Il Consacrato - Capitolo 20

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-=Capitolo 20: Alla ricerca di Helge=-

 

La farfalla di luce era ancora attiva e la traccia magica che aveva lasciato permetteva ad Alchor di muoversi con sicurezza in direzione del covo dei demoni. Alla ricerca di Helge e non solo.

Non era del tutto certo che l'avessero condotto direttamente al loro rifugio, tuttavia ciò che ora poteva fare era seguire quella flebile traccia e correre in soccorso del giovane.

Questo uno dei compiti che la Luce gli aveva affidato.

Malgrado tutto, quel cavaliere era importante per la causa della Luce, lo era molto più di quanto Helge stesso potesse immaginare.

Anche se aveva offerto asilo e convissuto con un demone, ora non era tempo per i rimproveri: erano altre ora le problematiche da affrontare e risolvere.

Non poteva perder tempo per cui si mosse quanto più velocemente potesse. Con la benedizione della Luce, a cui si appellò prima di evocarli, ricorse ad alcuni incantesimi per potenziare le proprie gambe e stendere attorno a sé una cappa di invisibilità.

Agile e veloce tra le strade della città, saltando o correndo tra le case, le auto e gli edifici sulla traccia dell'emanazione di potere che sentiva provenire dalla farfalla di luce, Alchor tornò a pensare a Balrog.

Gli dispiaceva per la sua sorte.

Era stato un guerriero come lui prima di rinnegare la propria causa e passare al Vuoto. Non ne sapeva molto e tutto ciò che i Due Spiriti gli avevano rivelato non erano che poche parole, stralci di immagini.

Era stato un abile guerriero e un fedele servitore, devoto ed encomiabile nel suo servizio. E tuttavia incapace di affrontare alcune prove che la vita l'aveva destinato ad affrontare. Un'esistenza al servizio della Luce prevede rinunce, sacrifici: ognuno di coloro che ne abbracciava la causa lo sapeva bene. Fin troppo bene, pensò ricordando il proprio occhio e le immagini di dolore che su di esso si erano impresse prima che gli fosse strappato da un demone.

Quella al servizio della Luce era una vita non facile e certamente irta di difficoltà che pochi erano chiamati a vivere. Al perpetuo servizio dell'umanità in una causa eterna. Destinati a contrastare il vuoto e a rinunciare parte di se stessi in nome di persone che a malapena erano a conoscenza della loro esistenza.

Pochi gli affetti, le certezze, le gioie durature a cui potevano ambire. Da cui potevano trarre forza o su cui il vuoto poteva giocare, sussurrando minacce e lusinghe.

E Balrog a tutto ciò non era stato in grado di rinunciare o a resistere.

Aveva amato, più di quanto fosse concesso ad un guerriero.

E a causa di questo aveva smarrito se stesso e lo scopo della propria missione. Smarrendo la prospettiva della Luce aveva finito per rinnegarla a causa di una perdita troppo grande da accettare.

Per questo c'era del vero in ciò che gli aveva detto poco prima, durante il loro scontro: poteva comprendere ciò che Alchor aveva nel cuore, poteva intuire quel che aveva passato i dubbi ed il dolore con cui aveva dovuto convivere.

Ma Alchor li aveva vinti, li aveva accettati per attingere a nuova forza, per divenire uno strumento di speranza. Balrog invece aveva optato per tutt'altro percorso, rinascendo come demone.

A differenza del rinnegato, per Alchor tutto, quel che aveva vissuto e quel che la propria esperienza gli aveva insegnato, aveva una valenza diversa.

Purtroppo aveva perso i propri cari, la propria famiglia, a causa dei demoni. Aveva ricevuto la chiamata solamente in seguito, giurando nel proprio cuore di lottare contro i servitori del vuoto, di non avere pietà di loro e di chiunque decidesse di appoggiarli. Si era ripromesso di difendere l'umanità, di dare se stesso perché nessuno conoscesse il dolore che lui aveva provato.

Istintivamente portò una mano alla catenina che teneva al collo e delicatamente strinse il ciondolo che pendeva da essa per qualche istante.

Quel contatto gli donava forza e sicurezza, un istante di pace nel subbuglio di un mondo da salvare.

Dopotutto, il compito che l'attendeva non era affatto semplice. Tuttal'altro, rischiava assai e molto del futuro conflitto tra Luce e Vuoto poteva dipendere dall'esito della sua missione.

Doveva tenerlo bene a mente, soprattutto considerando i tre guerrieri della Luce che prima di lui erano morti sulle tracce dei demoni che avevano trafugato la Spada del Vuoto e rapito Fjollund. A meno che non avessero già ucciso il bambino, il guerriero che i servitori della Luce stavano addestrando al Santuario delle Nuvole Cremisi.

Sulla scia lasciata dalla farfalla magica giunse in prossimità di una stireria situata in periferia. Un capannone biancastro all'esterno, abbandonato e in decadimento, con le pareti macchiate e imbrattate di scritte e vetri rotti e opachi. Percepì tracce di magia tra le piante e i sassi del cortile incolto che lo circondava.

Ma ora questa non era più presente: probabilmente si erano fermati in quel luogo e, temendo il suo arrivo, i demoni avevano disseminato delle trappole tutt'attorno.

Cautamente si avvicinò ad una delle finestre del pian terreno. Cercò di scorgere l'interno dell'edificio mentre, attorno a lui, l'armatura di magia lo rivestiva in modo leggero.

Non riuscendo a scorgere molto bene l'interno attraverso il vetro impolverato e opaco della finestra, decise di spostarsi e di effettuare un sopralluogo anche da altri punti dell'edificio. Non sentiva alcun rumore provenire dall'interno del capannone né percepiva alcuna presenza.

Scorse tuttavia tracce di bruciature su di una parete, come se una fiamma o qualcosa di simile l'avesse perforata. Forse c'era stata una colluttazione e quello era il risultato di qualche incantesimo.

Infine scivolò all'interno dell'edificio ancora coperto dall'incantesimo di invisibilità che lo proteggeva.

Tuttavia non scorse nessuno.

Ebbe però la conferma dei suoi sospetti: c'era stato un scontro.

Alcuni tavoli erano rovesciati o rotti. E a giudicare dai segni sul pavimento era accaduto di recente. Sulla parete in cui aveva scorto tracce di bruciatura pareva essersi abbattuto una vampata improvvisa, forse un fulmine generato da qualche incantesimo, mentre a terra, piegandosi per osservare meglio, rinvenne segni di bruciature da fuoco.

Probabilmente era stato il demone più giovane, quello che aveva visto giocherellare con le fiamme nel parcheggio dell'ipermercato.

Sul pavimento, trovò anche la propria farfalla di luce. Anziché distruggerla, i demoni avevano preferito inchiodarla con aghi di tenebra. Il piccolo essere magico, come fosse dotato di vita, si dibatteva e scuoteva le ali, ma ugualmente non riusciva a liberarsi.

L'avevano ingannato.

Con un gesto di stizza il guerriero manifestò la propria indignazione.

Aveva perso troppo tempo con quel Balrog e non si era mosso così rapidamente come avrebbe dovuto. Certo, non era affatto semplice seguire le tracce di un esserino così piccolo ma se si fosse applicato con maggior tenacia forse, in quel momento, si sarebbe ritrovato ad affrontarli anziché stringere in mano un pugno di mosche.

Imponendo le mani sulla farfalla, sciolse l'incantesimo e la riassorbì.

Ora non aveva altri indizi su cui basarsi per ricercare i demoni.

Come gli era accaduto con quella donna demone che aveva trovato morta ed estinta nella sua essenza demoniaca prima di riuscire a ricavare da lei qualche informazione utile.

Quando ne aveva rinvenuto il cadavere per un attimo si era accesa in lui la speranza che ci potessero essere altri guerrieri della luce in città. Ma al di fuori di Helge non ne aveva trovati.

Forse il piccolo Fjollund era riuscito a liberarsi dai suoi carcerieri e distruggerla prima che lo facesse lui stesso, ma era una prospettiva assai improbabile a cui non poteva dare molto credito.

E poi, in una delle sue ultime visioni, la Luce gli aveva permesso di comprendere come il piccolo fosse ancora nelle mani dei demoni. E in quelle condizioni dubitava che potesse fare granchè.

Senza indizi di sorta, il guerriero decise quindi di abbandonare il capannone in attesa di un qualche segno. Avrebbe scelto quale direzione prendere sulla base del proprio istinto e delle poche tracce di scarpe e pneumatici sul terreno.

Ma non ebbe nemmeno il tempo di concludere quel pensiero che la visione arrivò.

La realtà dinnanzi ai suoi occhi si fossilizzò e parve contorcersi, ruotare su se stessa perdendo consistenza. I colori divennero più intensi mentre Alchor cadeva in trance.

Un istante di buio seguito da una luce abbacinante mentre i colori e i suoni divenivano esperienze remote. Il suo spirito si trovava ora in un'altra dimensione, in un luogo in cui i normali concetti di tempo e spazio perdono significato. E luce venne a parlargli, a rivelargli parte del proprio destino attraverso immagini ed emozioni vivide e reali quanto l'esperienza che quotidianamente era chiamato ad affrontare.

Ciò che i Due Spiriti erano in grado di mostrare poteva essere una benedizione quanto una condanna, la via per salvare qualcuno, oppure la drammatica constatazione di ciò che un fallimento avrebbe comportato.

Crudeli assassini in futuro intrappolati nel corpo di bimbi allo sbando nel presente oppure malati nel corpo e nel fisico o ancora incidenti di proporzioni bibliche trasfigurati in simboli e frammenti di immagini e sensazioni.

Alle volte ciò che rimaneva di queste visioni erano solamente vaghi ricordi, altre volte indicazioni e indizi concreti.

Ma quella, per Alchor, fu una visione del tutto inaspettata, preziosa e al contempo devastante.

Scorse un uomo inchiodato di spalle ad una croce, scorse i demoni e ciò che stava cercando. La meta verso cui dirigersi gli apparve quindi chiara ed evidente. In viaggio privo di corpo percorse a ritroso la strada da quel luogo di morte e sofferenza fino al proprio corpo.

E quando tornò alla realtà, padrone di se stesso e delle proprie azioni, il suo spirito era inquieto.

Aveva visto il luogo in cui i demoni si erano rifugiati: ora sarebbe riuscito a trovarlo anche ad occhi chiusi.

Ma ciò che aveva scorto era il futuro, non il presente.

Conosceva quindi l'identità dei suoi nemici, il motivo per cui avevano cooperato tra loro.

Fjollund ed Helge erano con loro.

Così come Balrog.

Fu una consapevolezza che lo colpì e lo scosse nel profondo.

Era lui la causa di tutto. La verità era così ovvia e sconvolgente che per poco non scoppiò a ridere, una risata amare a sottolineare tutto il resto che la visione gli aveva permesso di vedere.

Ma con un respiro profondo, chiudendo gli occhi e riportando il proprio spirito alla calma, scacciò via i sentimenti che per un poco avevano gravato sulla sua anima: sollievo e disperazione, delusione e profonda devozione.

Accettò la visione con fede, come un dono. Questo, in fondo, era tutto ciò che gli restava da fare.

In quel luogo infatti Alchor aveva scorto anche il proprio corpo, vittima del potere del male.

Aveva visto in quella chiesa sconsacrata il trionfo del Vuoto, vi aveva assistito in ginocchio, piegato dal potere dei suoi nemici.

Ma sapeva anche di dovervisi recare e di non poter tergiversare.

Attese ancora qualche istante fintantoché il suo spirito tornò saldo, sereno malgrado ciò che la Luce gli aveva rivelato.

Ma non doveva lasciarsi distruggere da quella visione: come aveva imparato nel corso dei vari decenni in cui l'aveva servito, la Luce aveva uno strano modo di tratteggiare la propria verità.

Nulla era mai così semplice ed evidente come nelle visioni, eventi che, per loro stessa natura, non erano certi.

Quello che aveva visto era l'epilogo di ciò che sarebbe potuto accadere se lui avesse fallito e non un futuro inevitabile.

 

 

Leonardo Colombi

 

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