Il Seicento
L'Amministrazione dell'Università di Bari tra il Seicento e il Settecento
La concessione delle terre in enfiteusi
Con la fine del ducato sforzesco cominciò un periodo alquanto nefasto per le nostre terre: il Vicereame
spagnolo, con un regime vessatorio a carico dei cittadini con dazi, gabelle, violenze, prevaricazioni, soprusi
da parte dei signorotti locali, cattiva amministrazione delle città, cui spesso si aggiungevano calamità
naturale: pestilenze, carestie, terremoti. Tutto ciò finì per recare un danno notevole per l'intera
Italia meridionale.
Palese e Macchie risultano comparire nel catasto dell'Università barese del 1598-1599 tra le località
dell'agro di Bari. Palese appare con diverse varianti tra loro somiglianti: Palieso, Palisco, Paliso che sembrano
rinviare al toponimo medioevale Pallizzo, Paliczo; mentre Macchie compare con la denominazione di La Macchia. Esse
sono ancora presenti in analoghi Catasti redatti nel 1619-1621, nel 1636 e successivamente nel 1753.
Nella prima metà del XVII secolo vide la nascita la masseria fortificata di Torre di Brencola, fatta edificare dall'omonima famiglia
lungo la Mulis Vectabilis Via che portava a Bitonto. Essa constava di due torri collocate sui due lati della strada:
la più vecchia era del 1617 (come attestato da una lapide posta sulla stessa) con annessa una cappella dedicata
a S. Giovanni Battista; l'altra invece fu costruita nel 1646.
Torre di Brencola
La famiglia Capitaneo acquistò la prima proprietà a Palese, o meglio nel luogo detto 'La Marina',
nel 1675. Francesco 'Catanius', nato prima del 1630 (tale è la data di nascita del fratello secondogenito
Ottavio) e figlio primogenito di Pietro e Giulia Barbaro, chierico a Modugno, ma con dimora in Bari, comprò
per la somma di 400 ducati d'argento una torre "quasi diruta", vicina ad un pozzo con alcune terre, situata
lungo la via pubblica che collegava Modugno con la Marina. La torre cinquecentesca apparteneva alla famiglia Cusano
di Bari. Successivamente fu conferita in dote a Lucrezia Cusano andata in moglie a Giovanni Casini. Tale immobile
costituisce il primo acquisto documentato della famiglia modugnese Capitaneo nella nostra località.
Nella seconda metà del XVII secolo il sito ove era ubicata la torre appartenuta alla famiglia Pascale era
denominato Torre San Pasquale (Lozito).
L'Amministrazione dell'Università di Bari tra il Seicento e il Settecento
Bari era diventata città del demanio reale o, come allora si diceva, città regia alla morte di Bona
Sforza; analogamente Bitonto nel 1551 e Modugno nel 1585. L'organizzazione giuridica della popolazione di Bari
(come quella delle altre due città sopracitate) era derivata da quella del municipium romano e si
era trasformata profondamente durante il Medioevo.
Le consuetudini per diversi secoli costituirono le regole alle quali si conformò la comunità barese;
esse, chiamate "Consuetudines barenses", furono ordinate in rubriche ad opera dei giureconsulti
Andrea e Sparano da Bari.
In base alle Consuetudines era considerato cittadino barese chiunque si recasse in città ad abitarvi e vi
stabilisse dimora ed averi.
Dal Quattrocento al Seicento il patrimonio di consuetudini della città di Bari andò progressivamente
arricchendosi di privilegi concessi dai sovrani del Regno di Napoli e gli atti che facevano fede della loro concessione
furono raccolti nel libro intitolato "Privilegi e Provvisioni per la città di Bari", più
comunemente conosciuto con il nome di "Libro Rosso" o "Messaletto" o "Libro Magno"
dei privilegi della città di Bari.
I privilegi più antichi risalgono al tempo di Roberto e Carlo II d'Angiò, di Ferdinando I d'Aragona,
di Carlo V d'Asburgo, ma decisamente significativi sono i 46 capitoli approvati da Bona Sforza, duchessa di Bari,
che dettero assetto all'amministrazione dell'Università e permisero alla città di formare statuti
e leggi municipali senza che nessun cittadino napoletano potesse assumere alcuna carica o ufficio nella città
di Bari, Castello compreso.
Poiché andavano orgogliosi di questi privilegi che ampliavano l'autonomia comunale e conferivano ad essi
prestigio, ad ogni successione di re i Baresi si affrettavano a chiederne la riconferma e i sindaci, ad ogni successione
di archivista cittadino, curavano le consegne dei relativi documenti.
La città era retta da un Regimento, composto dai Sindaci e dal Consiglio decurionale il quale, a sua volta,
era costituito dai rappresentanti delle Piazze della Nobiltà (costituita da nobili di stirpe detti anche
nobiltà generosa) e del Popolo grasso o primario (costituito dagli esercenti le libere professioni curiali
e mediche, dai mercanti e dai possidenti, detti anche <<civili>>). Spesso le due Piazze erano in continuo
contrasto tra di loro per avere il sopravvento nel governo dell'Università. La Piazza non corrispondeva
al ceto: non tutti coloro i quali appartenevano ad un dato ceto facevano parte automaticamente della Piazza del
proprio rango. Occorreva l'aggregazione fatta dalla stessa Piazza o dal re. Inoltre, per conservare il proprio
potere oligarchico, le Piazze erano <<chiuse>> e avevano diritto di aggregare altre famiglie con prerogativa
esclusiva.
Pur se era prevista una "democratica" rappresentanza dei ceti abbienti, gli atti di amministrazione dell'Università
mostrano che soltanto il primo ceto, per la posizione privilegiata dei nobili, era attore principale delle vicissitudini
amministrative della città.
Al popolo minuto per più secoli fu riservata una parte passiva e marginale.
Soltanto nel 1797, con Reale Dispaccio di Ferdinando IV di Borbone, ad esso fu concessa una propria rappresentanza
in seno al Consiglio dei Decurioni. Da quell'anno il Consiglio decurionale fu costituito da 10 consiglieri nobili,
10 del secondo ceto e 10 del terzo.
Fino al 1797, il Consiglio dell'Università fu composto da trenta deputati, quindici per la Piazza dei Nobili
e quindici per la Piazza del Popolo primario, che restavano in carica tre anni. Esso veniva modificato ogni anno
con la sostituzione di cinque membri, in modo che allo spirare del triennio fosse completato l'avvicendamento.
La suddivisione dei seggi del Consiglio della città di Bari fra i ceti della nobiltà e del Popolo
Primario è documentata fin dal Quattrocento.
Cariche cittadine
La sede delle riunioni delle due Piazze era chiamata "Sedile"; era qui che si svolgeva la vita pubblica
della città. Ogni Piazza eleggeva nel suo seno, il Sindaco, il Deputato della salute, il Catapano, il Munizioniere,
il Capo bagliva, il Giudice della bagliva, il Deputato delle fabbriche, il Protettore dei monasteri, l'Archiviario,
due Assistenti alla revisione dei conti e due Firmatari dei mandati.
Il Consiglio decurionale eleggeva pure il Mastro giurato, il Cassiere, il Procuratore della città, il Razionale,
l'Avvocato della Città e dei poveri ed il Cancelliere.
Questi ultimi incarichi avevano durata annuale e venivano assolti alternativamente da rappresentanti della Piazza
dei Nobili e della Piazza del Popolo.
Tutti gli eletti rimanevano in carica un anno, ad eccezione dei Catapani che venivano eletti ogni sei mesi.
I Sindaci rappresentavano l'Università presso il potere centrale, presentavano al Re le richieste deliberate
dal Parlamento cittadino e ne illustravano le ragioni, tutelavano i diritti della città, rivendicavano i
beni pubblici che venivano usurpati, soprintendevano alle fortificazioni della città e alla manutenzione
delle strade, vigilavano sui pesi e le misure di cui custodivano gli esemplari, ed avevano l'ufficio di provvedere
ad una equa ripartizione dei tributi che servivano a far fronte alle raccolte di denaro della Corte regia ed ai
bisogni della città. Durante il loro mandato non potevano assumere arrendamenti (concessioni della produzione
o della vendita in esclusiva di un certo prodotto) dell'Università.
Il Mastro giurato sovrintendeva all'ordine pubblico e alla sicurezza notturna del Borgo; aveva l'incarico di custodire
la città durante la notte e tenere presso di sé le chiavi delle porte.
Per questo incarico disponeva di armigeri con i quali costituiva la ronda di notte. Oltre al servizio di ronda,
era previsto un servizio di sentinelle poste sui campanili più alti della città. Una di esse era
in postazione sul campanile di San Giacomo.
I Deputati della salute avevano l'incarico di vigilare sulle navi e le barche che approdavano in porto e sugli
stranieri che entravano in città per assicurarsi che non fossero portatori di malattie contagiose. Essi
avevano la propria sede fuori delle mura, presso la Porta di Mare.
I Catapani erano delegati a vigilare sul rispetto dei prezzi fissati nelle assise e sulle frodi dei venditori di
derrate alimentari.
Tra Seicento e Settecento diverse magistrature cittadine presentarono cambiamenti nelle loro attribuzioni.
I Capi Bagliva o Baiuli erano preposti a quella che oggi diremmo la polizia urbana. La loro funzione consisteva
nel vigilare sul regolare svolgimento dell'attività mercantile e, soprattutto, sui comportamenti della popolazione
del Borgo. Essi dovevano far rispettare dai cittadini alcune norme igieniche e di comportamento, controllando che
non gettassero letame, acqua sporca ed ogni altro tipo di sporcizia nelle strade e nei fossati delle mura della
città, ma che procurassero di portarli fuori di essa. Dovevano assicurassi che conciatori, beccai, barbieri,
bottai e tutti gli altri artigiani scopassero e nettassero periodicamente il tratto di strada situato avanti alla
loro bottega; dovevano far rispettare dagli ortolani e dagli erbivendoli il divieto di gettare nel porto e nel
fossato posto sotto le Mura della città i residui della vendita giornaliera e ai bastasi l'obbligo di scopare
ogni settimana la pubblica Piazza.
Là dove muratori provvedevano ai lavori di costruzione o di ristrutturazione, dovevano assicurarsi che essi
non lasciassero per più di tre giorni sulla pubblica strada il materiale edilizio di demolizione. Era pure
compito della Bagliva controllare che fossero praticati, nei negozi dei generi alimentari, nei molini e nei trappeti,
i prezzi fissati nelle assise e vigilare sulla qualità e sul peso degli alimenti venduti. Anche i rapporti
di lavoro tra proprietari di terre e gli operai agricoli - massaro, gualano, consiero, trappetaro - ricadevano
sotto la loro giurisdizione. Dovevano vigilare sul rispetto di quanto fra le parti era stato convenuto, ossia che
i lavoratori mantenessero l'obbligo assunto di prestare opera per un determinato periodo di tempo ed i proprietari
quello di corrispondere puntualmente la pattuita mercede.
Tutte le infrazioni commesse dovevano essere dalla Bagliva immediatamente contestate e dovevano essere giudicate
dai Giudici della Bagliva o dai Gabelloti (Gabellieri) entro otto giorni dal dì in cui era stato commesso
l'illecito; trascorso tale tempo le infrazioni cadevano in prescrizione.
I Giudici della Bagliva non avevano facoltà di citare le parti, giudicare e carcerare, né esigere
le pene senza l'iniziativa del Baglivo.
Il Cancelliere era il segretario del Consiglio dei Decurioni ed aveva l'onere di redigere i verbali delle sedute.
Spesso a ricoprire questo incarico venivano chiamati i notai, persone esperte nelle lettere e nel diritto, aduse
a compulsare pandette e stendere strumenti.
Il Cassiere aveva il compito di custodire la cassa dell'Università mentre gli Archiviari erano incaricati
di conservare la documentazione comprovante la concessione o la conferma alla città di privilegi, capitoli
e grazie da parte dei Re di Napoli. Alla custodia di carte così preziose era ovvio che fossero incaricate
due persone, una per ogni Piazza.
I Munizionieri curavano e vigilavano sulla consistenza delle polveri accumulate per la difesa della città.
Il Gonfaloniere o Giudice esercitava su tutti gli abitanti della città, fossero essi cittadini baresi o
forestieri, la giurisdizione civile, aveva competenza criminale su tutti i reati minori contemplati dagli statuti
cittadini ed interveniva nella stesura dei contratti e dei testamenti da parte dei Notai. Per i contratti nei quali
comparivano le donne come contraenti svolgeva la funzione di giudice mundio.
Altri Officiali svolgevano funzioni amministrative e giudiziarie di minore importanza o di semplice ordine. Anche
questi venivano eletti ogni anno e le loro provisioni erano a carico del bilancio dell'Università.
Erano nominati il Capitano delle artiglierie, alcuni Medici, il Giudice ai contratti, l'Apprezzator delle vigne,
l'Apprezzator delle olive, il Trombetta, il Capo Artigliere, i Bombardieri, i Guardiani delle porte della città
oltre a Corrieri, Cavallari, Torrieri e Campanilieri.
Durata degli incarichi e loro controllo
I Sindaci, il Mastro giurato, i Catapani ed i Giudici della bagliva, il Cassiere al termine del loro mandato erano
soggetti a sindacato. Essi dovevano rendere conto delle somme incassate e spese. Incaricato dell'attività
di revisione era il Razionale il quale veniva affiancato per l'occasione da due Assistenti eletti dalla Piazza
dei Nobili e da altri due dalla Piazza del Popolo.
Le elezioni
L'elezione degli amministratori avveniva all'interno del Consiglio dei Decurioni con il sistema delle ballotte.
Questo consisteva nell'immettere in una cassetta tante palline nere quanti erano i votanti ad eccezione di alcune,
di numero pari a quello delle cariche da eleggere, che erano di colore rosso. Chi estraeva la ballotta rossa aveva
il diritto di indicare il nome dell'eletto che veniva poi sottoposto a votazione da parte dei membri della sua
Piazza.
L'elezione delle massime magistrature cittadine si svolgeva secondo una prassi consolidatasi nel tempo. Essa prevedeva
due fasi, la prima ,che comportava la scelta a mezzo di votazioni delle terne dei nomi dei candidati sindaci e
dei candidati mastri giurati oltre alla elezione degli altri "Offiziali" cittadini minori, ed una seconda
nella elezione vera e propria dei sindaci e del mastro giurato. Questa seconda, nella parte finale, col canto del
Veni Creator Spiritus, presentava momenti di toccante suggestione.
La proclamazione dei risultati e le visite di cortesia degli eletti
Ad avvenuta elezione un banditore divulgava la notizia per le strade del Borgo. A partire dal 1743, come ricorda
il Melchiorre, dopo l'elezione ed il loro insediamento, i sindaci dovevano sottoporsi ad un articolato cerimoniale.
Questo prevedeva che il Castellano della città, a mezzo di un suo aiutante, facesse pervenire loro le proprie
felicitazioni. I sindaci ricambiavano la cortesia, andando a ringraziarlo nel Castello, dove il Castellano li attendeva
circondato dalle autorità cittadine e dai rappresentanti della piazza dei nobili. Lì venivano rinnovate
le felicitazioni e offerti rinfreschi.
La concessione delle terre in enfiteusi
Intorno alla metà del Seicento, come emerge anche dal Catasto Onciario, la maggior parte del territorio
compreso tra Modugno e la marina apparteneva ad ecclesiastici, nobili e borghesi; una parte estremamente esigua
era di proprietà dei contadini. Secondo lo storico barese Michele Garruba, il primo a quanto mi risulta
ad aver dedicato alcune pagine della sua opera storica del 1844 alla nostra località, tali terre erano incolte
e utilizzate come pascolo.
A partire dalla seconda metà del XVII secolo nella zona di Palese cominciò a diffondersi la pratica
giuridica della concessione delle terre in enfiteusi da parte dei proprietari ai contadini affinché le coltivassero.
L'enfiteusi era un contratto agrario, oggi in disuso, all'inizio a carattere perpetuo (Medioevo) e successivamente
temporaneo al massimo sino alla terza generazione, con il quale il proprietario (dominus: signore, comune, vescovo
o monastero) concedeva in uso le proprie terre a un contadino-lavoratore (enfiteuta) che ne assumeva la gestione
con l'obbligo di apportare miglioramento al fondo ricevuto. La diffusione di tale pratica agraria, che consentiva
al ceto meno abbiente di poter migliorare la propria condizione economica, unita all'amenità e alla salubrità
del posto attirò diverse famiglie che si trasferirono dai comuni limitrofi. I coloni provenivano da Modugno,
Bari e Bitonto e si possono considerare i primi veri abitanti stabili di Palese. Da Modugno giunsero i Cannati
o Cannale e i Ciciolla; da Bitonto i Garofalo e gli Splendorio o Sbendorio; da Bari i Majorana o Maiorano. A tutt'oggi
Maiorano, Garofalo e Sblendorio sono dei cognomi molto diffusi nella zona di Palese e discendono direttamente da
quei pionieri che lasciarono le città di origine per iniziare una vita nuova e migliore. Tra i campi cominciarono
a sorgere delle tipiche abitazioni rustiche - semplici e povere - con mura in pietra a secco, a forma di trullo
dalle tozze cupole di reminiscenza arabesca e variamente denominate paliare o grastudde per la forma di vaso di
coccio rovesciato. Fu questo il primo nucleo urbano di Palese, assieme alle due torri poste sopra a Palese e sopra
a Cozzo de' Pinoli. Tuttavia per tutto il Settecento l'immigrazione nel territorio fu molto lenta e le abitazioni
ebbero uno sviluppo a carattere sparso.
Stando sempre al Garruba la prima concessione enfiteutica risalirebbe al 1660, cui seguirono delle altre negli
anni successivi. Di un certo rilievo fu la concessione effettuata dal vescovo di Bitonto Tommaso Acquaviva d'Aragona
nel 1669 testimoniata da un cippo con lapide posto sul ciglio dell'attuale via Torre di Brencola, all'epoca via
delle Candele. Sulla lapide si può leggere la seguente iscrizione:
D.O.M.
F. THOMAS AQUAVIVA ARAG.A ORDINIS PRAED. M
EP. US. BITUNT. S BENEMERI.TIS S
~
NON NULLIS HUIUS CIVITATI(S) PARLIBUS HAS TERRAS
~
LE PEZZE DE CANDELA NUNCAPATAS N[….] ARU[….]RCITER GENTU
USQUE AD TERTIAM GENER.ONEM MASCULINAM IN EMPHYTEUSIM
CONCES(S)IT
VIGORE BULL. APOST. ROM. EXPEDITAE SUB CLEM. IX PONIF. EIUS 3°
7° IDUS AGUST. 1669
~
DATUM UQ BITUNTI SUB PRAESULATU EIUS ANNO 2° DIE
~
X OBRIS 1669
Il Cippo di Via di Torre di Brencola
Essa attesta che, in forza di una Bolla Apostolica Romana emanata da papa Clemente IX durante il 3° anno del suo pontificato e datata 7 agosto 1669, le terre della contrada "Le pezze di Candela" appartenenti all'episcopio bitontino e site al confine con l'Università di Bari venivano concesse in enfiteusi ai "particolari" del luogo fino alla terza generazione mascolina da fra' Tommaso Acquaviva d'Aragona (appartenente alla nobile famiglia che possedeva il feudo di Conversano, Noci, Alberobello e Castellana e nel XIV secolo aveva esercitato la propria signoria a Bitonto) dell'ordine domenicano, vescovo di Bitonto dal 1667 ricordato anche da Lozito per una visita pastorale alla chiesa di Santo Spirito. L'iscrizione reca la data X OBRIS 1669 che non va interpretata in modo superficiale e approssimato come il 10 ottobre 1669 (come fatto erroneamente da Melchiorre), ma, come osserva la Del Vescovo Lospalluti, è da ritenere DIE DECIMO (ANTE KALENDAS) OCTOBRIS, ossia, secondo il modo di computare il tempo dell'epoca, dieci giorni prima delle calende di ottobre e quindi il 22 settembre 1669. Di un'ulteriore concessione si ha notizia nel 1747 quando il barone modugnese Pietro Capitaneo diede in enfiteusi ai coloni le sue terre (circa 70 aratri) site lungo la via della Marina in contrada Cozzo de' Pinoli.