Giustizia
e Pace
Adolfo Pérez
Esquivel, premio nobel per la pace 1980
Intervista
di Paolo Emilio Landi
Esquivel è passato a Roma per
deporre nel processo contro i militari argentini, reponsabili del golpe
del 1976 e della morte di migliaia di cittadini e di stranieri. Il 6 dicembre
2000 il tribunale italiano ha condannato all'ergastolo i generali
Carlos Suarez Mason e Santiago Omar Riveros, i comandanti delle zone militari
1 e 4, per l'omicidio di cinque cittadini italo-argentini e il sequestro
di un bambino, Guido di cui non si è saputo più nulla. Ventiquattro
anni di condanna ad altri cinque militari per la morte e la scomparsa di
un altro cittadino italiano. Il 24 marzo 1976 i generali Videla, Agosti
e Massera presero il potere. L' Argentina fu divisa in cinque zone, ognuna
comandata da un "signore della vita e della morte" e coautore del "processo
di riorganizzazione nazionale": ogni giovane simpatizzante della sinistra
veniva sequestrato, torturato con scosse elettriche in uno dei 350 campi
di prigionia, poi trasferito, cioè ucciso, "con i voli della morte"
oppure asado, "bruciato in mezzo ai copertoni". Così, per
otto anni, nel silenzio generale.
E’ certo che la sentenza non
potrà venir eseguita ciononostante il valore simbolico è
alto. Per i crimini contro l’umanità non esiste impunità,
o indulto. L'intervista è stata fatta prima della sentenza.
Io sono una delle vittime di questa repressione, del carcere, delle
torture, dei voli della morte e, logicamente, poiché esiste l’impunità
giuridica nei nostri paesi, ci rivolgiamo a quei paesi che hanno cittadini
scomparsi o assassinati. E pensiamo che ogni stato è
responsabile verso i suoi cittadini, persino verso quelli che vivono oltreoceano.
In questo caso concreto vengo come testimone per spiegare la mia esperienza
come anche le ragioni per cui si è costituito il terrorismo di stato
in tutta l’America Latina.
Noi pensiamo che tutto questo processo è in relazione alla cosiddetta
“dottrina della sicurezza nazionale”, instaurata negli Stati Uniti per
tutta l’America Latina.
Più di 80.000 militari latino americani sono stati addestrati
nelle scuole delle Americhe di Panama e nelle Accademie militari degli
Stati Uniti. Era il concetto del capitalismo, associato a alla civilizzazione
occidentale e cristiana. Io dico che avrà molto di occidentale ma
niente di cristiano, perché un cristiano non può commettere
quelle atrocità.
L’altra polarizzazione era l’Unione Sovietica, i socialisti e tutti
quelli che si opponevano a questa concezione del capitalismo. C’è
un ordinamento della società e l’uso della religione per la sua
azione psico-sociale sui popoli.
I popoli sono naturalmente religiosi, vivono la fede in Dio, e per
questo si è utilizzata, si è manipolata la religione, svuotandola
dei contenuti. E’ stato quindi un meccanismo di giustificazione
per tutte le atrocità contro la nostra gente.
Nella sua vita la fede cristiana è stata molto importante,
è andata insieme alla sua lotta per la giustizia.
Beh, sì. Io non mi sono messo in tutto questo per una militanza
politica ma per un obbligo verso la mia fede. Tutti dobbiamo seguire
il cammino di Gesù, prendere la nostra croce e le nostre speranze
e lavorare per l’amore, insieme ai nostri fratelli e alle nostre sorelle
in tutta l’America Latina ed in qualsiasi parte del mondo. Ma noi consideriamo
questo, ed io lo considero, come una responsabilità personale di
vivere il Vangelo per arrivare a riconoscere in mio fratello ed in mia
sorella il volto di Nostro Signore. Questa è la motivazione
che mi spinge ad un impegno personale.
Non posso vivere una religiosità, una fede distaccata dalla
realtà di un popolo.
Lei nell’80 ha vinto il Premio Nobel. Cos’è cambiato poi nella
sua vita?
Io continuo a fare lo stesso lavoro di prima del Premio Nobel. Semplicemente
il Premio Nobel ha aperto nuovi orizzonti, le nostri voci sono state più
ascoltate nei Fori Internazionali, nella società. Quando mi
hanno consegnato il Premio Nobel, pochi giorni fa si sono compiuti 20 anni,
la prima cosa che ho detto quando me l’hanno dato è stata che lo
ricevevo a nome dei popoli dell’America Latina, dei religiosi, delle diverse
denominazioni delle chiese cattoliche, protestanti, degli ebrei che vivono
la fede insieme alla gente contadina, indigena. Cioè ho accettato
il Premio Nobel a nome del popolo dell’America Latina e cerco di essere
coerente con questo. Infatti pochi giorni fa sono stato a New York
con il grido degli esclusi, dei poveri, degli emarginati, dei tanti bambini
abbandonati per i quali lavoriamo tutti i giorni, i cosiddetti “bambini
della strada” e le bambine, e cerchiamo di dargli una speranza di vita.
Perciò è da lì che continuiamo il lavoro ed il
Premio Nobel è uno strumento al servizio dei popoli.
Chi sono gli esclusi di oggi?
Questo sistema in cui viviamo negli ultimi anni è fondamentalmente
“escludente” verso i due terzi dell’umanità. La fame uccide
più della guerra ed io la chiamo la morte silenziosa. E’ una bomba
silenziosa. Come anche la povertà, l’aumento della povertà,
in un mondo che ha molta ricchezza che non viene distribuita. C’è
un’ambizione per il potere, per la ricchezza e questo non è il mandato
di Dio.
Dio ci ha messi qui per poter vivere, generare e costruire il Suo Regno.
Ed io credo che il Natale ci chiama a questo impegno. Anche Gesù
fu un escluso. Fu perseguitato fin da bambino, non solamente da Erode ma
per tutta la situazione della sua vita: quando comincia a predicare quello
che il Padre gli comanda è perseguitato, è escluso, è
torturato, è condannato a morte.
Oggi sta succedendo la stessa cosa con i popoli ed inoltre il messaggio
di Gesù parla del fatto che per molti la morte, la croce è
un segno di tortura dell’epoca romana, ma per i cristiani è la liberazione.
C’è in tutto il messaggio di Gesù un senso della vita, della
speranza, della possibilità di costruire il Regno di Dio e la Sua
giustizia.
Io credo che questo dia pace, questa pace profonda che deve nascere
nel cuore di ognuno. Io penso che se noi non abbiamo la pace nel nostro
cuore, non abbiamo nulla da offrire. Non possiamo offrire ciò che
non abbiamo. Quindi abbiamo bisogno della fede, dell’amore perché
in tutto questo il fulcro fondamentale è l’amore. Duemila anni fa
Gesù venne nel mondo, in questo Natale che celebriamo, per
mezzo dell’amore non dell’odio, non della guerra bensì della vita.
Ed è questa vita che noi dobbiamo costruire. Per questo stiamo qui.
Uno dei punti fondamentali sui quali stiamo lavorando è questo
tremendo debito esterno, che noi chiamiamo debito “eterno”. E’ la globalizzazione
della dominazione. La globalizzazione ci sta portando ad un pensiero unico.
Questo pensiero unico è di imporci una cultura consumistica e svuotata
dei contenuti. Una dominazione culturale, una dominazione economica dove
non c’è posto per i due terzi della popolazione mondiale.
Gli esclusi non sono solo colore che muoiono di fame, i quali con la
promessa del futuro vengono uccisi nel presente. Ci sono questi milioni
di bambini, di anziani che non hanno possibilità di una vita degna.
Ma anche dei giovani, dei giovani che se non sono inseriti nel sistema
di questa globalizzazione rimangono direttamente fuori, non sono “riciclabili”.
E noi dobbiamo costruire un pensiero proprio. Il pensiero proprio
è il pensiero delle radici culturali e della spiritualità.
Non possiamo vivere senza spiritualità, non siamo materia unicamente.
Siamo spirito e materia e dobbiamo cercare di vedere come sviluppare la
cultura della solidarietà.
La globalizzazione è caratterizzata dall’individualismo e non
da una cultura della solidarietà. E’ molto contraddittorio. Che
globalizziamo?
E’ stata globalizzata la dominazione ma non è stata globalizzata
la solidarietà.
Credo che quando si vede la situazione dei popoli indigeni, quello
che sta accadendo in Africa con le morti nei conflitti, quello che succede
nel Medio Oriente, proprio lì nella terra di Gesù, in Gerusalemme,
a Nazareth, in tutta la regione dei popoli abramici, è tutto veramente
doloroso questo che siamo arrivati al 2000 in questa condizione senza trovare
la pace con gli scontri e le provocazioni delle grandi potenze che generano
le guerre, i conflitti, come è il caso del Piano Colombia o i conflitti
che ci sono in diverse regioni del mondo.
Credo che attraverso il pensiero proprio potremo generare un certo
spazio.
Dio ha dato a tutti noi qualcosa di molto bello che è la libertà.
Senza libertà noi non abbiamo la capacità di amare ed
è per mezzo della libertà e dell’amore che possiamo costruire.
Ed io credo che sia questa la grande sfida e la chiamata del messaggio
di Gesù a Natale. Lui quando è venuto e si è incarnato
nel mondo lo ha fatto attraverso la libertà e l’amore. Lui
opta per la vita ed anche noi dobbiamo optare: dove siamo? O stiamo
con il potere dei farisei, di coloro che lo condannano a morte, o stiamo
dalla parte di Gesù per poter generare l’amore, la pace, la costruzione
nei fatti concreti, perché questo non possiamo vederlo nell’astratto,
lo dobbiamo vedere nella vita quotidiana, nella nostra famiglia, nel nostro
lavoro, nella società, nell’economia, nella politica, nelle relazioni
tra i popoli. E questa è la grande sfida perché è
la costruzione del Regno.
E’ un Regno di giustizia ed è un regno di pace.
L'intervista
è andata in onda su Raidue - Protestantesimo nel dicembre
2000
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