“Maledizione!”
Le braccia aperte, la schiena arcuata all'indietro, Chelor stava sfogando la propria rabbia con urla furibonde. Era visibilmente incazzato per come erano andate le cose: Baled ucciso e quel figlio di puttana di un guerriero della luce era ora sulle loro tracce!
“Quel bastardo!”
Assieme ad Aglàr, dopo essersi allontanati dal parcheggio dell'ipermercato erano riusciti a rubare un auto e a dirigersi verso la zona industriale della città. Tuttavia, secondo il piano stabilito, non si erano diretti subito al loro covo, anche per timore che quel guerriero li stesse ancora inseguendo.
Certo, l'avrebbero comunque superato in numero ma dopo la fine che aveva fatto Baled era bene non sottovalutarlo e agire con cautela. Probabilmente era responsabile anche della misteriosa scomparsa di Korsheed.
Se quel guerriero era già sulle tracce del rinnegato e del patetico umano che avevano rapito poteva averla sorpresa e uccisa. Avrebbe anche potuto torturarla ma la demone non gli avrebbe mai rivelato la locazione del loro covo. Non Korsheed, la letale e veloce Korsheed.
Anche Aglàr manifestava turbamento e rabbia, tuttavia era impegnato a pattugliare la situazione all'esterno dell'edificio sbirciando da una delle poche finestre del capannone abbandonato in cui avevano trovato momentaneo rifugio. Doveva esser stata una stireria o qualcosa del genere un tempo. Ma ora i tavoli e le apparecchiature erano impolverate e abbandonate. Il demone aveva ancora negli occhi l'immagine del proprio compagno ucciso ed estinto. Un istante, un colpo e la sua vita demoniaca era terminata.
Una fotografia mentale che l'aveva scosso e turbato più di quanto si aspettasse. Era divenuto un demone per superare quella paura, l'angoscia per l'inevitabile trapasso che tronca ogni vita umana. Aveva scelto di non esser fragile e vulnerabile e di vivere a lungo, molto più a lungo di qualsiasi umano. Si era spogliato di molte delle emozioni che poteva provare quando era ancora umano ma ora l'ossessione di una morte eterna ed infinita per colpa di quel guerriero calvo era tornata ad agitarlo. Non avrebbe fatto la fine di Baled, no, non si sarebbe fatto cogliere alla sprovvista.
Helge era a terra, poco distante da Chelor, ancora intontito e confuso. L'avevano percosso per costringerlo a salire nell'auto e poi ad entrare nel capannone. Tutta la situazione gli pareva incredibile e assurda. Così come lo erano stati gli ultimi due giorni della sua vita. Sembrava che la ruota del tempo avesse cominciato a muoversi un po' troppo rapidamente per lui. In breve tempo, cosa che negli ultimi mesi non si era mai verificata, non solo era venuto in contatto con un guerriero della luce ma per ben due volte era stato in balia di demoni. Impossibile che si fossero palesati senza motivo alcuno. C'era qualcosa di terribile in atto, Helge poteva intuirlo chiaramente. Ovunque, la presenza dei demoni può significare solo malvagità, corruzione e odio. Ma ancora erano troppe le informazioni che non aveva, troppe le incognite per le quali trovare una risposta.
Aveva comunque notato il fatto che, per qualche strano motivo, i demoni conoscevano Balrog: non c'erano altre possibilità che potesse spiegare quanto avvenuto nel parcheggio dell'ipermercato.
L'incontro, il dialogo che ne era scaturito e poi lo scontro e la fuga.
Già, la fuga…
Perché avrebbero dovuto rapirlo e portarlo con loro?
Ai loro occhi era un semplice umano, dopotutto.
Puzzi di demone…
Quelle parole gli tornarono alla mente e un fugace sorriso gli balenò in volto. Si meritò un altro calcio da parte di Chelor.
“Cosa c'è di così divertente, stronzo!”
Fissando quegli occhi rossi, dolorante per il colpo subito, Helge si ripromise di controllare maggiormente le proprie emozioni in futuro.
E pregò che, a causa del colpo e dell'improvviso spostamento, i demoni non si fossero accorti della piccola farfalla di luce gialla che serbava sotto il leggero cappotto, un gentile omaggio di Alchor che poteva far pendere l'ago della bilancia ora verso la salvezza ora verso la condanna.
“Cosa facciamo ora?”
La domanda d Aglàr era sensata.
“Ci atterremo al piano: tutto andrà come previsto”.
“Lo spero”, ammise Aglàr che aveva preso ad esaminare meglio il giovane, “sperando che il guerriero non ci raggiunga prima di giungere al covo”.
“Non ti preoccupare: in quel caso lo utilizzeremo come ostaggio” disse indicando il loro prigioniero. “Vedrai, otterremo la nostra vendetta: il pelatone la pagherà per la morte del nostro compagno”.
La sicurezza di Chelor pareva aver rincuorato un poco anche il giovane Aglàr.
“E' tutto così…buffo…”, confidò sbuffando e alzando le spalle, “voglio dire: ci abbiamo impiegato molte settimane e ora, ora che siamo ad un passo dal completare ciò che abbiamo iniziato, tutto rischia di andare a monte…”
Helge ascoltava tutto in silenzio: memorizzava i loro discorsi e al contempo non poteva fare a meno di sentirsi inadeguato, inutile, sminuito. Se fosse stato ancora un guerriero, almeno avrebbe potuto tentare una qualche difesa, ricorrere alla magia e tentare la fuga.
All'improvviso gli tornarono alla mente le parole di Balrog quando un paio di sere prima gli aveva rendicontato della loro uscita al pub. Forse l'aveva ingannato, chi poteva saperlo, tuttavia quando gli aveva raccontato di quel che aveva fatto a quella donna, il demone aveva accennato a delle catene magiche.
E se i suoi poteri stavano effettivamente tornando questa poteva essere l'occasione giusta per scoprirlo. Che giungesse Balrog oppure Alchor a salvarlo non aveva importanza: lui si sarebbe comunque ritrovato a vestire i panni dello spettatore. Ma se fosse riuscito almeno ad esser d'aiuto allora forse avrebbe compreso meglio quale sarebbe stato il suo futuro.
Nelle ultime settimane aveva sperato di riuscire ad affrancarsi dall'eterna lotta tra Luce e Vuoto, di divenire un indipendente, di non sottostare più ad alcun obbligo. Aveva accarezzato l'idea di ritrovare il potere e di divenire una sorta di indipendente, abbandonando ogni conflitto con le forze del male e ogni incontro con i servitori della Luce.
Però ora, in balia dei demoni, non gli rimanevano che poche speranze di cavarsela.
Cercò allora di concentrarsi: chiuse gli occhi e cercò dentro di se fino al proprio spirito, sino all'origine della magia che la luce aveva celato in lui. Ma era come se fosse sordo in un mondo di suoni, come se fosse rinchiuso in una caverna buia laddove un tempo vi era un giardino solare e rigoglioso da cui attingere liberamente.
Nulla, nessuna traccia di magia. Era come se non ci fosse più nulla, era come cercare di nuotare in una piscina vuota. Solo una parete di buio, liscia, fredda. Il vuoto.
Riaprendo gli occhi si mise allora a scrutare i due demoni. Forse poteva sfruttare qualche loro disattenzione per comunicare la sua presenza all'esterno, o per tentare la fuga.
Aglàr era tornato alla finestra. Tra i due era di certo il più nervoso. Probabilmente era divenuto un demone da poco, barattando la propria umanità in cambio di potere e oscure promesse sussurrate dall'affabile e falsa voce del Vuoto.
Come dargli torto?
Il mondo stesso sembrava costantemente sul punto di spingere gli uomini a divenire demoni. Non passava giorno ormai che Helge non notasse, attraverso le notizie divulgate dai media o attraverso il comportamento più o meno consapevole delle persone, quanto l'umanità fosse marcia, perduta e smarrita. C'era bisogno di una guida, di riferimenti, di esempi. Che inevitabilmente fallivano. Lui forse avrebbe dovuto essere uno di questi, un paladino del bene votato al sacrificio, destinato a portare speranza e conforto. Ma non si era dimostrato all'altezza: i fatti sembravano confermarlo. Essere un guerriero della luce non si era mai rivelato un compito facile, una chiamata da vivere con semplicità. Per questo da un lato riusciva a comprendere come mai fosse così facile cedere alle lusinghe del vuoto anziché accettare il fardello che la luce cercava di porre sulle spalle dei propri servitori.
Chissà, magari se il Vuoto l'avesse chiamato a sé prima che la voce della Luce parlasse al suo cuore, forse anche lui sarebbe diventato un demone, proprio come Aglàr. In fondo, potevano sembrare quasi coetanei.
Chelor invece, nell'aspetto, sembrava avere una decina d'anni in più del suo compagno, probabilmente aveva mantenuto l'aspetto che aveva al momento della conversione al vuoto, il volto di un uomo metà tra i trenta e i quaranta e il fisico possente di un culturista.
Quest'ultimo ora era a qualche metro da lui: stava parlando al cellulare con qualcuno ma Helge non riusciva a comprendere cosa si stessero dicendo.
Ad un suo cenno del capo, Aglàr rispose scuotendo la testa. Nessuno in vista. Per ora.
Seguendo quel loro scambio di sguardi e silenti risposte, istintivamente, l'ex guerriero della luce non poté fare a meno di verificare la presenza e la fioca luminosità della farfalla di luce: l'incantesimo era ancora attivo. Alchor era ancora sulle sue tracce.
Fu allora che Chelor gli si avvicinò. Aveva terminato di parlare al cellulare e, dopo averlo riposto nella tasca anteriore destra dei jeans strappati, ora fissava il prigioniero.
Helge temeva che potesse essersi accorto della farfalla. Chelor invece prese a fissarlo intensamente, uno sguardo arrogante e fiero. Non avrebbe tollerato silenzi o risposte che non l'avessero soddisfatto appieno.
“Chi era quel guerriero che ha ucciso il mio sottoposto?”
“Non l'ho mai visto prima”, la risposta del giovane.
Immediato uno schiaffo leggero da parte del demone.
“Te lo chiedo di nuovo: chi era?”
“Te l'ho detto, non l'ho mai visto prima”
Un altro schiaffo.
Helge provava una tale rabbia per il trattamento che gli stava riservando che dentro di sé riprese ostinatamente a cercare tracce di magia. La situazione si stava mettendo male e in cuor suo non voleva collaborare con quei demoni.
“Chi era?”
La voce usciva ora più rabbiosa mentre le pupille dilatate facevano sembrare i suoi occhi quelli di un rettile. Stava perdendo la calma.
Nella sua ricerca interiore, forse a causa della disperazione, forse per la tensione a cui era sottoposto, Helge si imbatté nuovamente in quella parete buia e liscia che per un poco era riuscito a toccare pochi istanti prima. Era sceso sino in profondità, più a fondo di quanto si fosse mai spinto nelle ultime settimane. Qualcosa, iniziava ad avvertirlo, si stava agitando dentro di lui, qualcosa ribolliva e smaniava per esser liberato. Ma non riusciva ancora a raggiungerlo. La sua coscienza era come un arto filamentoso alla ricerca di un appiglio, di qualsiasi cosa che potesse riattivare il contatto con la magia. Se davvero ci era riuscito un paio di sere prima, da ubriaco, ce l'avrebbe potuto fare anche in quell'istante. Doveva farcela, doveva dimostrare a se stesso di non valere qualcosa, di un essere pateticamente in balia del Vuoto e dei suoi servitori.
Il demone, innervosito dal silenzio, lo afferrò per il collo. Non poteva tollerare quel suo comportamento. Baled era morto perché avevano sottovalutato un nemico nonostante sapessero della sua presenza in città. Nel parcheggio sotterraneo si erano dimostrato superficiali e poco accorti, ma ora non avrebbero commesso nuovamente lo stesso errore. E il loro prigioniero, questi i pensieri di Chelor, li avrebbe aiutati. Volente o nolente.
Leonardo Colombi
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