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Epoca medioevale |
La Palizzata | L'insediamento basiliano | Il Casale 'Puczzillum' | I confini tra Bari e Bitonto |
Durante l'età di mezzo si hanno diversi riferimenti alla nostra
località in alcuni atti notarili conservati presso l'Archivio della Basilica di
San Nicola e quello della Cattedrale e pubblicati da Francesco Nitti nel Codice
Diplomatico Barese (CDB). Lo studioso V.A. Melchiorre ha fatto degli studi in
questo campo, trovando una prima citazione risalente al febbraio 1094. Tuttavia,
a seguito di ricerche da me effettuate, sono riuscito a scoprire un riferimento
più antico che reca la data ottobre 1048 e un altro del marzo 1096. Il primo è
l'accordo tra Urso f. Maionis (Urso di
Maione) ed Epifanio f.
Bisantii (Epifanio di Bisante), entrambi di Bari, circa la spettanza di un
mezzo vignale nella località Pallizzo,
donato da Iohannes Caso (CDB, Le pergamene del Duomo di Bari (952-1264), vol.
I pagg. 38-39 doc. n. 22). Altre due citazioni di Palese risalgono alla fine del
XI sec. e precisamente al febbraio 1094 e al marzo 1096. Si tratta di un atto
rogato dal protonotaro Nikiforus, con
cui il Catapano di Bari, città all'epoca alle dipendenze di Bisanzio, Guigelmus
a nome del duca Boamundus (Beomondo)
vendeva alla chiesa di S. Nicola e al suo rettore Helias
(Elia) alcune vigne site "in
loco qui Pallizzo dicitur", appartenute un tempo a Fusconis
f. Angeli (Fuscone di Angelo) e successivamente passate in dominio pubblico
al prezzo di dieci soldi "michalati
milati". (CDB,
Le pergamene di San Nicola di Bari. Periodo normanno (1075-1194), vol. V pagg.
37-38 doc. n. 19). L'atto del 1096 è relativo alla divisione di alcune vigne,
poste nella località Pallizzo (in
loco Pallizzo), fatta tra due fratelli: del primo il nome è illeggibile
sulla pergamena originale, mentre il secondo è chiamato Caloiohannes
f. Dumnelli Quartierati di Bari (CDB, Le pergamene del Duomo di Bari
(952-1264), vol. I pagg. 70-71 doc. n. 36).
Ulteriori citazioni risalgono al XIII secolo.
In particolare si ha una menzione in un testamento
del 1226 del sacerdote Leonardo del clero
della Cattedrale di Bari che possedeva delle
vigne: "de refudis vinearum quas habeo
in Pallizzo" (CDB Le pergamene del Duomo
di Bari (952-1264), vol. I pag. 172 doc.
n. 93). Altra citazione si riscontra in un
atto di donazione fatto il 25 agosto 1236
dinanzi al notaro Maio
del giudice Nauclerio da tale Cerentina,
figlia del defunto Guglielmo de Doferio
e moglie di Stefano Rudigallo
cittadino barese, a favore di Santoro di
Bartolomeo. Oggetto del rogito- registrato in San Nicola - è parte di un
tenimento incolto di due vigne e mezzo nei pressi di Bari, precisamente "in
loco Pallizii". (CDB, Le pergamene di S. Nicola di Bari. Periodo svevo
(1195-1266), vol. VI pagg. 102-103 doc. n. 66). Un documento datato 17 agosto
1242 reca l'ordine impartito in nome dell'imperatore Federico II
di Svevia, con mandato dal campo presso Avezzano il 3 luglio, dal Giustiziere di
Terra di Bari, Berardo de Castanea, al
Baiulo della città Riso f.
iudice Iohannis de Doctula di sequestrare la terza parte dei beni mobili di
alcuni cittadini di Bari e S. Nicandro, che si erano impadroniti di certe
proprietà della chiesa di S. Nicola e che citati dal priore di quella chiesa Salvus
e dal Capitolo non si erano presentati a rispondere. Il fenomeno
dell'occupazione abusiva di fondi appartenenti a Ordini religiosi o Enti
ecclesiastici era abbastanza diffuso all'epoca e, pertanto, si stabiliva di
mettere in possesso dei beni in questione Iaconis
Andreas, delegato dal Capitolo di San Nicola. Tra le proprietà della chiesa
di S. Nicola figurava una vigna "in
loco Palliczo" di cui si
era impossessato tale Giovanni Mele. (CDB,
Le pergamene di S. Nicola di Bari. Periodo svevo (1195-1266), vol. VI pagg.
110-112 doc. n. 74).
È evidente che in tali atti si fa riferimento a una località che
compare anche in altri atti dei secoli successivi ed anche nei catasti baresi
del 1598, 1619 e 1753 con diverse varianti abbastanza simili tra loro (Paliczo,
Palizio, Palisco, Paliso, Palieso) da lasciare pensare al medesimo sito nel
corso del tempo che altro non sarebbe che l'odierna Palese. Tale appare
l'origine più probabile e, al
contempo con un fondamento storico, di questo toponimo.
Di Palese, nel Medioevo e anche nei primi secoli dell'epoca moderna,
si parla sempre come di una località campestre ove è poco probabile che
qualcuno vi risiedesse stabilmente o, comunque, salvo qualche famiglia di
contadini, era scarsamente popolata. In tale zona era molto diffusa l'attività
pastorizia perché la maggior parte delle terre dovevano essere destinate al
pascolo (uno degli atti sopracitati, quello del 1236, menziona di una terra
incolta, inoltre di tale avviso è
anche lo storico barese Michele Garruba, il quale sostiene che le terre intorno
a Palese erano prevalentemente pascoli, avendosi uno sviluppo agricolo solo nel
XVII secolo con la concessione in enfiteusi delle terre della zona). Tale
località era caratterizzata dalla presenza di una palizzata per difesa o
custodia che nella media e bassa latinità si indicava con i vocaboli "pallitium"
o "palitium", “palicia”, “palicium”,
“palizio”. Questi termini, tra loro sinonimi, designavano proprio lo
steccato di pali (“contextus ac series
palorum”) - molto adoperato nelle contrade rurali - utilizzato a scopo di
protezione di proprietà terriere. È da ritenere che la palizzata poteva
difendere un casale probabilmente sito Sopra a Palese (nei pressi dell'attuale
piazza Capitaneo) di cui si ha notizia storica nel XVI sec. come appartenente
alla famiglia Pascale di Modugno. La palizzata doveva essere di dimensioni
abbastanza notevoli tanto da diventare il punto di riferimento per la
denominazione delle terre circostanti. Inoltre, se il toponimo Pallizzo
era già usato correntemente nel 1048 negli atti notarili, deve ritenersi che la
palizzata potrebbe risalire al X secolo (se non prima, anche se una datazione
certa appare alquanto difficoltosa). A tale epoca, infatti, risulta risalire la
consuetudine da parte del padrone di una villa di difendere la sua abitazione
circondando la stessa con una palizzata di legno. Per difendere la palizzata si
costruivano torri, sempre in legno, agli angoli; poi si scavava intorno un
fossato. A circondare la dimora era quindi una palizzata e non mura: il legno
era poco e costoso e se ne trovava in abbondanza. La dimora spesso era anche
dotata di una torre in pietra. Tale pratica continuò per tutto il X sec. e solo
verso l'anno Mille si sostituirono le palizzate in legno con solide e alte mura
di pietra. È da ritenere, comunque, che la palizzata e l'eventuale casale
esistente dovrebbero risalire almeno alla fine del X secolo, poiché deve essere
risultato necessario un certo lasso di tempo affinché la palizzata in questione
abbia finito per diventare il nome proprio di una località campestre.
L'insediamento
basiliano di Sant'Angelo in Camerata
I monaci italogreci o pseudobasiliani erano
i seguaci di San Basilio (330-379) fondatore
di un monachesimo cenobitico e ascetico,
dedito alla preghiera e al lavoro. Dalle
regioni dell'Asia Minore si diffuse in Puglia
a partire dal VIII secolo sino al XIII durante
la dominazione bizantina. L'afflusso di tali
monaci fu particolarmente forte al tempo
dell'imperatore Leone Isaurico, fautore dell'iconoclastia
(persecuzione contro le immagini). Essi si
stabilivano sovente in grotte ove crearono
una vera e propria civiltà rupestre fatta
di monasteri, chiese, laure e cripte presenti
in tutta la Puglia. Oltre che alla preghiera
erano dediti al lavoro agricolo: curavano
il prosciugamento di paludi e destinavano
terre incolte ad uliveto, vigneto e coltivazioni
di grano. Inoltre fondavano casali, centri
urbani di piccola entità, intorno alle loro
chiese.
I monaci italogreci trovarono nella zona
di Lama Balice che è molto ricca di grotte,
non molto lontano dal casale di Camerata,
un luogo ideale ove insediarsi e fondare
una laura (era un'organizzazione monastica
consistente in un gruppo di celle, formate
da grotte scavate nella roccia con pareti
decorate da affreschi, ognuna separata dalle
altre, ma con una chiesa e un sacerdote in
comune). Sino a pochi anni or sono si potevano
ancora vedere i resti dell'insediamento rupestre
ed in particolare la chiesa di Sant'Angelo
in Camerata con degli affreschi risalenti
al XIII secolo: si potevano intravedere ancora
i volti dei santi con le aureole, sebbene
in uno stato di abbandono e incuria più assoluti.
L'insediamento rupestre, oltre alla cripta
centrale affrescata come consuetudine dei
monaci, che era la grotta di maggiori dimensioni,
aveva altri ambienti minori usati come celle
dagli anacoreti dediti allo studio e all'agricoltura.
Purtroppo dell'antica laura basiliana non
resta più traccia, le pareti della grotta
sono crollate a causa di una cava di pietrisco
che opera nelle vicinanze.
La più antica citazione della chiesa rupestre
di Sant'Angelo in Camerata risale al 1093
(CDB Le pergamene del di S. Nicola periodo
normanno (1075-1194) documento n. 17) in
atto con il quale un certo Giorgio vendeva
al presbitero Pietro una "correggia"
di terra: "Avemus in loco Camerata unam
corigiam de terra cum olivis et una curticellam
parietate circumdatam" assieme ad altre
terre confinanti con la chiesa "de Angilo
de Camerata": "secunda fine et
ipsum plaium istius corigiae et tenet sursum
in ipsa serra vel ipsa lama ubi est ipsum
pariete anticum". Un'ulteriore citazione
si ha nel 1148 in un atto di vendita di vigne
di un tale "Pascalis, magister zocarius",
un cui figlio Leucio è chierico dell'episcopio
barese e al quale è donata una casa presso
la chiesa di S. Angelo "de Didata"
(interpretato da N. Lavermicocca come Camerata).
La chiesa rupestre di Sant'Angelo in Camerata
è citata ancora nel 1488 nel Libro Rosso
dell'Università di Bitonto.
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