Quella notte Helge faticò a prendere sonno. Si rigirò nel letto più e più volte ripensando a quanto aveva appreso su di sé.
Se anche la magia fosse tornata a scorrere in lui, cosa ne sarebbe stato della sua vita?
Sarebbe divenuto un essere a metà tra la luce ed il vuoto? Una sorta di indipendente schierato con entrambe le fazioni e al contempo in lotta contro ambedue?
Oppure, negando la luce, sarebbe automaticamente divenuto un demone?
Eppure lui non aveva ricevuto la chiamata del Vuoto, non gli era stata offerta la possibilità di rinnegare la propria umanità in cambio di una nuova forma e nuovi poteri con cui diffondere il male e l'oscurità nel mondo. Né tanto meno voleva abbracciare quella strada.
Non apertamente almeno.
Però quanto aveva compiuto nelle ultime settimana aveva fatto sorgere nuovi conflitti nel suo cuore. Aveva ceduto agli istinti, aveva maltrattato persone innocenti, aveva rifiutato il suo aiuto a coloro che ne avevano bisogno. Ed in più aveva offerto ospitalità ad un demone.
E solo per attirare a sé l'attenzione dei guerrieri della luce, un obbiettivo meschino ed egoista che da un lato ammiccava alla sua necessità di scacciare quella spiacevole e dolorosa sensazione di esser stato abbandonato, e dall'altra lo poneva ad un livello di complicità con Balrog. Un demone.
Dopotutto, in tutte quelle settimana, lui non aveva mai effettuato alcun controllo particolare sulle sue azioni.
Portandosi le mani agli occhi si massaggiò le palpebre.
Si sentiva incredibilmente stanco, sopraffatto dalla realtà.
Odiava quella situazione, odiava se stesso, odiava la luce e il vuoto.
Rivoleva solo la sua vita, quella vita che gli era stata offerta e poi strappata.
Infine il sonno venne a cullarlo lontano da quei pensieri opprimenti, da tutta la sofferenza che Helge serbava nel cuore.
Avanzava per le strade di una città devastata. Ovunque i palazzi erano demoliti o in rovina. Il cielo era tetro, cupo, con striature violacee e rossastre a dargli colore.
Tutto era molto più buio di come ricordava.
Era appollaiato sopra un lampione, fiutava l'aria osservando uno ad uno i palazzi di quella zona, edifici diroccati che ancora resistevano al propagarsi del Vuoto.
Sorrise quando individuò del movimento al quarto piano, una fugace comparsa di fronte ad una delle finestre.
Quindi si alzò in piedi, portò le mani di fronte a sé e lasciò che il suo corpo mutasse. Due fessure nere gli si aprirono sulla schiena, lasciando che due ali di pipistrello emergessero dalla vuota profondità del suo corpo e si dispiegassero nella semi oscurità del giorno.
Poi si mosse, lentamente, verso le prede che aveva individuato.
Avrebbe potuto muoversi più in fretta ma voleva che notassero la sua presenza, che si sentissero braccati, che provassero paura e terrore.
Un'onda psichica si abbatté sugli umani ad amplificare quel timore ancestrale che nutrivano per i demoni e le altre creature del Vuoto.
Li sentiva disperarsi, percepiva la loro paura: con un rapido movimento delle mani creò una piccola barriera di energia violacea delle dimensioni di un foglio di carta. La lanciò in direzione del terzo piano: mano a mano che si avvicinava all'edificio essa crebbe di dimensioni fino a conficcarsi per intero nella struttura, di fatto isolando i piani dal quarto in su.
Gli uomini erano in trappola, non potevano più scendere.
Un nugolo di proiettili lo investì quando era ormai ad una decina di metri dal palazzo. Nessuna di essi tuttavia lo colpì anzi, bloccandoli a mezz'aria, usò la magia per scaraventarli verso quegli stolti umani che credevano di bloccarlo con munizioni benedette. Qualcuno di loro venne colpito e ululò per il dolore.
E questo lo eccitò oltremodo.
Entrò nell'edificio attraversando il muro come se fosse liquido quindi sorrise divertito per il comitato di benvenuto che trovò ad attenderlo.
Gli umani presero a sparare contro di lui con pistole e fucili cercando di annientare quella creatura del vuoto con armi convenzionali. Tra di loro anche due frati che recitavano preghiere e arcane litanie utilizzate negli esorcismi.
Ma su di lui non sortivano l'effetto sperato, solo una leggera pressione a rallentarne il passo.
Il demone allora divenne fuoco, una creatura di pura fiamma violacea dalla sembianze umane. Le ali svanirono tramutandosi in un nugolo di esseri deformi composti di tenebra e incubo che scagliò contro le sue vittime. Gli umani colpiti presero quindi a divincolarsi per i morsi di quegli esseri, per le orrende visioni di cui cadevano preda, mentre il demone avanzava come una furia tra di loro, seminando morte e distruzione.
Alcuni vennero consumati dalle fiamme, altri incornati dalle sue poderose corna fiammeggianti. Altri ancora annientati dalla sua forza disumana.
E per ogni corpo che cadeva a terra morto, un'anima si tramutava in nutrimento e nuova energia sotto forma di una piccola e lucente sfera biancastra che assimilava nel suo corpo.
Ancora.
Non era sazio, il demone bramava altro nutrimento.
Ancora.
Questo la sua unica ossessione mentre le fiamme che lo costituivano lentamente lasciavano posto alla carne e al suo aspetto simil umano.
Il silenzio regnava nel corridoio mentre, ne era certo, al piano superiore altri uomini sarebbero divenuti suo nutrimento.
Ancora.
Ancora!
“Ancora!” disse riaprendo gli occhi.
La consapevolezza di ritrovarsi nel suo letto, nella sua camera e non in quel corridoio di morte per un poco disorientò Helge.
Un incubo.
Era soltanto un incubo si disse mentre con le mani andava a tastarsi la testa e le braccia.
Non aveva né corna né placche o aculei sulle braccia.
“Cosa significa?”, si chiese mentre tornava a stendersi in attesa di esser pronto ad alzarsi.
“Che cosa significa?”
Ci rimuginò su per un poco. Ma non trovò risposta alla sua domanda.
Infine il sonno tornò a sopraffarlo nuovamente.
Erano circa le nove e trenta ed Helge stava ultimando la propria colazione a base di caffelatte e biscotti. Nella mente e nel corpo ancora le vivide sensazioni dell'incubo che aveva avuto.
Frutto delle sue ansie e di tutte quelle cupe riflessioni con cui si era addormentato?
Una premonizione di ciò che sarebbe potuto diventare?
Oppure una visione che la Luce aveva cercato di fargli vivere, segno che i suoi poteri stavano lentamente tornando?
Helge non sapeva a cosa credere e al contempo non riusciva a scacciare quell'ignobile sensazione che fin dal suo risveglio aveva accompagnato quel suo nuovo giorno.
Aveva annientato degli uomini, certo, e indubbiamente non aveva il diritto di ucciderli, anche se si era pur sempre trattato di un sogno.
In quel momento lui era un essere superiore, benedetto dal sacro fuoco della magia. Forse addirittura un vendicatore che ripagava gli uomini per tutto il male a cui avevano contribuito, per l'odio con cui avevano ingrossato le fila del Vuoto, un'entità che ritornava loro solamente ciò che avevano seminato.
Non poteva saperlo con esattezza.
E tuttavia quel sogno l'aveva scosso per un altro aspetto: gli aveva permesso di vivere un'altra dimensione del potere che aveva e che, forse, gli stava tornando pure nella vita reale.
Aveva avuto la possibilità di giocare a proprio piacimento con i poteri che gli erano stati concessi, di lasciare che la magia fluisse in sé senza inibizioni, senza vincoli o preoccupazioni di sorta.
Un'impagabile sensazione di libertà, di pura e assoluta assenza di limiti e imposizioni che l'avevano fatto sentire vivo come non mai, realizzato.
Un malsano desiderio iniziò quindi a metter radici nel suo cuore.
“In fondo”, si disse, “se la magia davvero mi sta ritornando, perché non tenerla solo per me? Perché non utilizzarla solo per assecondare i miei desideri e le mie necessità? Potrei comunque aiutare il prossimo, ma solo se mi va e in ogni caso aiutando chi davvero lo merita. Oppure potrei punire arbitrariamente i malvagi, i criminali, uomini votati all'oscurità che non percorreranno mai più il cammino della giustizia e della Luce”.
Era un pensiero egoista, un desiderio egocentrico ma non gli riusciva di scacciarlo. Senza alcun vincolo a limitare le sue scelte, avrebbe rischiato di divenire vittima del proprio potere.
Ma al contempo, se considerava che la condanna che viveva sulla pelle gli derivava dall'aver voluto salvare degli innocenti, dall'essersi sacrificato per evitare morti inutili, allora tanto valeva abbracciare il Vuoto!
Se la luce punisce chi salva la vita al prossimo, se chi rinuncia a se stesso per gli altri trasgredendo ai precetti della Luce che impongono l'uso della magia solo per quei frangenti segnalati da visioni preventive è condannato alla sofferenza e alla solitudine, a quale scopo mettere i propri poteri nuovamente al suo servizio?
“Andiamo?”
La voce di Balorg lo distolse dai suoi pensieri: in attesa sull'uscio di casa lo attendeva per andare al centro commerciale.
Circa un quarto d'ora prima, mentre stava preparandosi la colazione, il demone gli aveva rivolto l'invito e lui aveva accettato.
E poi doveva pur fare spese se voleva sopravvivere: Balrog era anche bravo in cucina, ma con la dispensa semi vuota era difficile mangiare a pranzo e a sera.
Tanto più che in questo modo sperava di tenerlo sotto controllo. Aveva il sospetto che gli mentisse e che sapesse della presenza di altri demoni in città. Come di quella che di recente l'aveva attaccato in riva al fiume.
“Andiamo, allora?”
Ormai era sull'uscio e lo osservava con un vago sorriso stampato sul volto, su quel viso perfetto e levigato che tuttavia appariva sfuggente, anonimo, difficile da ricordare. L'effetto dei poteri del vuoto che sui demoni agivano era anche questo, la perdita di umana identità.
Leonardo Colombi
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