A caccia - Capitolo 04

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-= 10 dicembre 2009 – ore 10:30 =-

 

I tre giunsero a Locskville circa a metà della mattinata. Ci avevano impiegato più del previsto per via delle strade dissestate e ormai distrutte a causa dei bombardamenti, il futile e irrazionale tentativo dei militari di porre fine alla vita di quelle immonde creature con la violenza. Tanto più che non potevano permettersi manovre azzardate e danneggiare uno dei pochi veicoli funzionanti che ancora avevano a disposizione, una jeep malandata ereditata dei militari che tuttavia si muoveva agile sulle strade di quel mondo alla deriva.

Entrarono nella città deserta e parcheggiarono la jeep verdognola in una piccola piazza. Blocchi di cemento e parti di edifici crollati ostruivano la via per cui dovettero abbandonare il veicolo e proseguire a piedi.

La città appariva spettrale, drammaticamente vuota, con cadaveri in decomposizione qua e là, e poi giornali, rifiuti, cibo avariato, borsette contenti i pochi beni che quegli uomini avevano cercato di salvare dalla catastrofe. Non c'era suono alcuno, né indizi che potessero indicare se qualche superstite ancora viveva, uomini e donne miracolosamente scampate alla contaminazione prima, al bombardamento e ai vampiri poi.

Ma in quel silenzio desolato gli uomini sapevano che poteva celarsi di tutto: potevano esserci nemici in agguato, pronti ad attaccarli non appena le nubi di polveri avessero iniziato ad oscurare il cielo anticipando l'oscurità della notte.

Gli uomini spaziarono lo sguardo tutt'attorno e poi scesero dal veicolo. Era vana la speranza di scorgere qualche superstite come loro.

Avevano il volto coperto alla meno peggio, con una kefia o con mascherine traspiranti sulla bocca e visiere sugli occhi. Il corpo totalmente protetto da indumenti e protezioni contro eventuali pericoli che le loro perlustrazioni potevano presentare. Scontri con i vampiri compresi.

Avevano anche delle pistole e dei paletti di legno: qualora avessero incontrato qualche non morto dormiente loro il compito di stroncarlo per sempre.

Che fossero uomini o donne, vecchi o bambini, sconosciuti, amici o familiari non importava.

Quei mostri non meritavano nulla se non la morte eterna.

 

Osservando la desolazione di quella cittadina diroccata e deserta, Kanzad cercava di elaborare un piano su come meglio procedere.

“Mostri maledetti”, affermò Uzad “è tutta colpa loro…questo schifo...questa vita…”

“Però non sono stati certamente loro a bombardare la zona, non credi?” fu la razionale osservazione di Shiruk all'affermazione del compagno.

“Cosa vorresti dire? Che non avrebbero dovuto fare nulla? Che non era giusto mandare a morte quei mostri schifosi?”

“Non intendevo dire questo…”

“E cosa allora? Io li ho visti, li ho visti sai…non farti ingannare dal loro aspetto: sembrano umani ma non lo sono di certo! Ogni calamità, ogni atrocità compiuta su di loro è il minimo che possano meritare...loro…non sono più umani…sono degli abomini senz'anima…”

“Per di qua“, l'ordine di Kanzad. Un poco più avanti rispetto a loro si era fatto un'idea della zona, ora li esortava a seguirlo.

“Se proseguiamo in questa direzione dovremmo giungere al municipio e alle scuole. Lì vicino dovrebbe esserci anche un supermercato e quindi dovremmo trovare delle provviste”.

I due lo ascoltarono attenti e poi annuirono: dopotutto Kanzad conosceva la zona.

Procedendo in fila indiana i tre giunsero in vista del supermercato a cui si riferiva il leader della spedizione. L'edificio versava in condizioni pessime e una parte di esso ormai era crollata. Tuttavia, al suo interno, gli uomini contavano di recuperare almeno qualche scatola di cibo, legumi e carne per lo più, ma anche biscotti e dolciumi, qualche bibita, taniche di acqua e qualche bottiglia di alcol. E poi indumenti, detersivi, qualsiasi cosa potesse aiutarli a sopravvivere e a ricostruire una vita per tutti loro.

Dopo un giro di perlustrazione, dopo aver controllato che non ci fosse alcun pericolo né di crollo né di mostri appostati nella semi oscurità del negozio, i tre diedero il via al saccheggio.

Per un paio di ore si mossero avanti e indietro dal supermercato alla jeep caricandola con ogni cosa che riuscivano a trovare e che ritenevano utile alla causa. Si fermarono a mezzogiorno per ristorarsi un poco: qualche scatoletta di tonno, dei crackers e qualche birra, un pranzo semplice ed irregolare in un mondo che ormai sembrava impazzito.

Parlarono poco, ognuno di loro chiuso nei propri pensieri.

Non era facile accettare il pensiero di un mondo ormai spento, fermo.

Immobile.

 

 

 

 

Leonardo Colombi

 

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