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sia rimasto a listino per quasi trent'anni, quando uscì, nel 1980, questo motore
non ebbe un immediato successo.
Per quanto Mercury avesse
fama di marchio "esclusivo", la linea e la filosofia progettuale
erano probabilmente troppo innovative, anche per gli "affezionati"
della Casa; il
ridotto sviluppo in altezza, la carenatura aderentissima al monoblocco,
l'assoluta assenza di leveraggi e maniglie sporgenti, il largo gambale
ed il generoso piede che "stride" con le alette anticavitazione,
ridotte invece ai minimi termini, erano all'epoca in totale antitesi
con la moda imperante e la ricerca della massima compattezza, che
traspare dal progetto, non venne apprezzata dai più.
Ma il vero motivo per
cui la sua diffusione risultò meno capillare di quanto sarebbe
stato lecito attendersi, sta tutto nella sua cilindrata di "soli"
400 cc che, seppur ben sufficienti a raggiungere e superare leggermente
i 25 hp/elica, non gli conferivano il fascino trasgressivo dei contemporanei
concorrenti al filo dei 500 cc, per i quali si favoleggiava, spesso
a sproposito, di potenze reali raggiungibili superiori ai 30 hp.
Si sssistertte così all'assurdo controsenso che il Mercury,
unico 25 "naturale" sul mercato, pur essendo probabilmente quello
che sfruttava nel modo più efficiente la potenza disponibile, solo
a partire dagli anni '90, con l'innalzamento della barriera del
"senzapatente" ai 40 hp, e quindi l'abbandono della fascia "25",
riuscì a trovare una sua ideale collocazione sul mercato.
L'EVOLUZIONE
I "gemelli" MERCURY
20 e 25 hp ( all'estero esisteva pure un 18 hp) fecero la
loro comparsa sul mercato italiano nel 1980. La coesistenza
dei due modelli sul nostro mercato aveva giustificazioni puramente
commerciali, in quanto entrambi erogavano la medesima potenza
effettiva di circa 20 hp/elica, grazie ad una strozzatura
sull'aspirazione, avevano pari caratteristiche ed erano di
fatto indistinguibili. Nella lunga vita del modello, di cui
tuttora vengono commercializzati gli ultimi esemplari rimasti
a magazzino, non vi furono molte evoluzioni degne di nota.
A parte un paio di restyling della capottina, la modifica
più vistosa, che diede vita alla versione "Panther", si ebbe
a metà anni '80, con un ampliamento del già generoso condotto
di scarico ed un conseguente aumento del peso dichiarato di
un paio di chilogrammi. Infine nel 1987, il 25 hp, ridenominato
America, fu adeguato alle nuove normative sul limite sottopatente
con la rimozione sin dall'origine dei dispositivi di depotenziamento.
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LA
TECNICA
Il gruppo motore
fa riferimento ad un monoblocco bicilindrico in linea, con
albero su tre supporti di banco e unico carburatore a gola
larga, montato disassato sul frontale, che "spara" miscela
nei cilindri avvalendosi di un generoso pacco lamellare a
pettine... insomma, un tipico fuoribordo americano.
La testata,
come da tradizione Mercury è integrata nella fusione
del monoblocco, che è quindi "chiuso" posteriormente.
Caratteristica
interessante e criticabile al tempo stesso, non prevede
le consuete camicie riportate in ghisa, ma si avvale
di camicie in alluminio ricavate direttamente nella
fusione, trattate e cromate superficialmente per resistere
al continuo sfregamento indotto dalle fasce elastiche.
Questa particolarità,
considerata " di alta tecnologia" (viene adottata
anche da Porsche) permette di uniformare al massimo
le dilatazioni termiche, ma rende impossibile rimediare
ad eventuali malaugurati grippaggi, in quanto le camicie
stesse non sono rialesabili e non sono disponibili pistoni
maggiorati.
Siamo insomma
di fronte ad un monoblocco "usa e getta"...
vedete voi se è un bene o un male.
Il
piede a sua volta è molto originale, essendo caratterizzato
da un rapporto di riduzione molto elevato che permette
l'uso di eliche di buon diametro ed elevato passo, ed
è praticamente privo di pinna posteriore, con alette
anticavitazione essenziali, larghe e tozze,
I comandi,
invertitore incluso, sono tutti raggruppati nella grossa
barra di guida, montata lateralmente e distanziata dal
blocco motore, e che per il trasporto scompare totalmente
nel profilo della calandra.
Nelle serie
più recenti il supporto della barra guida incorpora
anche un maniglione frontale di trasporto, molto più
comodo del "traversino" tra le staffe di fissaggio
inizialmente previsto e che ha il grave difetto di ruotare
assieme al cannotto dello sterzo, rendendo poco sicura
la presa quando si solleva il motore dallo specchio.
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La scelta progettuale
dalla "barra tuttofare" rende leggermente più complesso
il montaggio dei comandi a distanza, per i quali sono possibili
due soluzioni, ovvero il montaggio di un kit di adattamento
dei soliti cavi separati per gas ed invertitore, oppure la
sostituzione della barra originale con una "similbarra" recante
all'estremità un disco tramite il quale con il tradizionale
monoleva si "emula" la rotazione della manopola.
Il sistema è
semplice, funzionale e molto poco invasivo. Presenta però
il difetto di non poermettere l'uso dell'acceleratore in folle.
Oltre alla capottina, è in materiale plastico anche la vasca, realizzata in due
sezioni longitudinali facilmente asportabili, che permettono un totale accesso
al blocco motore. |
L'USATO
La disponibilità
delle varie versioni sul mercato dell'usato non è eccelsa,
mentre la richiesta è ancora vivace, il che ne mantiene a
buon livello le quotazioni. Date le caratteristiche di erogazione,
non è il motore ideale per pilotine o gommoni semirigidi oltre
i 4,5 m, mentre è validissimo per l'uso su gommoni smontabili,
soprattutto quando si prevede la guida a barra. Le dimensioni
di ingombro ed il peso molto simili a quelle di un "15" 4t,
se non inferiori, lo rendono un temibile concorrente per questi
ultimi, rispetto ai quali la resa in coppia e velocità è sicuramente
superiore, la
manutenzione richiesta inferiore e la trasportabilità
meno problematica. Per le versioni più datate, l'Importatore
ha sospeso la distribuzione di alcuni ricambi, per cui, permaggior
tranquillità, è bene orientarsi su esemplari recenti.
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POSSIBILI
AVARIE
Come si è detto,
il limite principale di questa serie di motori è la non rialesabilità
delle camicie, per cui un errore nella dosatura dell'olio
nella miscela o il maledetto sacchetto di plastica sulle prese
d'acqua possono rivelarsi fatali. Altro difetto congenito
è una rapida usura della fune di avviamento, il cui percorso
nel castello tripode la rende soggetta a sfregamenti. Fortunatamente
si tratta di un problema marginale, e la
sostituzione del cordino risulta comunque agevole, grazie
ad un tappo di gomma frontale che permette di accedere al
meccanismo di avvolgimento senza doverlo disassemblare.
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DIAMOGLI I VOTI:
Diffusione 7/10
Affidabilità 8/10
Consumi 7,5/10
Silenziosità 6/10
Reperibilità ricambi
7/10
Convenienza all'acquisto
8/10
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RIEPILOGO:
1.
Cilindri in alluminio: il monoblocco non ha camicie riportate in ghisa, ed i pistoni
scorrono sullo stesso alluminio, indurito e cromato. Ciò rende più uniformi le
dilatazioni termiche, ma non consente di rettificare e recuperare il monoblocco
in caso di grippaggio. |
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2. Comandi
centralizzati: Cambio ed acceleratore sono concentrati
sulla barra di guida . E' un sistema molto comodo ma
richiede assuefazione ed impedisce le "sfollate liberatorie"
in caso di ingolfamento. La presenza della barra "centralizzata"
obbliga inoltre ad utilizzare un kit di conversione
per poter usare i comandi a distanza.
Il senso
di rotazione della barra può essere facilmente
invertito
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3.
Attacco carburante: è stato cambiato durante la produzione.
Gli esemplari più recenti usano un connettore di tipo
"Yamaha-compatibile", i più anziani quello classico Mercury
a baionetta. |
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4.
Fune di avviamento: Può essere necessario sostituirla
spesso a causa degli eccessivi sfregamenti cui è sottoposta
all'interno del castello tripode. |
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