Quarto interludio
Due occhi luminosi dalle profonde oscurità delle tenebre mi scrutano glaciali e curiosi.
Mi divincolo mentre una spada di fuoco nero mi penetra la carne lacerandomi il petto.
Urlo a squarcia gola, gli occhi bianchi e volti all'indietro per il lancinante dolore che sento.
La mia mente annientata, il corpo in preda ai tremiti mentre scariche di energia violacea si riversano sul mio corpo.
Il suo mantello candido nonostante il sangue che fuoriesce dal mio corpo e l'oscurità che lentamente vi penetra a compensare il vuoto lasciato dalla mia anima in fuga.
La sua risata crudele nelle orecchie e poi una promessa, atroce, che so per certo sarà mantenuta: “Ti farò cedere, vedrai! Non ha senso la tua fuga!!”
La verità
Non apro nemmeno le porte, le attraverso con tutto me stesso e in un istante mi ritrovo all'interno.
Nella piccola chiesta in pietra il frate e pochi fedeli stanno pregando per le anime dei defunti. Il mio ingresso non ha provocato alcun suono eppure la mia presenza viene percepita dai presenti. Freddo e cupo timore si diffonde mentre mi osservano e, inorriditi, si allontanano da me mentre.
Incredulo ed incapace di comprendere ciò che sta accadendo in questo sogno senza regola alcuna, rimango immobile nel centro dell'edificio. Osservo il frate: Anton mi conosce fin da quando ero piccolo, lui, almeno lui saprà aiutarmi…
“Vattene da qui spirito! Torna nel regno dei morti!” urla perentorio mentre si segna con il simbolo della nostra religione.
I fedeli fanno altrettanto mentre pregano invocando la preghiera del nostro Dio morto in croce per salvarci dalla morte.
Confuso avanzo verso di loro ma poi mi blocco: un dolore lancinante origina dal mio petto. Barcollo e cado in avanti appoggiando le mani a terra prima di sbattere la testa al suolo.
Carponi sul pavimento in pietra, resistendo al dolore che nuovamente torna a scuotermi, cerco di rialzarmi e supplico disperato: “Frate… Anton aiutami…ti prego…” .
Solo questo mi riesce di dire con voce malferma e insicura. Ma l'uomo afferra un piccolo recipiente in rame contenente acqua santa e, avanzando deciso verso di me, cerca di benedirmi con il suo contenuto.
“Riposa in pace, Bereg! Torna nel regno dei morti!”
A quelle parole il mio cuore sussulta e i miei occhi si dilatano.
Il dolore nel petto si fa più forte, insopportabile…
“Ma cos..”
E mentre mi sento svanire, sempre più debole, porto una mano al petto ed osservo la voragine che mi devasta il corpo.
La paura si impadronisce di me mentre ad un tratto ogni cosa si fa chiara: la verità diviene palese e ad un tratto ricordo tutto.
Ricordo la battaglia e la furia del combattimento.
Ricordo il sole del tramonto mentre i nemici cadevano ai miei piedi.
E le urla disumane dei miei compagni, stroncati dalla forza di un possente cavaliere nero alto quasi due metri con un elmo a forma di teschio a coprirne il volto.
L'armatura completamente nera e la sicurezza dei movimenti lo identificavano come un avversario al di là della loro portata.
Mi ricordo di essermi lanciato su di lui urlando e di averlo attaccato per distrarlo e al contempo aiutare i miei compagni.
Non potevo fare altrimenti, li avrei salvati a tutti i costi.
Uno scambio di colpi e di parate avevano permesso ad entrambi di capire che il combattimento non sarebbe stato affatto facile e breve. Uno di noi o forse entrambi avremmo di certo perduto la vita
Era un combattente di prim'ordine e trovare un'apertura nelle sue difese si rivelò da subito un'ardua impresa.
Riuscii comunque a colpirlo in più di un'occasione e questo mi diede coraggio e stoltamente mi riempii di pericolosa ed arrogante sicurezza. Lui mi ferì di striscio al braccio sinistro mentre io lacerai la carne della sua coscia destra proprio nella parte in cui l'armatura lo lasciava scoperto per qualche centimetro tra la vita ed il ginocchio. Urlando piegò la gamba a terra e io approfittai dell'occasione per ruotare su me stesso e tentare di decapitarlo.
Una mossa avventata che mi costò la vita.
Al termine della rotazione la sua spada si conficcò nel mio torace trapassandomi. Mi bloccai all'istante mentre il sangue già saliva in gola, poi iniziò a scendere copiosamente dalla profonda ferita nel petto. Rimasi immobile, incapace di reagire. Ben presto le forze vennero meno.
Il corpo percorso da tremiti, incapace di coordinazione mentre la paura giungeva a farsi strada nel mio cuore…stavo per morire…ne ero conscio…
La spada mi cadde di mano.
Nel clangore della battaglia, nonostante i suoni mi giungessero ormai come ovattati e distanti, sentii i miei compagni urlare di rabbia e disperazione e successivamente l'avanzata dell'orda nemica li allontanò da me.
Il cavaliere nero strappò la spada dal mio petto lasciandomi cadere in ginocchio e fu proprio in quell'istante che venni condannato eternamente.
Lui si alzò per finirmi, una morte degna sul campo di battaglia per mano di un nemico a me superiore.
Ma così non avvenne: un cavallo completamente nero con bardature in metallo e argento gli si affiancò.
Sopra di esso una figura avvolta in un manto candido gli ordinò qualcosa e poi la mia coscienza si perse nell'oblio mentre cadevo a terra privo di sensi.
E poi il buio ed un sogno irreale che ora, soltanto ora, comprendo esser stato soltanto il viaggio della mia anima alla disperata ricerca di un rifugio, di un appiglio e di qualcuno che potesse salvarmi dalla condanna a cui ero destinato.
La morte era venuta a prendermi ma l'essere dal manto bianco, Morazor in persona, aveva in serbo altri progetti per me, il miglior guerriero dell'esercito di Kalas.
Leonardo Colombi