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Maria Grazia Tundo Saggi e scritture |
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di O. Wilde SCRITTURE RECENSIONI Fiction, Fact, in Flux. Marisa Bulgheroni, Apprendista del sogno
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Le voci dell'in-concepibile nel sogno di una scrittura. Frankenstein di Mary W. Shelley A. Ponzio, M. Tundo, E. Paulicelli, Lo spreco dei significanti. L'eros, la morte, la scrittura, Bari, Adriatica, 1983, pp. 121-195.
II, LO SPAZIO DEL « DEPLACEMENT » Il testo letterario che qui ci accingiamo a percorrere è Frankenstein or, the Modern Prometheus (1818) di Mary W. Shelley (1797-1851), sentire rappreso, messa in scena di una miriade di suggestioni, uno strano, "perturbante" romanzo, proteiforme e non proprio concentrico, eccentrico forse; scatola cinese che non si racchiude mai, struttura sdrucita a tratti, rigorosa solo in apparenza, sintomi di un malessere che non può essere irretito in equilibri formali, che esplode malgrado le reti lì pronte a tendersi per imbrigliarlo, malessere "eccessivo" che dirompe nel placido scorrere di parole; parole a volte troppo accavallate che aprono immensi vortici di silenzio, di quel silenzio che è orrore, che è seduzione di entropia, di riposo, di indistinto. Seguiremo i suoi percorsi, i suoi volti, i personaggi mutevoli e strani, i martellanti rintocchi di quell’orrore che è detto e negato, che rompe alla fine ogni argine, vortice di insania e verità, di una Legge infranta, di un Padre ucciso, di un’origine insensata, impossibile, di un niente che affascina, di un amore che sfugge. E c’è il mostro che appare, mostro che ossessiona, che perseguita, che rompe ogni legge, corpo eccessivo che non si inscrive nella legge dell’analogia, del simile, poiché guardarsi in lui è non riconoscersi. Non è specchio fedele che ci rispecchia, semmai capovolti. E' specchio distorto, corpo in pezzi sommariamente ricucito, corpo desiderante che ha acceso al godimento solo tramite la trasgressione. Diverso irriducibile condannato dal tirannico sguardo che chiede armonia di similitudine, che vuole riconoscersi in un altro che gratifichi i propri sorrisi. "Romanzo nero" che «inconsapevolmente esplora il continente nero della femminilità» (1), il testo sonda desideri e pulsioni rimosse, mette in dubbio ogni acquisito concetto di realtà ampliando gli ambiti della rappresentazione, aprendo limiti e scarti, confrontandosi con 1’abiezione, polo di richiamo e di repulsione, minaccia che «pare venga da un fuori o un dentro esorbitante, gettato al lato del possibile, del tollerabile, del pensabile». (2) Dove si potrebbe situare questa strana opera narrativa che contraddice nel suo fluire le regole del buon senso e del "realismo"? In un ambito di difficile definizione che in ogni caso apre delle crepe, provoca delle smagliature rispetto al tipo di rappresentazione caratterizzante una narrativa "monologica" e ricompositiva. Non esitiamo a porlo nella scia di quei romanzi "polifonici" di cui parla Bachtin, in cui è impossibile ricondurre ad una unità di intenti (di voci) la struttura ambigua e plurivoca, sempre incompiuta, in cui «il dialogo penetra all’interno, in ogni parola del romanzo rendendolo a due voci » (3). Qui si assiste ad un continuo accostamento, mutuato dalla tradizione carnevalesca, di termini solitamente antitetici quali l’alto e il basso, il sublime e l’abietto, qui il linguaggio si sente spinto verso il "doppio" da una logica di opposizione che viene a sostituirsi a quella dell’identità. Il testo a cui ci accosteremo fa inoltre certamente parte di quella "letteratura fantastica" di cui Tzvetan Todorov ci ha offerto una precisa tassonomia (4). Egli, analizzando strutturalmente testi legati a questo tipo di letteratura, definisce il "fantastico" come ciò che crea un momento di esitazione, di incertezza e disorientamento all’interno di quelle che sono le leggi della ragione, del mondo familiare del lettore . Si presenta, infatti, come una rottura all’interno di un sistema di regole preordinate, come una messa in discussione di quella che da sempre viene considerata la irriducibile opposizione tra reale e irreale, giocandosi invece sull’ambiguità della percezione. E' questo riuscire a disorientare i nostri canoni di interpretazione del reale, questo momento di dubbio che incrina la sicurezza sulla percezione del mondo che noi abbiamo, a rendere le opere che questa pratica significante condividono interessanti ed inquietanti: l’inaspettato, il deforme, l’anormale entrano nella narrazione sovvertendo regole e certezze, ribellandosi ad ogni autorità o legge sociale. Eric Rabkin, a sua volta, definisce il "fantastico" come
Nelle opere letterarie che a questo "genere discorsuale" (6) si richiamano si opera uno sconvolgimento dei canoni di quella narrativa, basata su criteri di verosimiglianza e naturalismo, che offre una visione del mondo chiusa e monolitica. Al contrario, la narrazione fantastica attua una relativizzazione nella rappresentazione della realtà aprendosi ad una molteplicità di voci che male si inquadrano in un progetto unitario e sistematico. La particolare rappresentazione del mondo visto come spazio minaccioso, poco rassicurante, ostile e disarmonico, l’incompiutezza e dissonanza che spesso la struttura narrativa presenta, l’impossibilità di inquadrare in un senso fisso e sicuro l’intera organizzazione del testo, fa sì che questo tipo di narrazione stravolga e renda inconsistenti le tradizionali unità di tempo, spazio e personaggio, ponendosi anzi come grottesca parodia di ogni forma di "coerenza". Le immagini ricorrenti di corpi disgregati, di identità divise, le figure del "doppio", sono espressione di soggetti in processo, decentrati, che suggeriscono possibilità innumerevoli di altre storie, di altri corpi, di altri "io"(7). La letteratura fantastica lascia intravedere ciò che l’ordine simbolico rimuove donde 1’effetto inquietante che suscita.
Ci troviamo dunque di fronte ad una letteratura del "perturbante" (Unheimliche). Lo studio di Sigmund Freud su Das Unheimliche ci sembra interessante per cercare di sondare quella sfera nascosta in cui si ingenera l’angoscia e l’orrore di fronte a qualcosa di "inusitato", dal momento che anche il testo che interpreteremo gioca con la paura. Ciò che colpisce nel termine unheimlich è l’ambivalenza di questa parola: da essere il contrario di heimlich nel senso di "familiare", "fidato", "intimo", diviene molto simile al secondo livello di significato che alla parola heimlich appartiene, cioè "ciò che è nascosto", "tenuto celato", "segreto", "impenetrabile alla ricerca". Allora unheimlich, a cui appartiene il senso di "non familiare", "estraneo", "poco rassicurante", diviene tutto ciò che sarebbe dovuto rimanere nascosto, celato, e che invece è affiorato. Di conseguenza das Unheimliche è ciò che scopre, che rivela spazi che usualmente rimangono nascosti. L’effetto "inquietante" della narrativa fantastica è forse proprio dovuto al suo esprimere, mostrare ciò che usualmente soggiace a rimozione, che è negato, al suo aprire zone di desiderio e oscurità che si è restii a sondare. E una letteratura dell’Altro, in cui ciò che si espelle da sé, ciò che non si vuole riconoscere, riappare assumendo forme inquietanti, "strane", conducendoci all’esperienza dei "limiti".
Ecco allora l’accostarsi di questa letteratura a ciò che da sempre soggiace a "tabù", a ciò che è espulso con orrore dall’ordine sociale, a ciò che è proibito perché fortissimamente si desidera, a ciò che disgusta eppure attrae con intensità. L’ambivalenza diviene allora componente imprescindibile, prioritaria, strutturale del testo perché è soprattutto questo conflitto insanabile tra la repulsione introiettata e l’anarchia del desiderio che viene rappresentato. II "fantastico" «takes us through the labyrinthine corridors of repression, gives us glimpses of the skeleton of dead desires and makes them move again » (10). Ben diversa ci appare la narrazione fantastica della fiaba. Quest’ultima è infatti uno strumento fortemente didattico e pedagogico in cui l’ordine viene alla fine sempre ricostruito. Nella fiaba gli eventi vengono situati in un passato assoluto e raccontati da un narratore impersonale ed autorevole che garantisce il senso del racconto. Non c’è alcuna ambivalenza nei personaggi, dato che il buono ed il cattivo sono tenuti rigidamente separati ed in genere, una volta neutralizzato il "malvagio", la stabilità viene ricostituita in questo universo compensatorio e meraviglioso che garantisce sicurezza (11). La narrazione fantastica gioca, al contrario, con l’ambiguità. L’immaginario ed il reale cessano di essere distanziati, percepiti separatamente, ma interferiscono l’uno con l’altro mostrando l’arbitrarietà delle nozioni di "limite" e "discriminazione". Bene e male si fondono e confondono. C’è sospensione di giudizio, perplessità, impossibilita di asserire. L’incertezza, l’indeterminato, vorticano spaventosamente. E' tutto un gioco di doppi, di simmetrie, di reiterazioni, basato sulla confusione dei contrari (odio e amore, reale e immaginario), il che conduce ad una decostruzione del quotidiano, ad una vasta negazione:
Si presenta dunque come 1’irruzione del "non- tetico", dell’immaginario e del suo indicibile desiderio, all’interno del tetico, dell’ordine simbolico, minacciandone la distruzione (13). Nel suo studio su Le recit fantastique, Irene Bessière sottolinea l’incongruità di una lettura dei testi "fantastici" volta a restituire loro una logica, un senso pieno e ricompositivo: 1’effetto inquietante suscitato da tali opere è strettamente connesso all’impossibilita di una risoluzione del conflitto da esse espresso. Rinviano ad un "vuoto di senso" in quanto si presentano come significanti privi di un significato già dato sul piano connotativo costruendosi sull’estrema incertezza dei segni. Si tratta di narrazioni giocate sul paradosso che escludono ogni unità di significazione nel loro mettere in scena la continua coesistenza dei contrari. Ciò che spaventa il lettore del recit fantastique è proprio la manque de sens, infatti «loin de poursuivre aucune vérité [...] il tient sa consistence de sa propre fausseté» (14). Allora la mancanza di senso diviene "l’impossibilità" del senso:
Abbiamo visto come l’orrore, l’angoscia creata dalla narrazione fantastica poggi sull’antinomia come dato strutturale e organizzante dell’opera. Reale e irreale si confondono, cessano di essere circoscritti e razionalizzabili e la convivenza dei contrari ad uno stesso livello di discorso, la loro contemporaneità, crea sgomento; se vita e morte si sfumano l’una nell’altra confondendo tempi e spazi, cosa più offre garanzie di ordine e stabilità? L’irruzione della morte nella vita è apportatrice di disordine estremo poiché mina il tempo produttivo del lavoro, dell’organizzazione finalizzata dell’esistenza. Il tempo del produrre e un tempo necessariamente lineare, basandosi sull’accumulo e sul "progresso", su uno sviluppo mirante ad un telos. La morte è invece il non-tempo: stasi, confusione, riposo, inutilità, negazione di senso, disordine, mescolanza, dissolvimento dell’individualità, eccesso. In questo eccesso desiderio e morte si incontrano sconvolgendo 1’ordine regolare sancito dall’organizzazione sociale (16). La narrazione fantastica che mette in scena questa con-fusione di morte e desiderio si presenta dunque come un genere che mostra i limiti dell’ordine culturale senza offrire soluzioni o salvezze. Poggia su una negatività che si pone come percezione dell’impossibile raggiungimento, che sperimenta la mancanza; e tensione parossistica alla totalità e parodica, grottesca, drammatizzazione del fallimento di questa tensione. In conclusione, ci sembra che il racconto fantastico sia un discorso privilegiato all’interno di ogni riflessione sulla letteratura, in quanto, come in una lente d’ingrandimento, mostra lo spazio della parola letteraria che nasce sempre da una "menzogna", che è finzione (fiction), anche quando si definisce "mimetica" poiché si pone pur sempre nello scarto tra il reale e la sua "imitazione". Questo scarto è irriducibile, eppure essenziale nella nostra percezione del reale che solo con le "finzioni" del nostro pensarlo possiamo inserire in sistemi interpretativi e cercare di conoscere. Compito della narrativa è allora esasperare, raffinare, rendere paradossale la rappresentazione del reale, lasciare intravedere le infinite possibilità che il nostro vivere quotidiano soffoca, compito che la narrativa fantastica espleta in maniera particolarmente efficace.
II. LO SPAZIO DEL " DEPLACEMENT "
© Maria Grazia Tundo 2000
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