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MAPPA della PAGINA: La formazione del SISTEMA SOLARE... Agg. 20.09.2004



Immanuel KantLa teoria ormai accettata circa l'origine e l'evoluzione del Sistema Solare è sostanzialmentePierre-Simon, marqués de Laplace (come idea di partenza) quella di Kant (1755) e Laplace (1796): una nube di gas e polveri che, sotto l'azione della gravità, tende a condensarsi. E’ importante sottolineare il duplice aspetto della teoria che deve spiegare la nascita del Sistema Solare: da una parte vi è un problema astrofisico (correlato alla formazione della stella Sole, da risolvere alla luce delle teorie e dei modelli stellari) e dall'altra parte un problema planetologico (da risolvere alla luce dello studio dei meteoriti, delle superfici e degli interni dei pianeti). E' significativo anche porre in evidenza due difficoltà di fondo, vale a dire il fatto di avere a disposizione solamente il nostro Sistema Solare quale fonte di informazioni ed il fatto che ci è quasi del tutto sconosciuto il suo stato iniziale. Queste due difficoltà ci pongono in una situazione profondamente diversa e più complicata di quella che si incontra nell'analisi dell'evoluzione stellare. Lo studio dell'evoluzione stellare ha la possibilità di guardare sia nel passato sia nel futuro: si possono, cioè, osservare stelle in diverse fasi della loro evoluzione ed in tal modo verificare le ipotesi formulate. Nel caso dell'analisi dell'evoluzione planetaria, invece, si ha a disposizione soltanto il nostro sistema planetario, ed in esso, inoltre, è possibile individuare pochi relitti delle epoche passate. Ma vi sono anche due importanti evidenze relative all'origine comune del Sole e dei pianeti:

1) il Sistema Solare è sostanzialmente isolato, dato che la distanza della stella più vicina è maggiore di un fattore 5x104 rispetto alle dimensioni della zona planetaria.

2) la maggioranza dei corpi maggiori che compongono il Sistema Solare ha orbite che giacciono su un piano comune e le percorre nello stesso senso.

Nella tabella che segue sono riportati i valori dell’inclinazione delle orbite planetarie rispetto al piano dell'eclittica, che, per definizione, è il piano su cui giace l'orbita della Terra:

Pianeta
Inclinazione
Pianeta
Inclinazione
Mercurio
7º 00’
2º 29’
Venere
3º 24’
Urano
0º 46’
1º 51’
Nettuno
1º 47’
Giove
1º 18
Plutone
17º 08’

Dalle considerazioni fatte, appare evidente il fatto che la genesi di un sistema planetario e la sua evoluzione dipendano in modo sostanziale dalle fasi evolutive della stella ad esso associato. Un dato ormai condiviso da tutti è che il processo di formazione stellare avvenga all'interno delle nubi molecolari giganti (prevalentemente composte da H2 per decine di migliaia o anche milioni di masse solari a temperature di pochi gradi Kelvin): le parti più dense di queste strutture si suddividono in nubi più ridotte, di massa compresa tra 0.01 e 100 masse solari, che cominciano a contrarsi per autogravitazione. Non è ancora stato identificato con certezza, a questo proposito, il meccanismo che rompe il sostanziale equilibrio della nube e innesca il processo di collasso, anche se è ormai unanimemente accettata l'ipotesi di Lin delle "onde di densità" associate alla struttura a spirale della Galassia ed è riconosciuto il ruolo determinante delle esplosioni di supernova. In ogni caso, con il sopravvento della gravità (fisicamente garantito solo se la massa coinvolta supera il valore critico dato dalla massa di Jeans), la materia "cade" verso il centro della nube in un tempo dell'ordine di 105 anni. Si origina così una protostella: un corpo dotato di luminosità decine di volte superiore a quella solare, la cui presenza può, però, essere rilevata solamente da osservazioni IR. La radiazione emessa, infatti, viene rapidamente assorbita dall'involucro di polveri che ancora circonda la protostella e riemessa nella zona IR dello spettro. Stando ad un "recente" lavoro di Mannings ed Emerson (1994), le osservazioni nel dominio millimetrico, oltre che rivelarci stelle nelle fasi iniziali, potrebbero anche darci la prova dell'esistenza di strutture a disco attorno a queste protostelle, possibili sedi del meccanismo di formazione di un sistema planetario. Associata alla fase di protostella, infatti, se la materia in caduta è dotata di un moto di rotazione vi è la formazione di un disco nel quale gli attriti facilitano lo smaltimento del momento angolare in eccesso e si attiva un processo di aggregazione tra le polveri. Alcuni attribuiscono proprio all'interazione tra un disco di accrescimento ed il campo magnetico di una protostella tutti i fenomeni tipicamente collegati alle T-Tauri, fenomeni che precedenti teorie non erano riusciti a spiegare in modo completo. Il primo riscontro osservativo della teoria del disco di polvere attorno ad una stella quale primo passo di una possibile formazione planetaria è la scoperta (nel 1984) del disco di polvere attorno a b-Pictoris, stella di sequenza principale distante da noi circa 50 anni luce. Il disco si estende per oltre 200 U.A. dalla stella centrale e le sue parti più interne contengono poca polvere, che, probabilmente, si è già aggregata sotto forma di pianeti. La più recente evidenza osservativa della presenza di un disco di polvere attorno ad una stella si è avuta per HL Tauri ed il diametro della struttura è stato stimato in circa 150 U.A. La stella centrale dovrebbe avere un'età di circa 300 mila anni ed una massa di 0,7 MSol : i ricercatori responsabili della scoperta suggeriscono che il disco di HL Tauri sia un ottimo esempio di ciò che fu il nostro Sistema Solare in formazione. Attualmente, comunque, la presenza di dischi protoplanetari attorno a giovani stelle è ormai un dato di fatto, confermato da diverse osservazioni tra cui, ad esempio, quattro giovani stelle della Nebulosa di Orione. Il processo di formazione di un disco sfocerebbe gradualmente nella formazione di varie masse sferiche (planetesimali): si ipotizza che per giungere a formare oggetti con dimensioni dell'ordine di 1 km sia necessario un tempo di circa 104 anni. Il gradiente termico giocherebbe in questa fase un ruolo importantissimo concentrando nei corpi più prossimi alla stella i materiali con densità più elevata e relegando in quelli più lontani i materiali volatili. Il passo successivo può essere identificato con alcuni dei fenomeni osservati nelle stelle di tipo T-Tauri: per cause ancora ignote si arresta l'accrescimento di materia sulla protostella e si sviluppa un potente "vento stellare" (con velocità dell'ordine di alcune centinaia di km/sec e portata di miliardi di tonnellate/sec) in grado di spazzare le polveri residue della nebulosa iniziale. L'origine di questo vento stellare è probabilmente da ricercarsi nella accensione del deuterio: si attivano, cioè, le reazioni nucleari tipiche delle stelle. Si devono associare a questa fase dell'evoluzione stellare anche gli oggetti di Herbig-Haro, caratterizzati dall'emissione di intensi getti di gas dalle regioni polari, e le stelle di tipo FU-Orionis, che presentano in modo molto più accentuato i violenti fenomeni eruttivi tipici delle stelle T-Tauri.

Formazione di un sistema planetario nella nebulosa di Orione.

Formazione di un sistema planetario nella nebulosa di Orione

Lo scenario finale, dunque, è quello di una stella all'inizio della sua evoluzione (fase zero del diagramma H-R o, se si preferisce, stadio finale dell'evoluzione di pre-sequenza principale) attorno alla quale gravitano dei corpi celesti di dimensioni diverse: tra questi planetesimali inizia un complesso processo di accrezione e collisione nel quale giocano un ruolo fondamentale le perturbazioni gravitazionali generate dai corpi con massa maggiore. Sempre tenendo ben presenti le precauzioni già evidenziate allorchè si operino delle schematizzazioni, il processo di formazione del Sistema Solare può essere riassunto nelle seguenti fasi:

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FASE "ZERO"

Inizio dell'addensamento gravitazionale: si parte da una nube interstellare (composta per il 70% di H, il 27% di He e per il restante 3% di elementi più pesanti) la cui situazione di equilibrio viene perturbata da un fattore esterno. Non è certamente azzardato affermare che la nebulosa primordiale non doveva essere di grande massa e neppure essere dotata di moto rotazionale elevato; queste due caratteristiche, infatti, resero possibile il fenomeno di addensamento centrale, impedendo, cioè, quel frazionamento della nebulosa che sarebbe sfociato nella nascita di un sistema stellare binario. A proposito della causa perturbatrice responsabile dell'innesco del meccanismo di autogravitazione, oltre l'onda di densità di Lin, si può ragionevolmente ipotizzare una vicina esplosione di supernova: con tale ipotesi si potrebbe giustificare la presenza di alcuni isotopi la cui sintesi difficilmente si potrebbe spiegare in altro modo. Ad ogni buon conto ha inizio il collasso gravitazionale, assicurato dalla presenza di materia in quantità sufficiente a garantire la massa di Jeans.

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DIGRESSIONE...

La frammentazione delle nubi intestellari e la formazione degli ammassi

Le osservazioni delle regioni di formazione stellare e, soprattutto, degli ammassi stellari, sono la prova evidente del fatto che la nascita di una singola stella è un evento rarissimo, quasi improbabile. Inoltre, le nubi interstellari sono molto massicce e contraendosi dovrebbero dare origine a stelle di massa enorme. Oltre al fatto che non sono state mai osservate stelle con massa superiore a 50 Mo (masse solari), la formazione di una stella con massa molto grande (M > 200 Mo) è un evento legato alla stabilità strutturale della stella. Infatti, esiste un limite di massa stellare essenzialmente dovuto al fatto che, quando una nube si contrae ruotando, se la sua massa rimane costante la diminuzione del raggio produce un aumento della velocità centrifuga sulla superficie della nube. Se questa velocità è molto elevata il collasso può essere fermato prima che si origini la protostella. Da queste semplici considerazioni si deduce che le nubi interstellari, che hanno massa di circa 104 Mo, subiscono uno spezzettamento con conseguente formazione di più stelle. Cercheremo ora di capire come una nube si possa suddividere in sottocondensazioni da cui hanno origine nuove stelle.

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L'INSTABILITA' GRAVITAZIONALE DI UNA NUBE INTERSTELLARE

L'analisi dell'instabilità gravitazionale di una nube di gas non magnetizzata conduce al criterio di JEANS, secondo il quale si ha il collasso gravitazionale se la massa della nube è maggiore della massa di JEANS. Se nelle equazioni che determinano questo valore si considera la temperatura T costante (contrazione isotermica), quando la nube collassa la massa di JEANS diminuisce poiché aumenta la densità. Consideriamo, ora, il caso idealizzato di collasso sferico in assenza di rotazione e campo magnetico. Il problema può essere diviso in due parti, con M >> Mj e M >~ Mj. Nel primo caso si ha il collasso in caduta libera, mentre nel secondo, inizialmente, la pressione del gas si oppone alla contrazione. Abbiamo detto che la temperatura T può essere considerata costante; infatti, i primi stadi del collasso gravitazionale di una nube diffusa composta da atomi e molecole di H, sono isotermici in buona approssimazione (Hoyle 1953). Il gas può liberamente irradiare tramite le transizioni molecolari, atomiche e mediante radiazione termica che viene emessa dai grani di polvere che interagiscono con il gas mediante collisone. Inoltre, l'instabilità gravitazionale è prodotta quando le fluttuazioni di densità hanno lunghezza d'onda lambda > lambda(j) che è la lunghezza d'onda di JEANS.

Figura 1. 

Quando la nube si contrae e la massa di JEANS diminuisce in modo statico, si ha la frammentazione della nube che può essere schematizzata come si vede in Figura 1.

Le immagini degli ammassi aperti e globulari mostrano che la concentrazione delle stelle varia dipendentemente dall'età dell'ammasso. Infatti, i globulari mostrano stelle vecchie, mentre gli ammassi aperti sono costituiti da stelle di recente formazione. Con la nascita dei telescopi spaziali, è stato possibile osservare anche gli ammassi extragalattici. Ciò ha contribuito a chiarire ancor meglio come nascono le stelle.

FINE DIGRESSIONE

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FASE 1

Collasso della materia della primordiale nebulosa solare (gas e polvere) in un disco rotante (dissipazione di momento angolare) e conseguente condensazione di piccole particelle (formazione dei granuli). Ripetuti episodi di condensazione ed evaporazione possono spiegare le inclusioni refrattarie di CAI (calcio-alluminio intrusion) rilevate in alcune meteoriti. Sono queste inclusioni gli oggetti più antichi dei quali è stato possibile stabilire una datazione (meteorite Allende), stimata in circa 4560 milioni di anni; ed è a tale epoca cui, solitamente, ci si riferisce quale istante T0 per il Sistema Solare. Considerando la composizione attuale del Sistema Solare interno, sembra che gli elementi condensatisi per primi siano Ferro, Nickel e silicati di Ferro e Magnesio; nelle regioni più esterne della nebulosa, a temperature inferiori, il nocciolo della condensazione era costituito da ghiaccio d'acqua e ghiacci di acqua/ammoniaca. Il ritmo di crescita è quantificato nell'ordine di centimetri per anno per i minerali più abbondanti; considerando la condensazione del Ferro nella regione terrestre viene suggerita la condensazione di granuli con raggio di alcuni centimetri in tempi di una decina d'anni.

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FASE 2

Contemporaneamente alla fase di condensazione in granuli inizia la caduta delle particelle verso il piano mediano della nebulosa con la conseguente formazione di un sottile e denso disco di polveri. E' in questo disco di materia formatosi nel piano centrale durante la fase di condensazione che si sviluppano le instabilità gravitazionali responsabili dei fenomeni successivi; i valori dei parametri fisici caratteristici sono, indicativamente, di 700 °K per la temperatura e 7.5x10-10 g/cm3 per la densità del gas. Si verificano episodi di fusioni che coinvolgono metalli e silicati e che possono spiegare la formazione di condruli; con questo termine si indicano le inclusioni sferoidali, tipicamente di circa 0.5-1.5 mm, presenti nei meteoriti condritici e composti in genere di olivina (silicato di Fe e Mg). Il modello ritenuto più plausibile per la formazione di tali strutture prevede la presenza di flares nebulari, analoghi alle protuberanze normalmente osservate sul Sole. Questi eventi altamente energetici avrebbero caratterizzato le zone situate al di fuori del piano mediano della nebulosa con rilascio praticamente istantaneo di enormi quantitativi di energia (circa 1032 erg) immagazzinata nelle linee di campo magnetico sottoposte a distorsione. La rapidità del fenomeno (i tempi ipotizzati sono dell'ordine di 0.1 sec) e le alte temperature associate sarebbero in grado di spiegare efficacemente sia la formazione dei condruli sia le loro ridotte dimensioni. Il fatto che i condruli siano così comuni è una prova che in quel periodo la nebulosa solare era caratterizzata da rimescolamenti violenti, riconducibili alla necessità di dissipare considerevoli quantità di energia.

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FASE 3

Aggregazione delle polveri in planetesimali per mezzo di collisioni a bassa velocità. Inizia in questa fase il bruciamento dell'H ed il proto-Sole inizia la fase T-Tauri e FU-Orionis che ha una durata di circa 106 anni. Ad una distanza di circa 4 U.A. si può situare la snow-line, la linea immaginaria in corrispondenza della quale avviene la condensazione del ghiaccio d’acqua, fenomeno in grado di accrescere la densità locale della nebulosa planetaria incrementando notevolmente il ritmo di accrezione. Non è ancora certo se il meccanismo della snow-line sia stato attivo solamente per la formazione planetaria nella regione di Giove oppure se vi siano stati altri siti in cui meccanismi analoghi abbiano fatto da catalizzatore della fase di accrezione. Certo è, invece, che tale meccanismo operante nella regione posta a circa 4 U.A. dal Sole e che porterà alla formazione di Giove ha influenzato pesantemente (e lo vedremo in seguito) l’evoluzione successiva di tutto il Sistema Solare. Un secondo dato certo è che questi primi stadi della formazione dei pianeti si sono svolti sullo sfondo di una luminosità molto più elevata di quella attuale, quantificata da Hoyle (1979) in circa 150 LSOL. Tutto il gas presente (H, He ed altri) viene rimosso dalla regione interna (vento T-Tauri) lasciando solamente i planetesimali di una certa massa già formati. La massa originaria della nebulosa è stimabile (Hoyle, 1979) in almeno 1750 masse terrestri, delle quali circa 1300 costituite da H ed He sono in qualche modo andate perdute.

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FASE 4

Nella zona dove il ghiaccio d'acqua diventa stabile, a circa 5 U.A. dal Sole, si colloca l'accrezione di Giove che raccoglie anche parte dei gas espulsi dalla zona interna. L'accrezione del nucleo del proto-Giove deve essere avvenuta in un tempo di 105-106 anni ed altrettanto tempo è servito per la sua formazione definitiva: l'intero processo, comunque, si deve essere svolto prima che il gas venisse completamente dissipato. Dunque Giove è un vero e proprio pianeta e non una stella mancata: la sua origine è da ricercarsi in meccanismi di accrezione e non direttamente dal frazionamento della nebulosa originaria. E' importante ancora una volta evidenziare che la formazione rapida di Giove è certamente stato l'evento più importante per il Sistema Solare in formazione, un evento in grado di condizionare pesantemente le successive fasi evolutive. E' riconducibile a questa fase anche la formazione dei nuclei di Saturno, Urano e Nettuno, la cui formazione, però, avviene molto più lentamente. Saturno impiega un tempo due volte più lungo di Giove: a differenza di Giove, inoltre, ha un asse di rotazione inclinato rispetto al piano dell'orbita, chiara indicazione che si deve essere condensato da più di un corpo di grandezza considerevole. Urano completa l'accrezione in circa 107 anni e Nettuno nel doppio di questo tempo; la formazione di questi due pianeti deve certamente essere avvenuta quando ormai buona parte di H ed He erano sfuggiti dal Sistema Solare. La formazione di Urano e Nettuno assomiglia a quella dei pianeti di tipo terrestre, dunque è profondamente differente da quella di Giove e Saturno, formatisi in presenza di un grande quantitativo di H ed He. Fernandez (1983) colloca in questa fase l'origine di planetesimali che, immessi in orbite molto eccentriche dall’azione dei nuclei iniziali di Nettuno e Urano, avrebbero poi costituito sia la Nube di Oort sia una fascia cometaria trans-nettuniana (seguendo in ciò le teorie avanzate negli anni '50 da Edgeworth e Kuiper). L'analisi numerica dei processi di accrezione dei planetesimali associati alla formazione di Urano e Nettuno porta Fernandez a concludere che:

1.-Il principale responsabile dell'immissione di oggetti nel serbatoio cometario è con molta probabilità Nettuno, in quanto l'influenza di Urano è largamente inibita dall'azione gravitazionale di Giove e Saturno. Questi ultimi, inoltre, sono caratterizzati da scarsa efficienza nel lanciare corpi nella regione di Oort, mentre sono più efficienti nell’immissione di "cometesimali" in orbite iperboliche.

2.-Un significativo numero di corpi (per una massa complessiva dell'ordine di alcune MTER) potrebbe essere stato immesso in questa fase nella regione dei pianeti interni.

Le comete così come le osserviamo sono pertanto una caratteristica di un sistema planetario già formato, chiaro indizio che già si sono verificati due fatti significativi, vale a dire la condensazione dei ghiacci all'interno della nebulosa e la presenza di corpi in grado di lanciare questi oggetti su vaste orbite intorno alla stella centrale. A proposito ancora della formazione di Giove è significativo riportare un recente studio di F.Marzari e S.J.Weidenschilling che intende spiegare l'evidenza osservativa di pianeti di massa elevata posti a piccola distanza dalla rispettiva stella, situazione difficilmente comprensibile ricorrendo allo scenario delle snow-lines non solo per le temperature elevate (circa 1000 °K ad 1 U.A.), ma anche per la carenza di materiale a disposizione (si tenga conto, a questo proposito, che i cosiddetti giganti gassosi sono costituiti per l'80-90% da H ed He).

Nella tabella seguente sono riportate le scoperte di pianeti extrasolari le cui strutture e composizioni chimiche dovrebbero essere molto simili a quelle di Giove e Saturno, sono associati a stelle di tipo spettrale molto simile al nostro Sole ma hanno un'orbita molto vicina alla loro stella:

Nome Stella
Tipo spettrale
Massa pianeta (M gioviane)
Semiasse orbita (U.A.)
47 Uma
G0
2.4
2.1
16 Cyg B
1.7
1.8
Lalande 21185
nana rossa
1
2.3
51 Peg
G2
0.47
0.2
55 r Cnc
G8
0.84
0.3
t Boo
F7
3.8
0.2
u And
0.68
0.2
70 Vir
G5
6.6
0.5
HD 114762
10
0.5

L'ipotesi avanzata è che tali pianeti si siano formati nelle regioni più esterne delle nebulose di origine e siano poi stati dirottati in orbite più interne da meccanismi dinamici estremamente efficienti riconducibili alle interazioni tra più oggetti massicci. Ipotizzando la formazione contemporanea di più planetesimali giganti collocati a distanze reciproche di 2-3 U.A. si avrebbe come immediata conseguenza lo scatenarsi nel sistema di forti perturbazioni gravitazionali, operanti su tempi dell'ordine del milione di anni, che renderebbero veramente caotica l'evoluzione orbitale rendendo possibile sia la collocazione di pianeti giganti in orbite prossime alla stella centrale sia fenomeni di espulsione su orbite iperboliche. Un aspetto da non sottovalutare è che una evoluzione dinamica di questo tipo porterebbe con se quale inevitabile conseguenza uno "svuotamento" del sistema planetario in formazione con l'inibizione alla formazione di pianeti dotati di massa terrestre.

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FASE 5

Formazione dei pianeti di tipo terrestre (Mercurio, Venere, Terra e Marte) in tempi di 107-108 anni. E' ragionevole ipotizzare, tra questi, la situazione "disagiata" di Mercurio e Marte: il primo risente della vicinanza del Sole ed il suo accrescimento si sviluppa in una zona molto povera di materiale; il secondo risente dell'azione di svuotamento esercitata da Giove nella zona della Fascia Principale degli asteroidi. Tale azione di svuotamento era duplice: da un lato l'acquisizione e l'inglobamento di planetesimali qui sviluppatisi, dall'altro lato la loro espulsione dalla suddetta zona.

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FASE 6

Formazione dei sistemi satellitari e dei sistemi di anelli attraverso meccanismi secondari di accrezione, cattura di planetesimali già formati ed episodi collisionali. Talvolta, in una concezione quasi frattale del nostro Sistema Solare cara anche allo stesso Galileo, si può essere indotti a considerare i sistemi satellitari come dei sistemi solari in miniatura, quasi una sorta di inevitabile conseguenza dei meccanismi evolutivi di un pianeta. E' certamente vero che la formazione dei satelliti può essere considerata quasi un sottoprodotto della genesi planetaria, ma è altrettanto vero ed evidente che le possibili varianti alla formazione satellitare sono davvero molteplici, paradossalmente una per ogni satellite. Si colloca in questa fase anche la formazione della Luna riconducibile ad un impatto con un planetesimo di dimensioni paragonabili a quelle di Marte, evento databile 4.4 miliardi di anni fa. Episodi analoghi hanno coinvolto anche altri pianeti: a seguito di un impatto Venere potrebbe aver invertito il senso di rotazione e, sempre per un impatto violento, Mercurio potrebbe essere stato privato del mantello di silicati. Le collisioni hanno inoltre caratterizzato e continuano a caratterizzare l'evoluzione dei corpi della fascia asteroidale. A 108 anni dalla separazione iniziale della nebulosa, il Sistema Solare aveva completato il suo processo formativo ed iniziava per i corpi che si erano formati la lenta modificazione superficiale ad opera sia degli episodi impattivi anche estremamente violenti, sia di cause endogene. Si innescava anche quel processo di formazione-distruzione delle atmosfere planetarie; quelle attuali, infatti, non sono le atmosfere originarie (almeno nei pianeti di tipo terrestre) ed è molto probabile che drastiche variazioni della composizione atmosferica siano stati episodi frequenti nell’evoluzione planetaria, proprio quali conseguenze di eventi impattivi giganti. Il periodo di queste drastiche modificazioni atmosferiche va collocato circa 3.8 miliardi di anni fa, in coincidenza con il momento di maggiore bombardamento; in seguito le atmosfere dei pianeti terrestri sono state sufficientemente stabili e non hanno più risentito di massicci fenomeni di rimozione, ma hanno, ciascuna per conto suo, seguito percorsi evolutivi indipendenti risultando in tal modo uniche. Per quanto riguarda la Terra, un aspetto correlato alla costruzione dell'attuale atmosfera è quello dell'identificazione dell'origine dell'acqua presente sulla superficie del nostro pianeta.

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Is the solar system special ?
ROYAL ASTRONOMICAL SOCIETY NEWS RELEASE
Posted: August 3, 2004

On the evidence to date, our solar system could be fundamentally different from the majority of planetary systems around stars because it formed in a different way. If that is the case, Earth-like planets will be very rare. After examining the properties of the 100 or so known extrasolar planetary systems and assessing two ways in which planets could form, Dr Martin Beer and Professor Andrew King of the University of Leicester, Dr Mario Livio of the Space Telescope Science Institute and Dr Jim Pringle of the University of Cambridge flag up the distinct possibility that our solar system is special in a paper to be published in the Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. In our solar system, the orbits of all the major planets are quite close to being circular (apart from Pluto's, which is a special case), and the four giant planets are a considerable distance from the Sun. The extrasolar planets detected so far - all giants similar in nature to Jupiter - are by comparison much closer to their parent stars, and their orbits are almost all highly elliptical and so very elongated. There are two main explanations for these observations. The most intriguing is that planets can be formed by more than one mechanism and the assumption astronomers have made until now - that all planets formed in basically the same way - is a mistake. In the picture of planet formation developed to explain the solar system, giant planets like Jupiter form around rocky cores (like the Earth), which use their gravity to pull in large quantities of gas from their surroundings in the cool outer reaches of a vast disc of material. The rocky cores closer to the parent star cannot acquire gas because it is too hot there and so remain Earth-like. The most popular alternative theory is that giant planets can form directly through gravitational collapse. In this scenario, rocky cores - potential Earth-like planets - do not form at all. If this theory applies to all the extrasolar planet systems detected so far, then none of them can be expected to contain an Earth-like planet that is habitable by life of the kind we are familiar with. However, the team are cautious about jumping to a definite conclusion too soon and warn about the second possible explanation for the apparent disparity between the solar system and the known extrasolar systems. Techniques currently in use are not yet capable of detecting a solar-system look-alike around a distant star, so a selection effect might be distorting the statistics - like a fisherman deciding that all fish are larger than 5 inches because that is the size of the holes in his net. It will be another 5 years or so before astronomers have the observing power to resolve the question of which explanation is correct. Meanwhile, the current data leave open the possibility that the solar system is indeed different from other planetary systems.

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Likely First Photo of Planet Beyond the Solar System
posted: 10 September 2004

The red object appears to be a planet orbiting the brighter (but still relatively dim) brown dwarf star, seen here as blue-white.

The red object appears to be a planet orbiting the brighter (but still relatively dim) brown dwarf star, seen here as blue-white. Credit: ESO/VLT

A group of European-led astronomers has made a photograph of what appears to be a planet orbiting another star. If so, it would be the first confirmed picture of a world beyond our solar system.Although it is surely much bigger than a terrestrial-size object [like Earth], it is a strange feeling that it may indeed be the first planetary system beyond our own ever imaged. ESO revealed a similar imaging effort of another planet candidate in May by a U.S.-led team that used the Hubble Space Telescope. That possible planet has not been confirmed and could be a dim star in the background of the picture. Otherwise, all of the more than 120 known extrasolar planets have been detected indirectly, by noting the shadow of a planet crossing in front of a star or a planet's gravitational effect on a star. Because planets are so dim compared to stars, technology has not been able to spot them amid stellar glare. That is, perhaps, until now.

Young planet

The new picture shows a dim, red point of light that Christophe Dumas, an astronomer at the European Southern Observatory (ESO), and his colleagues think is a young, giant planet something like Jupiter. It orbits a failed star known as a brown dwarf, a very dim type of star -- its core does not support nuclear fusion -- that astronomers have for years hoped would make for good planet hunting. The brown dwarf, catalogued as 2M1207 and just 8 million years old, is 42 times less massive than the Sun, or some 25 times heftier than Jupiter. The setup is 230 light-years away. The possible planet is about five times as massive as Jupiter, the observations show. An analysis of its emissions found it contains water, which suggests its mass is in the range of planets rather than stars, the researchers announced today. The object is still contracting into its final form and so is very warm, some 1,830 degrees Fahrenheit (1,000 Celsius), according to the research team, which was led by ESO's Gael Chauvin. The photograph was made at ESO's Paranal Observatory in Chile with an infrared camera, which records heat rather than visible light. A system of adaptive optics on the Very Large Telescope (VLT) (it's 27 feet wide, or 8.2 meters) corrects for blurring effects of Earth's atmosphere, making detailed observations possible. The discovery will be detailed in the journal Astronomy & Astrophysics. If it is a planet, the object orbits 55 times farther from the brown dwarf than Earth is from the Sun, or roughly twice the Earth-to-Neptune distance. One remaining question, however, is whether the thing might instead be a star that's in the foreground or background and not gravitationally bound to the brown dwarf, a scenario is statistically very improbable. Additional observations to monitor the movement of the two objects will reveal the answer within two years.

How it formed

In separate work, Ray Jayawardhana of the University of Toronto has been studying the brown dwarf in question, 2M1207. He agrees that the newfound object is most likely in orbit around the brown dwarf. It could be a very dim brown dwarf in the foreground, but that's doubtful. The water found in the atmosphere, in the form of steam, means it would have to be pretty cool and couldn't possibly be a star. Jayawardhana's team found that 2M1207, like a real star, has a surrounding disk of hydrogen gas, the leftovers of the brown dwarf's formation. But in contrast to how planets probably developed in our solar system, he does not think the planet was born out of the brown dwarf's disk. Instead, the planet and brown dwarf likely formed together out of a clump of gas and dust. Another unsettled issue is whether an object of five Jovian masses is truly a planet. Some astronomers put the upper limit for planetary mass at 13 times what's in Jupiter. Others argue that a planet is must orbit a star and have formed out of its leftovers. There is no official definition for the term "planet." Jayawardhana doesn't care what the new object is called, it is still very interesting from a physics perspective. This discovery opens up a whole new regime of objects for us to look at and learn about.

HOW THEY STACK UP: The difference between brown dwarfs and planets.

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