Liberazione e Purificazione (2006 version)

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-=Capitolo 1 =-

 

Erano partiti dal monastero di Saint Mere Abelle.

Erano in nove, scelti tra i migliori monaci dell'abbazia.

Perfetta la loro conoscenza e la loro preparazione.

Impeccabile il loro addestramento nelle tecniche di combattimento e nell'impiego della magia.

Erano partiti in gran segreto: il padre abate era stato molto chiaro in merito alla questione.

Il silenzio e la più assoluta discrezione dovevano circondare l'intera faccenda.

Erano partiti con l'equipaggiamento necessario ad affrontare il viaggio e in pochi giorni, merito anche dell'impiego dei poteri magici delle pietre che avevano con sé, utilizzati al fine di tonificare i muscoli e a rendere più veloci i loro movimenti, erano giunti in quel villaggio del nord, situato tra le montagne dell'Alpinador.

Nessuno avrebbe dovuto notare la loro presenza durante il loro spostamento.

Avrebbero dovuto muoversi tra le campagne e la foresta della zona evitando il più possibile ogni contatto con gli abitanti dei villaggi e dei paesi situati in quella regione.

Non era insolito che un gruppo di monaci uscisse dall'abbazia e si dirigesse verso qualche villaggio a recare conforto, cure e aiuti a chiunque ne abbisognasse. Talvolta anche man forte per risolvere problemi di natura bellica al fine di garantire l'ordine e l'equilibrio tra le genti.

In questo caso tuttavia il padre abate riteneva più che opportuno fare in modo che la presenza dei monaci rimanesse celata e che questi non fornissero spiegazioni a nessuno degli abitanti della regione in cui erano chiamati ad intervenire. Voleva essere certo infatti che non giungessero informazioni ai loro nemici situati nell'Alpinador. Il sospetto che questi ultimi avessero spie ed informatori al di fuori di quella regione non era confermato da prova alcuna ma in ogni caso era meglio non correre rischi e cautelarsi da ogni possibile pericolo.

Tanto più che, nel caso si fosse dovuti giungere ad uno scontro, i monaci avrebbero avuto dalla loro il vantaggio di un maggior effetto sorpresa.

In ogni caso, anche se l'eventualità che si giungesse ad uno scontro non era poi così improbabile, il compito dei monaci era principalmente la verifica di una delicata questione della quale, da qualche settimana oramai, non giungevano notizie dal villaggio di Melorak.

Da quando, parecchi anni prima, era stato confinata in quella remota regione del nord, il padre abate dell'abbazia di Saint Mere Abelle aveva preteso continui aggiornamenti in merito alla bestia e alla condizione dei sigilli che la intrappolavano. Se questi fossero stati infranti, il demone sarebbe tornato libero di compiere ancora atroci malvagità.

E il fatto di non aver ricevuto alcun aggiornamento nelle ultime settimane, di certo, non era un buon segno.

Forse, semplicemente, era accaduto qualcosa ai monaci guardiani.

Magari, a causa di qualche sfortunato incidente, un furto probabilmente, erano stati privati delle pietre magiche con le quali era possibile la comunicazione a distanza. Oppure quest'ultime erano andate perdute a causa di qualche recente calamità di cui ancora non era giunta notizia più a sud e che di conseguenza aveva tenuti impegnati i monaci posti a vigilare sullo stato dei sigilli. Sempre che anche loro non fossero stati coinvolti o addirittura feriti nello svolgersi degli eventi.

In ogni caso, qualunque ne fosse la causa, sembrava che essi fossero impossibilitati nel stabilire contatto telepatico con l'abbazia e riferire notizie in merito alla prigionia della bestia.

Si domandava comunque come mai, allora, non fossero giunti messaggeri recanti notizie dal villaggio di Melorak.

E ad aggiungersi alla preoccupazione per la sorte dei suoi confratelli, il pensiero che qualcosa di terribile fosse accaduto e che quindi la bestia fosse nuovamente libera non dava pace alla mente del padre abate Guren.

L'ipotesi che la bestia avesse trovato il modo per scardinare la sua prigione magica dall'interno, era semplicemente assurdo: per quanto fosse dannatamente potente, contro la magia del sigillo non avrebbe potuto nulla.

Altrettanto impossibile che l'incantesimo si fosse già sciolto: mancavano ancora due anni, stando alle profezie e alle parole di chi l'aveva lanciato. Per allora i monaci abellicani avrebbero preparato nuovamente l'incantesimo ricorrendo al potere della Grande Ametista.

E nel frattempo, con cadenza periodica, nuovo potere veniva infuso in essi tramite specifici rituali nei quali venivano impiegate le pietre dell'Anima. Un flusso di energia non comparabile a quello che solamente la sacra ametista avrebbe potuto fornire ma che di certo permetteva il mantenimento della magia del sigillo.

Oppure, temeva l'abate Guren, qualcuno poteva averli sciolti.

E in quest'ultimo caso, se davvero qualcuno aveva sciolto i sigilli, allora non si doveva sottovalutare la questione: chiunque avesse liberato la bestia, doveva aver avuto una notevole esperienza e una padronanza delle arti magiche fuori dal comune.

Inoltre, per quale motivo avrebbe dovuto liberarla? Liberare un simile abominio, una belva feroce e incontrollabile? Si stava avvicinando il giorno della rinascita del demone dactyl come annunciato dalle antiche profezie? Il nuovo avvento del male era ormai prossimo?

Le profezie in merito erano vaghe e confuse e, per evitare di correre qualsiasi rischio, era meglio verificare lo stato dei sigilli, infondendo in essi ulteriore forza magica se necessario.

 

 

I monaci arrivarono alla prigione della bestia in una tiepida mattinata di primavera.

Nonostante cinque giorni di marcia forzata, il gruppo non appariva esausto né particolarmente affaticato dal viaggio.

La temperatura era mite, il cielo chiaro senza la minima presenza di nuvole.

Non appena giunsero in prossimità della foresta di Loren, anziché dirigersi verso nord in direzione di Melorak i monaci deviarono verso est percorrendo con circospezione i sentieri di montagna che tagliavano tra gli alberi.

Ricorrendo al potere delle pietre del sole i monaci potevano chiaramente percepire l'assenza delle emanazioni magiche dei sigilli, evidente segnale che i loro timori si erano infine realizzati.

Tuttavia la tranquillità del luogo così pericolosamente vicino alla magica prigione del demone non era stata minimamente turbata: non notarono infatti alcunché di strano. Non vi erano segni di devastazione, né bruciature o animali morti a testimoniare l'avvenuta fuga del demone.

Sempre che la bestia fosse effettivamente in libertà visto che ancora non avevano raggiunto la loro meta.

Ma quando giunsero nelle vicinanze della prigione del demone, un tempietto di forma cilindrica interamente ricoperto di rune e simboli magici e situato al centro di uno spiazzo circolare nel mezzo della foresta, lo trovarono praticamente distrutto.

Ancora era possibile avvertire nell'aria la presenza della forza magica utilizzata. Un grande potere era stato mosso contro i sigilli, contro la magia divina che il Santo Padre Alexander avevo utilizzato per imprigionare il demone immortale quasi trent'anni prima. Sul terreno solchi e bruciature: uno strano simbolo era stato prima disegnato e successivamente cancellato secondo un misterioso rituale che i monaci, per quanto eruditi nello studio dell'arcano, non erano in grado di riconoscere.

Un simbolo, forse, di incantesimi proibiti.

Attorno alla prigione del demone, nessuna traccia di esseri viventi: solo una nera marcescenza stava divorando il terreno, corrodendo e consumando la terra stessa e ogni vegetale che su di essa cresceva.

La prima parte del compito dei monaci era quindi terminata: i sigilli erano stati infranti.

Dall'esterno.

Lo dimostrava chiaramente lo strano simbolo sul terreno.

Il demone era infatti una creatura costituita di essenza magica e di male: non aveva bisogno di simili espedienti per usare incantesimi. Forse un negromante o un evocatore, o più d'uno, aveva liberato la creatura infernale prigioniera dei sigilli.

Oppure quest'ultima era riuscita a plagiare la coscienza di uno dei monaci guardiani, obbligandolo ad uno strano rituale al fine di abbattere la propria prigione. Questo avrebbe certamente spiegato il senso di quello strano marchio sul terreno sempre che esso fosse realmente collegato con la liberazione del mostro.

In ogni caso, i monaci ne presero atto: il demone era nuovamente in libertà.

Utilizzando la pietra del sole cercarono di captare le emanazioni della sua aura, per poterlo rintracciare ma nelle vicinanze non vi erano tracce della sua presenza.

Probabilmente aveva utilizzato il teletrasporto per andarsene da quel luogo senza lasciare testimonianze del suo passaggio.

E a ben pensarci, convennero i monaci, questo era un prezioso indizio: chiunque fosse il suo misterioso liberatore, doveva esercitare un notevole potere sulla belva.

Infatti, la natura del demone è quella del distruttore.

Dopo decenni di prigionia, una volta libero la prima cosa ovvia che avrebbe potuto fare sarebbe stata dare sfogo a tutta la sua rabbia, distruggendo e devastando ogni cosa e ogni essere vivente.

Anche il suo stesso liberatore.

Non era certo nella sua natura essere riconoscente con il prossimo.

Lo animavano l'istinto e la fame della morte: si nutriva di terrore e di sangue.

Nient'altro aveva valore per lui e quelli della sua specie.

E invece il demone non aveva dato sfogo ai suoi violenti istinti: non vi erano tracce di lotta o di combattimento.

Probabilmente, il suo misterioso liberatore l'aveva obbligato a sottomettersi e a piegarsi al suo volere. E il demone aveva obbedito senza ribellarsi.

A questo punto la ricerca del demone doveva essere portata avanti con molta prudenza. Già di per sé, il demone era un nemico astuto e formidabile: sarebbe stato davvero molto difficile riuscire a sconfiggerlo e a costringerlo nuovamente in prigionia. Compito che sarebbe divenuto ancora più ostico se avessero trovato la belva assieme al suo misterioso benefattore.

In ogni caso, l'ispezione della zona limitrofa mediante la pietra del sole non aveva dato alcuna indicazione utile.

Il demone non era vicino e non si captavano emanazioni magiche nei paraggi. Avrebbe potuto essere ovunque.

Oppure, aveva semplicemente trovato il modo di mascherare la propria presenza.

E quest'ultima ipotesi appariva di gran lunga la più inquietante perché li esponeva di fatto ai suoi probabili attacchi.

 

Leonardo Colombi

 

 

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