondo quello stesso ordinamento che regola nel cosmo il corso degli astri.
Tale ordinamento, esprimendosi di generazione in generazione, fluiva nel sangue stesso di quel popolo che rappresentava lo strumento della rivelazione di Dio, e nella discendenza di Abramo, proprio secondo le scritture, si rispecchia la scrittura stellare del cielo.
Ecco perché Abramo riceve la promessa: i tuoi discendenti saranno ordinati "come le stelle" nel cielo.
L'espressione "come le stelle" non è dunque redatta sette volte per accennare solo al numero dei discendenti. Anche quest'ultimo accenno è vero, ma è una mezza verità che deve diventare verità completa.
Con l'espressione "come le stelle" si voleva soprattutto dire che nella discendenza regnava un ordinamento analogo a quello che, nel linguaggio degli dei, veniva percepito nell'ordinamento degli astri: dirigendo lo sguardo verso l'alto, dove si manifesta l'ordinamento dello zodiaco, si scorgevano precisi rapporti nelle posizioni dei pianeti rispetto allo zodiaco, atti ad esprimere le azioni degli dei nell'universo, e ciò veniva sentito nella consanguineità dei discendenti di Abramo come un legame simile a quello che si rivela nel rapporto dei pianeti con i segni zodiacali.
Perciò nei dodici figli di Giacobbe, nelle dodici tribù del popolo ebraico ritroviamo le immagini dei dodici segni dello zodiaco: come in cielo, nei dodici segni zodiacali si esprime il linguaggio degli dei, così in terra, Yhwh si esprime nel sangue che scorre di generazione in generazione nel popolo ebraico, suddiviso nelle dodici tribù, discendenti dai dodici figli di Giacobbe.
Tutto questo fu annunciato ad Abramo, tanto è vero che nelle lotte e vittorie di questa o di quella tribù è possibile leggere in tutta la storia ebraica i rapporti fra i pianeti e le diverse costellazioni zodiacali(14).
Questo dunque è il significato profondo delle parole: i tuoi discendenti saranno ordinati come l'armonia delle stelle nel cielo.
Nei tempi antichi tutto il valore della convivenza umana era fondato sulla consanguineità.
Oggi non è più così. Oggi l'essere umano deve potersi sviluppare fino a fondare rapporti spirituali, morali, tali che vadano oltre "la carne e il sangue" e precisamente in direzione di quel riconoscimento del divino nell'altro da sé, che i predicatori di mezze verità non considerano, o meglio, considerano solo come premessa giuridica di appartenenza ad una fede.
Da tale premessa possono nascere solo espressioni come "dottrina cattolica sul Primato", "ufficio dal Signore concesso singolarmente a Pietro, il primo degli Apostoli, e da trasmettersi ai suoi successori" "L'Episcopato e il Primato, reciprocamente connessi e inseparabili, sono d'istituzione divina. Storicamente sono sorte, per istituzione della Chiesa, forme di organizzazione ecclesiastica nelle quali si esercita pure un principio di primazia", "funzione magisteriale del Primato", "competenze del Primato"(15), ecc., non il riconoscimento del Cristo nel fratello.
Ciò che appare ancora più aberrante è che per essere riconosciuto cattolico devi riconoscere a priori questa burocrazia divina e che, se non la riconosci, "non sei" cattolico. La cattolicità non è valutata sulla base dell'universalità del pensare ma sulla negazione di esso in nome della fede nei gerarchi della burocrazia.
Così concepito, il cosiddetto "primato ecclesiale" non potrà essere nuovo fondamento dell'umanità futura, della comunità del futuro e dell'intero organismo sociale planetario del futuro. Infatti l'antico fondamento della consanguineità deve superare "la carne e il sangue", perché carne, sangue, stirpi, razze, non portano altro che divisione di popoli, esattamente come il diritto canonico o il diritto romano. (Il fondamento storico del concetto stesso di diritto, così come ci è tramandato, è anch'esso anticristiano: poggia su fratricidio, Romolo che uccide Remo, e rapina, Ratto delle Sabine).
Il nuovo fondamento dovrà dare felicità, beatitudine: "Beato te " cittadino nuovo "perché né la carne né il sangue" ti hanno rivelato l'Io sono che è in me Questo e non altro sarà la vera pace fra i popoli: la fine del confessionalismo.
Tutte le comunità fondate dagli uomini dovranno pertanto assumere in futuro un valore sempre più grande rispetto a quello attuale: il karma, cioè il destino del singolo, dovrà sempre di più congiungersi col karma delle comunità.
Come non contrasta l'idea del karma il fatto di donare qualcosa a un povero, così non è in contraddizione con l'idea del karma la possibilità che una comunità si assuma parte del karma di un singolo uomo.
Ogni comunità può aiutare il singolo a portare la sua sorte. Il karma può infatti congiungersi in modo che la comunità contribuisca a portare il karma del singolo.
In altre parole si dovranno verificare in futuro rapporti morali di questo genere: poniamo che un singolo individuo che partecipi a una comunità commetta un torto verso qualcuno; questo fatto viene certamente registrato nel suo karma individuale e deve venire pareggiato nelle connessioni cosmiche generali. Può darsi però che si trovi un altro uomo, disposto ad aiutare il primo a portare il suo karma. Il karma deve certo pareggiarsi, ma un altro può aiutarci a pareggiarlo. In tal modo intere comunità possono aiutare chi ha commesso un torto. Il singolo può aver congiunto così strettamente il proprio karma con la comunità, che questa lo consideri un proprio membro al punto da togliergli consapevolmente una parte del peso che egli ha da portare. Tutta la comunità è unita nel sentimento e nella volontà di migliorare il singolo. Ed è come se dicesse: tu uomo singolo hai fatto del male, ma noi prendiamo le tue parti, e ci assumiamo ciò che può portare un miglioramento al tuo karma(16).
Se la comunità si chiama "chiesa"(17), allora la chiesa si assumerà l'impegno di prendere su di sé le colpe e i problemi spirituali ed esistenziali del singolo che da esse derivano, in modo da contribuire concretamente a portare il suo karma.
Non si tratta della cosiddetta "remissione dei peccati" secondo la burocrazia magico-dogmatica in cui la si considera abitualmente, ma di un legame reale ed impegno consapevole di prendere su di sé i peccati, da parte della comunità.
Solo se il "legare" e lo "sciogliere" si intenderanno così, ogni remissione di peccati dovrà suscitare l'idea di un impegno reale assunto dalla comunità. E solo da qui nascerà una fede nella chiesa. La fede nella chiesa come premessa giuridica è invece la premessa all'odio ed alla divisione dei popoli.
Occorre dunque ritornare concretamente al cielo.
Il destino dei singoli è talmente intessuto col karma dell'intera comunità che nasce sempre una specie di rete. Ma la comprensione di questa rete dovrà stabilire armonie celesti fra gli uomini in senso veramente universale, cosmico, e soprattutto astrologico, intendendo con questo termine la valenza di essere "conforme alla logica celeste", esattamente come è espresso nel Padre Nostro: come in cielo così in terra.
Grazie a quanto il Cristo ha portato giù dalle altezze spirituali, quella rete dovrà riprodurre l'immagine dell'ordinamento del "cielo" in modo però consapevole: il karma del singolo non sarà intessuto con quello collettivo in modo arbitrario, ma in modo che l'organismo sociale della comunità riproduca, appunto, l'ordinamento del "cielo".
Per chi comincia a comprendere così la scena del cosiddetto "primato" di Pietro, essa viene ad assumere allora un profondo significato di speranza per tutti, proprio per l'atto di fondazione dell'umanità futura.
L'umanità del futuro sarà infatti fondata sulla natura dell'Io e della terra, intesa come suo corpo. Spirito della terra è infatti il Cristo, cioè l'involucro dell'Io di ogni essere umano che viene al mondo.
Nel libro "Il sacro simbolo dell'arcobaleno" ho chiamato "Prete Gianni" tale natura ed ho spiegato il contenuto di quel colloquio fra Cristo e Pietro riguardante tale "pietra" di fondazione. In tale pubblicazione del 1998 sono dati dei contenuti conoscitivi incontrovertibili di pace, proprio perché prelevati dal cielo che circonda la terra e dai cicli temporali che permettono in essa la vita, in modo da rendere percepibile a tutti come l'umanità dovrà progredire senza farsi del male.
Nella misura in cui si riconoscerà che il Cristo è lo spirito della terra, la terra sperimenterà la pace reale, perché si riconoscerà che la terra comprende - esattamente come nell'antica concezione degli esseri umani pensanti - tutto il sistema solare, dunque tutti i beni che essa offre.
Nella misura in cui il nutrirsi del corpo di Cristo sarà fattispecie rituale, confessionale o di appartenenza legale ad una chiesa o fazione, la gente continuerà a morire di fame o fra spargimenti di sangue fratello in nome della pace.
Il cielo di tutti comprende tutti i beni del creato, dalle risorse minerarie dei fondi oceanici a quelle della luna, dall'Antartide e dai bacini idrici alle orbite satellitari per le telecomunicazioni.
Tutto ciò è oggi valorizzato dalle tecnologie avanzate ed è di pertinenza comune.
Il riconoscimento che i beni attualmente fuori da ogni proprietà e sovranità valorizzati dalle tecnologie avanzate sono di pertinenza comune, condurrà sempre di più l'autocoscienza ad accorgersi che coloro che sfruttano tali beni e li commercializzano sono in debito verso l'umanità, e porterà anche a riconoscere questo come vero debito pubblico reale.
La perequazione del debito verrà allora a sostituire lo spargimento di sangue fratello in nome della pace, e si comprenderà che il contenuto confidenziale del colloquio fra il Cristo e Pietro riguarda e riguarderà sempre tutti i suoi discepoli, anche se lontani nel tempo: il Cristo trasferì sulle comunità che i discepoli dovevano fondare delle forze speciali, non burocratiche, né giuridiche, ma stellari, celesti. Si tratta di forze potenti che egli aveva portato sulla terra dal cielo e dal macrocosmo e che ora risiedono in ogni essere umano ancora minimamente capace di pensiero cosciente.
Nei vangeli, l'ascesa al macrocosmo, cioè l'ascesa alle sfere da cui fluiscono negli esseri umani forza solare e cosmica - da trasmettere a tutti - concentrata nel Cristo è largamente spiegata e dovrà essere ricompresa. Egli infatti guida sempre i suoi discepoli fuori, nel cosmo, in quanto egli è per eccellenza l'impulso verso quel tipo di Pasqua perché non esiste altra Pasqua.
Come l'astrologo, l'iniziato, o il discepolo, penetrano coscientemente nel macrocosmo, imparando a conoscerlo pezzo per pezzo, così il Cristo discende dal macrocosmo, indicando ovunque le forze che vi operano e che ne fluiscono, da trasmette agli esseri umani che lo accolgono.
Questo modo di fare di chi, venendo dall'alto, non ritiene per sé la conoscenza dei cieli, né la mera divinità di "Al", di "El", di "Eloim", di "Allah", ecc., (qui i nomi non contano, contano i contenuti) o di qualsiasi valore che sta in "Alto", era per esempio conosciuta dai primi cristiani come "kénosis", che significa in greco "svuotamento". Ora questi grossi paroloni dovranno fare i conti - anche numerici, matematici e algebrici - con la realtà: occorre svuotarsi del dio che sta dalla parte del nostro possedere, per essere noi dalla parte di Dio, nel fratello.
L'umanità del futuro deve ritrovare la capacità di meravigliarsi nel "passare all'altra sponda" senza paura di spettri o di fantasmi.
Questo, e non altro, descriveva il redattore del vangelo di Matteo per esempio nella scena in cui i discepoli stanno navigando(18). Essi scoprono - e l'umanità del futuro scoprirà sempre più - che quello che hanno scambiato per un fantasma è il Cristo, l'Io per eccellenza: in realtà si tratta dell'Io che fa fluire in loro la forza stellare macrocosica. Quella descrizione fa toccare con mano che il Cristo conduce i discepoli alle forze del cielo. Infatti la conoscenza del processo dell'addormentarsi umano non è altro che questo "passare all'altra sponda": quando un uomo si addormenta, nel letto giacciono il corpo fisico e la sua vitalità, mentre il suo animarsi ed il suo io sono effusi nel cosmo e vengono compenetrati dalle forze dell'universo. Per questo motivo ci si ristora dormendo. E poiché il Cristo si avvicinava loro mentre dormivano, attirava verso di loro coscientemente tali forze, illuminandoli. Ed è proprio questo che avviene nella scena del "fantasma" che cammina sulle acque. "Coraggio... sono Io..."
Le scene seguenti del vangelo di Matteo non rappresentano altro che il Cristo mentre guida passo per passo i discepoli sulla via che va verso il salutare superamento della tradizione antica. Fra gli dei del cambiamento, egli è il più potente: involucro cosmico dell'Io sono, che permette le esperienze della vita del cielo, accompagnando ogni essere umano e guidandolo verso le tappe che il cittadino del futuro deve percorrere esercitandosi verso il grande "salto" verso l'altra sponda...
Tenendo in considerazione la parentela che c'è fra il sonno e la morte, il passaggio verso la nuova umanità è anch'esso un salto che la natura umana sta facendo: tutto il sangue ed i brandelli di carne che oggi la TV ci mostra, narrano di questo salto nella misura in cui esso viene ad essere impedito o "scientificamente" oscurato.
Oscurantismo scientifico del cielo
Un esempio di oscurantismo scientifico lo abbiamo per esempio proprio nel detto che "la natura non fa salti", creduto dalla maggioranza delle persone, pur essendo falso.
Un fiore può portare frutti e dal frutto si formano i semi. Il seme si può mettere nella terra. Nella terra marcisce. Poi appare una nuova pianta, che a sua volta porta di nuovo semi. Così il processo si ripete indefinitamente. Il pensiero materialistico riterrà senz'altro che qualcosa del seme marcio, magari anche solo una minima particella materiale, passi nella nuova pianta. Ma non è così. In realtà dal punto di vista delle sue parti materiali tutta la vecchia pianta va distrutta. Per quanto concerne la materia, avviene un vero e proprio salto, e la nuova pianta è materialmente qualcosa di completamente nuovo. Si tratta veramente di una nuova formazione.
Se si impara a comprendere questa particolare "legge dei salti" che si verificano nelle condizioni materiali - e da questo punto di vista il detto che la natura non fa salti è un'idiozia alla Piero Angela - e la si applica a tutto il macrocosmo, s'imparano a conoscere importantissimi nessi del mondo.
Tale conoscenza veniva espressa nei misteri in modo particolare, dicendo che l'iniziando - a un certo gradino della sua ascesa verso il macrocosmo - doveva fare la conoscenza delle forze che producono quei salti(19).
Ora, per apprendere qualcosa nel cosmo non si può che procedere in questa o in quella direzione indicata dal nome delle costellazioni zodiacali, e tali nomi hanno il valore numerico di lettere dell'alfabeto. Per questa ragione parlai in "Numerologia biblica" di lettere planetarie e zodiacali.
E poiché il salto esistente fra antenato e discendente è un'esperienza possibile nei campi più diversi - dal regno vegetale a quello animale, a quello umano, fino all'esistenza planetaria - la nozione del salto può essere appresa come "legge di armonia stellare" procedendo da una determinata direzione del cosmo all'altra, da una lettera zodiacale all'altra. La legge in questione è valida tanto nel dominio delle cose piccolissime, quanto in quello delle cose più grandi.
Il salto evolutivo fra vecchio e nuovo
Ora, vi sono due modi di rappresentare questi salti che avvengono nell'evoluzione; il primo è un segno antico e riguarda una scrittura di tipo immaginativo; l'altro è un segno più recente, che si può rintracciare in normali calendari.
Nel procedere dell'evoluzione, ciò che è antico si involve, quasi a spirale, mentre l'evoluzione nuova si svolge dall'antica come una seconda spirale, procedendo dall'interno all'esterno. Senonché questa nuova evoluzione non si allaccia direttamente all'antica: fra la fine dell'antica e l'inizio della nuova vi è un piccolo distacco, un salto, e solo dopo questo salto il progredire continua.
Ne risulta la seguente figura in cui due spirali s'intrecciano, con un piccolo distacco al centro.
[Vedi anche "Il segno del Cancro, la tribù di Levi e il senso del Tatto"]
E' il segno del Cancro, espressione simbolica dell'ascesa al macrocosmo e rappresentazione della formazione di ogni nuovo germoglio in ogni tipo di evoluzione.
E ciò era ed è in connessione con la realtà delle ripetute vite terrene dell'essere umano.
NOTE
(1) Lettera ai Galati cap. 2, versetto 20.
(5) Lettera ai Galati cap. 2, versetto 20.
(6) Apocalisse 12,10.
(7) Cfr. Midrash Hagadol, Ed. Schechter, I, 189 e sgg.
(8) A. Cohen, "Il Talmud", Ed. Laterza, Bari, 1935, pag. 329; cfr. anche la Tosefta Kiddushin 5,17, e il Talmud Bavli Baba Batra 16b.
(9) Deuteronomio Rabbah 4,5, rif. A Genesi 21,10.
(12) 1° Samuele, capitolo 13, versetto 14.
(13) I sette punti sono: 1) Genesi 22,17; 2) Genesi 26,4; 3) Esodo 32,13; 4) Deuteronomio 1,10; 5) Deuteronomio 10,22; 6) Deuteronomio 28,62; 7) 1° Cronache 27, 23.
(14) Cfr. Rudolf Steiner, "La saggezza dei Rosacroce", Ed. Antroposofica.
(15) Cfr. http://digilander.libero.it/acquaviva1/Primato petrino.htm
(16) Cfr. R. Steiner, "Il vangelo di Matteo, op. cit.