La missione - Capitolo 02

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-=Capitolo 02: L'incontro=-

 

Quando riprese i sensi, l'orco scoprì di avere entrambi i polsi legati. A fatica riuscì a portare le mani alla tempia per tastarsi laddove la testa gli doleva. Ci erano andati giù pesante e, malgrado avesse dato prova della sua abilità di guerriero, i nemici erano riusciti ad avere la meglio.

Lanciò una rapida occhiata attorno a sé, la fioca luce lunare filtrava attraverso le inferriate di una piccola finestra, quindi emise un sordo ringhio per la rabbia: era prigioniero!

- A quanto pare, la bella addormentata si è svegliata!

Le parole dello stregone sorpresero l'orco il quale, ancora intontito per i colpi degli aggressori che l'avevano catturato, non si era reso conto di non esser solo. Nella semi oscurità della cella individuò quindi l'uomo che aveva parlato. Non riuscì tuttavia a scorgere quell'altro, forse per via dell'oscurità o forse perché quest'ultimo non voleva ancora palesarsi.

L'uomo che aveva parlato aveva due vispi occhi chiari, luminosi e astuti, e una barba appena accennata sulle guance e sul mento. Il cappuccio di un mantello scuro che indossava sopra gli abiti gli conferiva un'aria misteriosa e al contempo pericolosa, sensazione acuita da quel sorriso beffardo e dall'arroganza con cui aveva parlato. Come osava insultare un orco?

Urzal si alzò in piedi, più di due metri di barbarie e muscoli possenti. Non sapeva bene cosa era accaduto o dove si trovasse, ma se quello stupido umano voleva provocarlo, avrebbe trovato pane per i suoi denti. Ma quando cercò di sollevare il suo corpo possente e muscoloso, scoprì suo malgrado che oltre alle mani, saldamente legate tra loro, anche le sue caviglie erano prigioniere di possenti catene sicuramente saldate alla parete dietro di lui.

-  Calmati

L'uomo aveva parlato ancora. L'orco lo osservò ringhiando: non lo tollerava, non sopportava quel tono né la sua presenza. Alla prima occasione l'avrebbe di certo ucciso, magari torcendogli quel suo ridicolo collo da umano. Di certo non era un guerriero a giudicare dal fisico, poco muscoloso e avvezzo al combattimento. Lui invece poteva contare sulla potenza devastante dei suoi muscoli scolpiti in anni di duri allenamenti e combattimenti in battaglia. Le cicatrici sul corpo e i tatuaggi di guerra, che indicavano il numero delle sue vittime, potevano testimoniarlo. Poteva distruggere un tronco a mani nude, spezzare il collo di un toro, abbattere qualsiasi nemico si fosse trovato di fronte in virtù della forza che il suo fisico robusto possedeva. Sin da quando era poco più che un cucciolo era stato addestrato al combattimento, sottoposto a sforzi fisici e a prove di forza che nessuna delle altre razze sarebbe stato in grado di sopportare. E ora, all'età di quindici anni, Urzal era un avversario che nessun nemico avrebbe desiderato trovarsi dinnanzi. Nella semi oscurità della cella respirava furente mentre i suoi occhi rossi lasciavano intuire uno spirito inquieto e animalesco: non aveva paura, tuttavia la prigionia lo innervosiva più di ogni altra cosa e lo rendeva ancor più incivile e intrattabile secondo i canoni delle altre razze.

Sull'onda di questi pensieri, ringhiando feroce in direzione dell'uomo fissandolo con occhi carichi di rancore, alzò le braccia mostrandogli le catene che lo bloccavano: non tollerava che un debole umano si riferisse a lui con tanta arroganza. Ricorrendo a tutta la sua forza, il volto in una smorfia per lo sforzo, gli occhi dalle pupille cremisi semichiusi e la bocca spalancata ad urlare la sua tenacia, cercò di frantumare le catene che lo imprigionavano. Delle catene comuni avrebbero ceduto in pochi attimi, ma quelle che Urzal aveva ai polsi erano state stregate.

-  Umpf, è tutto inutile. Risparmia le forze, orco: non sono comuni catene.

Ma Urzal non voleva ascoltarlo: avrebbe frantumato le catene e fatto comprendere a quello stolto umano chi comandava.

Dopo un poco però si arrese. Con rabbia fu costretto a riconoscere che quelle catene erano troppo resistenti anche per la sua forza.

-  Te l'avevo detto…

-  Taci umano!

L'orco ringhiò frustrato

-  Urzal non è mai stato fatto prigioniero e non saranno catene come questa a fermarmi!

-  Non ne dubito Urzal ma, vedi…

E mentre parlava sollevò di poco le braccia in modo che l'orco scorgesse le catene magiche costituite di frizzante energia azzurrognola che avvolgevano le sue di mani.

- Anche io sono prigioniero come te. Ma, a differenza di te, io sono un mago e non posso contare su possenti muscoli per liberarmi. Tuttavia sono abbastanza intelligente da riconoscere un incantesimo quando me lo scagliano contro: queste sono catene magiche da cui non posso liberarmi senza conoscere la parola magica che le disattiva.

L'orco smise di osservare l'uomo per scrutare le proprie di catene. L'uomo se ne accorse.

-  Vedo che inizia a comprendere: anche le tue catene sono state potenziate dalla magia. Chi ci ha imprigionato ha preso le dovute precauzioni.

Nuovamente Urzal provò ad infrangerle con la propria forza, nuovamente senza risultato. Quindi l'orco tornò a sedersi, rabbuiato. Dopo un poco ruppe il silenzio e riprese la parola.

-  Chi è stato? Chi è che ci tiene prigionieri? Urzal li ucciderà tutti quanti.

-  Oh, non dubito dei tuoi intenti omicidi e delle tue capacità assassine, ma credo che sarà bene agire con cautela. Non conosco i nostri carcerieri. Sono stato fatto prigioniero da tre aggressori: erano potenti, abili nel contrastare i miei colpi. Non li ho visti in volto poiché l'oscurità li mascherava. Ma ricordo di aver visto quel simbolo sulle loro vesti.

Aveva indicato lo stemma disegnato sulla porta fiocamente illuminata da una flebile luce violacea, una croce bianca posta all'interno di un cerchio e con una stella vuota sagomata sullo sfondo, all'interno della circonferenza.

Lo stesso simbolo che Urzal ricordava di aver scorto sulle tuniche dei suoi aggressori. Anche loro erano in tre, i più abili guerrieri che avesse mai fronteggiato. Gli unici che erano riusciti a sconfiggerlo.

All'improvviso, la serratura della porta schioccò: qualcuno stava entrando.

L'orco scattò in piedi, pronto a fronteggiare qualsiasi minaccia; Jartra invece rimase seduto. Finora aveva provato qualcosa come cinquecento parole magiche per disattivare le catene che lo tenevano prigioniero ma senza esito. Sperava quindi di riuscire a carpire il segreto per la propria libertà. Anche se, sin da quando si era destato, chiuso in quella cella spoglia, umida e buia, aveva avuto l'impressione che non erano stati fatti prigionieri per qualcosa che avevano compiuto. Il suo intuito e la sua perspicacia gli dicevano che c'era ben altro in ballo: nessuno sarebbe stato così stupido da mettere tre come loro in una cella assieme. Un potente mago, un orco, e poi quell'essere che, per tutto il tempo, se n'era stato in silenzio, in disparte, quasi non gli importasse nulla di quanto stava accadendo. Probabilmente era il più pericoloso, forse anche più forte di Urzal. E al contempo condannato ad alcune vulnerabilità che lui e l'orco non possedevano. Ma dalla sua tranquillità Jartra traeva forza: non temevano alcun pericolo.

 

 

 

 

Leonardo Colombi

 

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