IL nostro SISTEMA SOLARE

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MAPPA della PAGINA: IL nostro SISTEMA SOLARE... Agg. 24.09.2004


I pianeti sono corpi non dotati di luce propria, gravitanti su un'orbita ellittica attorno ad una stella di cui riflettono parte della luce, nel nostro sistema solare vi sono 9 pianeti divisi in interni (Mercurio, Venere, la Terra, Marte) ed esterni (Giove, Saturno, Urano, Nettuno e Plutone). Eccoli nel dettaglio...

Mercurio

MERCURIO

Distanza dal Sole media
57,9 milioni di km
Distanza dal Sole massima
69,7 milioni di km
Distanza dal Sole minima
45,9 milioni di km
Raggio medio
2439 km
Schiacciamento
0
Albedo
0.055
Periodo di rotazione
58g 15h 38m
di rivoluzione
88 giorni terrestri
Eccentricità dell'orbita
0.206
Inclinazione dell'orbita
7 gradi
Inclinazione dell'asse
0 gradi

Struttura interna di Mercurio.

Il pianeta Mercurio può essere visto a occhio nudo, ma è più difficile da scorgere degli altri quattro pianeti già noti dall'antichità (Venere, Marte, Giove e Saturno), è il pianeta più vicino al Sole ed impiega solo 88 giorni terrestri per compiere un'intera orbita intorno ad esso, ad una distanza media di 58 milioni di chilometri. Per dimensioni e massa è più paragonabile alla Luna che alla Terra. Il suo diametro è di 4880 km. La sua velocità di fuga, di soli 4.2 km al secondo suggerisce che la sua atmosfera è molto rarefatta. La maggior difficoltà che si incontra nelle osservazioni di Mercurio dipende dal fatto che non è mai possibile osservarlo sullo sfondo di un cielo completamente scuro: il pianeta infatti rimane nella stessa zona in cui si trova il Sole; ad occhio nudo inoltre non è mai perfettamente osservabile, nemmeno quando è ben illuminato (il massimo della sua luminosità raggiunge la magnitudine 0, valore superiore ad ogni altra stella con le sole eccezioni di Sirio, Canopo, Arturo e Alfa Centauri). L'osservatore che non sia provvisto di un mezzo ottico lo può vedere solo in occasioni particolarmente favorevoli, quando si trova molto basso ad occidente dopo il tramonto del Sole oppure molto basso ad oriente prima del sorgere del Sole. Inoltre la sua fase (superficie illuminata) decresce col diminuire della sua distanza dalla Terra; quando si trova più vicino a noi è anche in congiunzione inferiore (posizione in cui ha la stessa ascensione retta del Sole) e quindi non può essere osservato, poichérivolge alla Terra la faccia non illuminata dal Sole. Il primo a tracciare mappe di Mercurio fu Giovanni Virgilio Schiapparelli (1835-1910) a Milano, alla fine del diciannovesimo secolo. La sua tecnica consisteva nell'osservare Mercurio in pieno giorno quando il pianeta è molto alto sopra l'orizzonte e non quando è osservabile ad occhio nudo; in questo modo fu in grado di riconoscere alcune aree scure ed altre più luminose, ma, data la scarsità dei mezzi a disposizione, le sue mappe risultarono molto approssimative. Dal 1924 al 1933 E.N. Antoniadi dedicò buona parte delle sue ricerche allo studio di Mercurio; utilizzando il rifrattore da 84 cm dell'osservatorio di Meudon, le sue carte rimasero le migliori fino a quando non venne messa in orbita la sonda Mariner 10 nel 1974. Schiapparelli e Antoniadi credevano che il periodo di rotazione di Mercurio fosse uguale al suo periodo di rivoluzione intorno al Sole, con una durata di 88 giorni terrestri; se questo si fosse rivelato esatto, Mercurio avrebbe dovuto allora mostrare al Sole sempre la stessa faccia mentre l'altra sarebbe stata sempre in ombra. Ma poiché l'orbita di Mercurio è molto eccentrica, ci sarebbe stata una zona intermedia tra queste due metà in cui il Sole sarebbe sorto e tramontato, mantenendosi però sempre vicino all'orizzonte. Gli effetti sarebbero stati uguali a quelli dovuti alle oscillazioni lunari. Ora però sappiamo che Antoniadi non aveva visto giusto: infatti le misure radar effettuate nel 1962 hanno rivelato che il periodo di rotazione è di 58,7 giorni terrestri, in modo che tutte le zone del pianeta ricevono a turno la luce solare. Le errate interpretazioni degli astronomi del passato potrebbero essere dovute al fatto che quando Mercurio si trova nella posizione più favorevole per essere studiato presenta sempre la stessa faccia alla Terra. Antoniadi riteneva anche di aver visto delle nubi che a volte velavano le caratteristiche della superficie; poiché è dimostrato che l'atmosfera del pianeta è troppo rarefatta per dare origine a nubi, l'unica conclusione logica è che le osservazioni di Antoniadi siano state inesatte. A causa della sua estrema vicinanza al Sole la temperatura di Mercurio durante le ore del giorno deve essere molto alta e raggiungere un valore massimo di oltre 370 gradi centigradi, mentre di notte, poiché non esiste atmosfera capace di trattenere il calore, deve essere incredibilmente bassa. Nessuna forma di vita conosciuta potrebbe sopravvivere su Mercurio. La sonda planetaria americana Mariner 10 durante la sua missione avvicinò Venere e Mercurio. Nel febbraio 1974 si accostò al primo inviando fotografie ravvicinate del pianeta e quindi se ne allontanò per incontrarsi con Mercurio nel mese seguente. Le fotografie di quest'ultimo riprese dalla sonda hanno mostrato un paesaggio assai simile a quello Lunare: crateri, montagne e vallate ricoprono l'intera superficie; l'unica differenza è l'assenza di grandi pianure scure come il lunare Mare delle Piogge. La più grande pianura è stata chiamata Bacino del Calore. Nel settembre 1974 il Mariner 10, dopo essersi avvicinato al Sole, realizzò un secondo incontro con Mercurio scattando fotografie ancora migliori delle precedenti; il terzo incontro avvenne nel marzo 1975 e le zone fotografate hanno mostrato crateri e montagne sempre dello stesso tipo. Oggi quindi possediamo carte di quasi tutta la superficie di Mercurio e per la prima volta abbiamo notizie sicure su questo strano mondo. Una scoperta veramente interessante è stato l'aver trovato che Mercurio possiede un campo magnetico, molto debole se confrontato con quello terrestre (il campo magnetico di Mercurio è di 700 gamma, mentre quello della Terra è di 30000 gamma circa), ma in grado di formare una vera magnetosfera. Indubbiamente questo campo è una caratteristica intrinseca del pianeta e può essere dovuta sia ad azioni all'interno di un nucleo fluido, sia ad una costante magnetizzazione dei materiali della crosta superficiale. L'asse magnetico di Mercurio è inclinato di 11 gradi rispetto all'asse di rotazione, cioè i poli magnetici non coincidono con quelli geografici. Questo succede in molti pianeti, tra cui la Terra. La sonda Mariner 10 ha rivelato la presenza di una ionosfera intorno al pianeta, che interagisce con la sua magnetosfera. L'atmosfera di Mercurio è quasi trascurabile sebbene non del tutto assente.

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Venere

VENERE

Distanza dal Sole media 108,2 milioni di km
Distanza dal Sole massima 109 milioni di km
Distanza dal Sole minima 107,4 milioni di km
Raggio 6052 km
Schiacciamento 0
Albedo 0.7
Periodo di rivoluzione 224,701 giorni terrestri
di rotazione 243,01 giorni terr. (retrogrado)
Eccentricità dell'orbita 0,007
Inclinazione dell'orbita 3 gradi 23 primi
dell'asse 178 gradi

Struttura interna di Venere.

Venere, il secondo pianeta in ordine di distanza dal Sole, è più o meno grande come la Terra ed ha una massa che corrisponde a più dell'80% della massa terrestre; la sua atmosfera è densa e ricca di nuvole che circondano il pianeta impedendone l'osservazione. La distanza media di Venere dal Sole è di 108,2 milioni di chilometri ed è praticamente costante perché la sua orbita è quasi circolare (è infatti la meno ellittica di tutti i pianeti del sistema solare). Il periodo di rivoluzione è di 224,7 giorni terrestri; prima dei lanci spaziali e dello sviluppo delle tecniche radar il periodo di rotazione di Venere non era conosciuto poiché, a differenza di Marte e Mercurio, non si trovano sul pianeta dei segni particolari abbastanza durevoli per poterlo determinare con precisione; infatti tutto quello che si può vedere dalla Terra è lo strato superiore delle nuvole, mentre le regioni in ombra e in luce del pianeta sono sempre troppo imprecise e transitorie per essere di utilità pratica. A occhio nudo Venere appare veramente splendido e, ad eccezione del Sole e della Luna, è il corpo celeste più brillante del cielo. Se però lo si guarda al telescopio si ha una delusione, per cui non deve sorprendere il fatto che fino a pochi anni fa Venere era spesso chiamato "il pianeta del mistero". Risale al 1930 la certezza che l'atmosfera venusiana è composta prevalentemente da anidride carbonica, che determina una specie di effetto serra: il calore del Sole raggiunge la superficie, ma viene intrappolato. Si pensava che Venere fosse un pianeta molto caldo, ma anche a questo riguardo esistevano due teorie opposte; secondo una la superficie del pianeta sarebbe una specie di deserto senza acqua e con un clima supertropicale, mentre secondo l'altra la superficie sarebbe stata ricoperta di grandi oceani e il pianeta stesso sarebbe capace di ospitare un forma di vita anche se primitiva. Le prime informazioni sicure su Venere risalgono al 1962 quando la sonda Mariner 2 si avvicinò al pianeta trasmettendo a Terra dati molto attendibili tra i quali la conferma della teoria della "superficie calda" e la certezza che su Venere non può esistere acqua allo stato liquido. Non si registrò inoltre alcuna traccia di campo magnetico e si poté stabilire con sicurezza che il periodo di rotazione è molto più lungo di quello che fino ad allora si era pensato. Le sonde successive hanno confermato questi primi risultati. La temperatura di Venere alla superficie si aggira intorno ai 485 gradi centigradi e la pressione al suolo deve essere 100 volte circa quella terrestre; nonostante l'abbondanza di anidride carbonica le nuvole più alte dell'atmosfera contengono tracce di acido solforico. Il periodo di rotazione è stato valutato di 243 giorni, di modo che il "giorno" di Venere è più lungo dell'anno. Un fatto ancora più straordinario è che Venere ruota in senso retrogrado, cioè in direzione opposta a quella della Terra e di Marte; se fosse inoltre possibile osservare il Sole dalla superficie del pianeta, lo si vedrebbe sorgere ad occidente e tramontare ad oriente; "il giorno solare", o intervallo tra due successivi sorgere del Sole, corrisponde ad un periodo di 117 giorni terrestri. Le osservazioni radar di Venere eseguite dalla Terra hanno messo in evidenza che sul pianeta si trovano crateri grandi e poco profondi. Le origini dei crateri non sono ancora note, ma forse potrebbero essere stati provocati da erosioni e da attività vulcanica; e non si può scartare la teoria che su Venere il vulcanesimo sia in continuo progresso. Nel 1974 il Mariner 10 si avvicinò a Venere, prima di iniziare il viaggio di incontro con Mercurio, e ottenne nuovi importanti risultati. Le prime fotografie ravvicinate mostrarono chiaramente i dettagli delle fasce nuvolose. Venne inoltre stabilito che il periodo di rotazione degli strati più alti delle nuvole si svolge in quattro giorni, così che la struttura dell'atmosfera è diversa da quella terrestre. Un successivo importante passo venne compiuto nell'ottobre 1975, quando due sonde sovietiche (Venere 9 e 10) effettuarono atterraggi morbidi sulla superficie del pianeta, trasmettendo fotografie. Queste furono inviate, attraverso un ponte radio, con i moduli orbitali delle sonde in volo intorno al pianeta a una quota di circa 1500 km. Fu un grande successo per gli scienziati sovietici, anche se le due sonde funzionarono solo per poco più di un'ora, prima di essere messe definitivamente fuori uso dalla pressione e dalla temperatura estremamente elevata della superficie. Sorprendentemente la superficie di Venere si rilevò piena di rocce levigate, molte delle quali inferiori al metro di diametro. C'era molta luce (come a mezzogiorno a Mosca in una una bella giornata d'estate, dissero i russi) e le sonde non dovettero nemmeno usare, per far luce, i loro fari. Contrariamente a quello che ci si aspettava, l'atmosfera non risultò superifragente e tutti i dettagli del paesaggio apparivano molto nitidi. Fu confermata in 485 gradi la temperatura alla superficie, e la pressione fu riscontrata pari a 90 volte quella terrestre. Fu anche rilevato che lo strato nuvoloso finisce alla quota di circa 30 km. Sotto di esso c'é quella che potrebbe essere definita una zona di smog bollente supercorrosivo. Venere è ben lontano dall' essere il mondo ospitale che si credeva. Con la sua atmosfera di anidride carbonica, le sue nubi di acido solforico e il suo elevato calore, è totalmente ostile all'uomo. Le nuove acquisizioni hanno annullato molte speranze: meno di vent'anni fa erano in molti a considerare Venere come un traguardo spaziale ben più promettente di Marte.

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Marte

MARTE

Distanza dal Sole media 227,94 milioni di km
Distanza dal Sole massima 249,1 milioni di km
Distanza dal Sole minima 206,7 milioni di km
Raggio 3380 km
Schiacciamento 0,005
Albedo 0,154
Periodo di rivoluzione 687 giorni terrestri
di rotazione 24h 37m 22,7s
Eccentricità dell'orbita 0,093
Inclinazione dell'orbita 1 grado e 51 primi
dell'asse 23 gradi e 59 primi

Struttura interna di Marte.

Marte, il pianeta più vicino alla Terra nel sistema solare, è un mondo particolarmente interessante, anche perché solo fino a poco tempo fa si era sperato di rintracciarvi una forma di vita simile alla nostra; anzi, fino all'inizio del nostro secolo, molti astronomi erano convinti che su Marte vi fosse una civiltà in avanzato stadio di sviluppo. I marziani, invece, non esistono e sembra che il massimo che ci si possa aspettare di trovare è della materia organica allo stato primitivo, ma forse ancora più certamente il pianeta è del tutto sterile. Nonostante questa certezza Marte rimane il pianeta più simile alla Terra e sarà certamente la prima meta dell'uomo dopo la Luna. Al telescopio Marte appare come un disco rosso, con delle calotte bianche ai poli, e sulla superficie si notano degli evidentissimi segni scuri che si mantengono costanti. La sua distanza media dal Sole è di 228 milioni di chilometri, l'anno marziano corrisponde a 687 giorni terrestri e il giorno è di 24 ore e 37 minuti. Inoltre, poiché l'inclinazione dell'asse è solo leggermente maggiore a quella terrestre, anche le stagioni sono abbastanza simili a quelle della Terra, pur essendo molto più lunghe. Un'altra somiglianza con la Terra è costituita dal fatto che il polo sud è inclinato verso il Sole quando Marte si trova al perielio (punto dell'orbita in cui un pianeta si trova più vicino al Sole); l'influenza del Sole sul clima è più grande di quella che si verifica sulla Terra perché l'orbita di Marte è più eccentrica. Il clima nell'emisfero meridionale raggiunge valori più estremi che non in quello settentrionale; le estati sono più corte e più calde, mentre gli inverni sono più lunghi e più freddi. A mezzogiorno sull'equatore marziano, durante il solstizio d'estate, la temperatura può superare i 16 gradi centigradi. Per questo non si può considerare Marte un mondo particolarmente freddo. Poiché Marte non soltanto è meno denso della Terra, ma anche molto più piccolo (il suo diametro è solo 6790 km), la velocità di fuga (cioé la velocità che un oggetto deve raggiungere per vincere la gravità) è bassa (5 km al secondo), e per questo fatto l'atmosfera di Marte è molto tenue. Si sa attualmente che essa è costituita prevalentemente da anidride carbonica (95%) e che la pressione barometrica al livello del suolo non raggiunge i 10 millibar. Questi fattori fanno ritenere che nessuna creatura evoluta di tipo terrestre possa sopravvivervi senza protezione. Non esiste attualmente acqua allo stato libero sulla superficie marziana. Però è evidente che le bianche calotte polari sono costituite essenzialmente da ghiaccio d'acqua, anche se con la presenza di tracce di ghiaccio secco (anidride carbonica ghiacciata). Le calotte variano secondo le stagioni: quando raggiungono le massime dimensioni sono molto estese e si possono vedere anche con un telescopio di scarsa potenza. L'astronomo olandese Christian Huygens (1629-1695) è stato il primo nel 1659, a riconoscere alcune formazioni caratteristiche della superficie marziana e fra l'altro segnalò la regione a forma di V che ora è chiamata Syrtis Maior Planitia. Le prime mappe di Marte che possono considerarsi attendibili sono della seconda metà del diciannovesimo secolo. Tuttavia quello che si può chiamare il periodo "moderno" delle ricerche telescopiche venne iniziato da Giovanni Schiapparelli nel 1877, quando Marte si trovava nello stesso tempo al perielio e in opposizione ed era in condizioni eccellenti per essere osservato. Schiapparelli, che lavorava all'osservatorio di Milano, ricavò delle mappe del Pianeta più precise di qualunque altra fino allora ottenuta; inoltre egli fu il primo ad osservare delle particolarissime formazioni, che divennero presto famose con il nome di canali di Marte. Inevitabilmente questi canali, che formavano una rete rettilinea ed uniforme, suggerirono la convinzione che fossero costruzioni fatte dagli abitanti di Marte per convogliare l'acqua e irrigare vaste aree del pianeta. Secondo questa teoria l'acqua delle calotte polari sarebbe portata dai canali verso le regioni più aride, in prossimità dell'equatore; nei punti in cui i canali si incrociano si pensò che esistessero delle "oasi", considerate i centri in cui raccoglieva la popolazione del pianeta. Riguardo questa ipotesi, tuttavia lo stesso Schiapparelli poneva delle riserve, mentre l'astronomo americano Percival Lowell (1855-1916) sosteneva la teoria che su Marte dovesse trovarsi un popolo con un avanzato grado di civiltà. Quando divenne certo che le aree scure sulla superficie di Marte non potevano essere mari, si credette che dovessero il loro aspetto a macchie di vegetazione entro depressioni. Questa ipotesi fu ritenuta valida fino al lancio della prima sonda verso Marte, il Mariner 4 nel 1965. Adesso sappiamo con certezza che queste regioni scure sono altopiani irregolari come la Syrtis Maior e il loro colore è probabilmente dovuto a una differente struttura superficiale. La maggior parte della superficie marziana presenta un colore rosso ocra ed è probabilmente per questo suo aspetto rossiccio che al pianeta fu dato il nome del mitologico dio della guerra. I tratti ocra sono chiamati generalmente "deserti" ed il nome sembra appropriato sebbene non vi sia una reale analogia con i deserti terrestri. Non sono rare le tempeste di sabbia e vi sono pure venti nell'atmosfera del pianeta. Anche se i "canali" di Marte non esistono, la navicella Viking ha fornito la prova più evidente che l'acqua un tempo scorreva su Marte in abbondanza. Nella regione di Chryse canali chiaramente scavati si snodano e si intersecano come letti di fiumi inariditi, e "isole" di roccia antica, formate forse dal fluire dell'acqua entro i canali, risultano modellate nello stesso senso della corrente. Le condizioni migliori per osservare il pianeta Marte dalla Terra si verificano per pochi mesi, ogni due anni circa, essendo questo l'intervallo di tempo tra due successive opposizioni (780 giorni). Prima dell'era spaziale le nostre conoscenze di Marte erano piuttosto incomplete. Un primo tentativo di raggiungere il pianeta venne compiuto nel 1962 dai russi, che inviarono una sonda spaziale oltre Marte, ma essi fallirono poiché il contatto con il veicolo venne perso durante le prime fasi del volo e non più ristabilito. Nel luglio 1965 la sonda americana Mariner 4 passò accanto a Marte e inviò a Terra le prime informazioni sul pianeta rilevate a distanza ravvicinata. Per prima cosa si scoprì che l'atmosfera marziana era tenue quanto previsto e che, invece di essere costituita principalmente da azoto, con una pressione al suolo di 85 millibar, era composta in prevalenza da anidride carbonica, con una pressione inferiore ai 10 millibar. Tuttavia la scoperta più rilevante fu rappresentata da una serie di crateri che, pur essendo abbastanza simili a quelli lunari, hanno caratteristiche proprio. I crateri marziani, infatti sono molto grandi e alcuni di essi presentano un picco centrale come i crateri lunari. La scoperta dei crateri fu una vera sorpresa, poiché la maggior parte degli scienziati pensava che Marte avesse un paesaggio piuttosto piatto senza alte montagne o profonde depressioni. Nell'estate 1969 altre due sonde americane, Mariner 6 e 7, ottennero un vero successo avvicinandosi a Marte e inviando delle bellissime fotografie del pianeta. Anche queste fotografie mostrarono crateri e regioni montagnose e, quando si ottennero i primi risultati dalle registrazioni delle due sonde, vennero alla luce nuove sorprese. Per esempio, la formazione circolare dall'aspetto biancastro nota come Ellade, proprio a sud della formazione a V denominata Syrtis Maior, si rivelò una depressione invece di un altopiano, anzi la più profonda depressione di tutto il pianeta. I primi tre Mariner erano delle sonde progettate per passare vicino a Marte e poi allontanarsene per inserirsi in orbita attorno al Sole. I Mariner 8 e 9, invece, lanciati nel 1971, furono inviati con lo scopo di orbitare attorno a Marte e di inviare a Terra dati e fotografie per un periodo di mesi anziché di soli pochi giorni. Il Mariner 8, tuttavia, fu un vero fallimento, in quanto, immediatamente dopo il lancio, cadde in mare; per fortuna il Mariner 9 ottenne un successo enorme, fornendo un gran numero di dati, comprese 7239 immagini fotografiche. Il veicolo fu inserito in orbita intorno a Marte il 14 novembre quando quasi tutto il pianeta era circondato da sabbia e ben poco della sua superficie risultava visibile. Quando la sabbia si disperse, le telecamere rilevarono la presenza di vulcani, di forma simile a quelli terrestri delle Hawaii, anche se molto più imponente. Per esempio, l'Olympus Mons raggiunge i 25 km circa sopra il livello del suolo marziano e l'Arsia Mons i 20 km circa. Si scorgevano, inoltre, profonde vallate con pendii scoscesi, e il panorama ricordava letti fluviali prosciugati. Si riuscirà a scoprire qualche specie di vita in un punto qualsiasi di questo mondo freddo ed inospitale ? Proprio per questo gli Stati Uniti hanno lanciato i Viking. Il primo entrò in orbita il 19 giugno 1976, il secondo il 7 agosto dello stesso anno. Dopo un periodo di esplorazione fotografica per determinare le località adatte all'atterraggio, ambedue sganciarono i moduli di atterraggio. Quello del Viking 1 atterrò il 20 luglio nel vasto bacino di Chryse, posto alle latitudini medie settentrionali. L'altro atterrò il 3 settembre nella Utopia Planitia, a 7400 km circa dal Viking 1 e 1400 km circa più vicino al polo nord. Le spettacolari fotografie, inviate dai moduli di atterraggio, mostravano un terreno cosparso di rocce di colore rossastro. Il cielo non era azzurro ma rosa a causa della luce riflessa dalle particelle di polvere rossa sospese nell'aria. Gli elementi più importanti del suolo, scoperti dallo spettrometro a fluorescenza a raggi X, erano silicio, ferro, calcio, alluminio e titanio. I due veicoli spaziali scavarono nel terreno sotto il controllo di un calcolatore prelevando i campioni da analizzare nei laboratori biologici, con risultati che sorpresero suscitando speranze. Gli esperimenti sono stati scelti in base al concetto che ogni essere vivente esistente in un terreno deve nutrirsi espellendo alcune sostanze chimiche di base. L'esperimento iniziale di "scambio gassoso" rilevò ben presto una quantità di ossigeno 15 volte superiore a quella attesa. Tutte le forme di vita terrestri note agli scienziati, hanno bisogno di tempo per crescere e riprodursi e i dati ottenuti con questo esperimento sembravano piuttosto il risultato di una reazione chimica in un terreno ricco di ferro. I risultati dell'esperimento di "emissione controllata" si dimostrarono subito interessanti. Ci si aspettava che i microbi, se presenti, avrebbero assorbito carbonio-4 e liberato di anidride carbonica, ossido di carbonio e metano. Si scoprì una notevole quantità di anidride carbonica ma, anche questa volta, di origine chimica. L'esperimento "pirolitico" indicava "qualcosa" nella camera di sperimentazione stava sottraendo anidride carbonica all'aria e la incorporava in altri composti all'interno del suolo, ma restava il dubbio se questo "qualcosa" fosse biologico o chimico. La maggior preoccupazione degli scienziati era l'assenza di molecole organiche. Tutti e tre gli esperimenti biologici effettuati avrebbero avallato la presenza su Marte di organismi viventi sempre che ci si fosse trovati di fronte a composti organici. I principali problemi da affrontare inviando esseri umani su Marte sono il tempo e la distanza. Mentre gli astronauti possono atterrare sulla Luna e ritornare in meno di due settimane, una navicella verso Marte deve lasciare il sistema Terra-Luna e intraprendere un viaggio immenso che la porta direttamente intorno al Sole. Prima che un simile progetto possa davvero iniziare, è necessario costruire una stazione spaziale in orbita terrestre che possa essere usata come stazione di montaggio e di rifornimento. Gli uomini e le donne che compiono un simile viaggio devono imparare a vivere e lavorare nello spazio per un periodo da 18 mesi a due anni e mezzo. I momenti opportuni per i lanci verso Marte si ripetono a intervalli di circa 25-26 mesi, quando Marte si trova in opposizione. Un piano elaborato dagli americani prevedeva la possibilità di una spedizione umana in questo secolo. Due navi spaziali a propulsione atomica, lunghe ciascuna 82,3 m. avrebbero dovuto portare sei esploratori l'una. Erano già stati iniziati i lavori su motori dei razzi Nerva, che usano il calore sviluppato dalle reazioni nucleari per espandere il combustibile (idrogeno liquido) in modo da dare origine a un potente getto propulsore. Il viaggio avrebbe dovuto portare gli esploratori attorno al Sole fino a raggiungere un punto dello spazio dove si sarebbe trovato Marte nove mesi dopo la partenza. Per la maggior parte del volo, le due navi avrebbero dovuto essere collegate faccia a faccia, per poi separarsi prima di arrivare. Quindi avrebbero dovuto restare in orbita per 80 giorni, mentre tre esploratori di ciascuna nave sarebbero discesi sulla superficie del pianeta a bordo di veicoli adatti all'atterraggio. All'interno dei loro veicoli, a temperature e pressione controllate, gli astronauti avrebbero lavorato in libertà, senza tute. Solo prima di lasciare l'astronave avrebbero indossato le tute spaziali, per poi far funzionare i loro strumenti, raccogliere campioni e fare escursioni in un veicolo apposito. Giunto il momento di partire, essi avrebbero sistemato i loro campioni per poi decollare da Marte, lasciandosi dietro la sezione più bassa del veicolo d'atterraggio; quindi avrebbero incontrato l'astronave madre ancora in orbita e si sarebbero ricollegati ad essa. All'istante prestabilito le astronavi si sarebbero distaccate dall'orbita attorno a Marte, avrebbero continuato a volare intorno al Sole, passando in prossimità di Venere e infine, sfruttando la gravità, avrebbero rallentato fino a ritornare alla stazione terrestre dopo un viaggio circolare di 21 mesi. Il costo esorbitante di questa missione e la sua complessità rendono improbabile che gli esseri umani atterrino su Marte agli inizi del terzo millennio. Collocare una base scientifica su Marte richiederebbe un investimento ancor maggiore. Le informazioni che se ne potrebbero ottenere sarebbero certo più costose di quelle ricavabili da sonde automatiche o da esploratori meccanici. I nomi attribuiti alla maggior parte delle regioni di Marte risalgono alle osservazioni fatte da Giovanni Schiapparelli dopo il 1877. Il suo sistema di nomenclatura sostituì tutti quelli precedenti: per esempio il mare del Kaiser o della clessidra venne detto Syrtis Maior. Dopo i risultati del Mariner 9 vennero però effettuate delle revisioni da parte dell'Unione Astronomica Internazionale, che assegnò nomi latini a quelle caratteristiche topografiche che Schiapparelli aveva battezzato in base alla loro apparenza nell'albedo (quantità di luce solare incidente riflessa). L'emisfero occidentale include la maggior parte della pianura di Acidalia (Acidalium Planitia). Questo è il più intereessante dei due emisferi perché comprende alcuni dei maggiori vulcani come l'Olympus Mons (l'ex Nix Olympus di Schiapparelli): quest'ultimo è visto dalla Terra come una macchiolina, circondata da una zona estesa, quasi circolare, relativamente libera dai grandi crateri. Questa zona include le pianure dell'Amazzonia (Amazonis Planitia) a nordovest, quelle dell'Arcadia (Arcadia Planitia) a ovest e la catena dei monti Tharsis a est. I pochi e piccoli crateri di tale regione sono dovuti probabilmente a impatti meteoritici e non all'atteso vulcanismo marziano che si è verificato in epoche passate. Di particolare importanza nelle aree vulcaniche sono i flussi lavici, che sono particolarmente evidenti attorno all'Olympus Mons, Ascraeus Mons, Pavonis Mons e Arsia Mons. Sono anch'essi grandi coni vulcanici che nel loro insieme costituiscono la catena dei monti Tharsis (Tharsis Montes). Durante le grandi tempeste di sabbia alla fine del 1971, quando il Mariner 9 raggiunse Marte, queste tre cime erano tra le poche caratteristiche che potevano essere identificate, dal momento che spuntavano attraverso le nubi di polvere. La Vastità Boreale (Vastitas Borealis) si estende attorno alla regione del polo nord. Durante l'inverno Boreale i depositi bianchi della calotta polare possono estendersi a sud fino a Tempe Dorsum, ricoprendo questa regione oscura. La Chryse Planitia venne scelta come luogo di atterraggio della prima sonda Viking nell'estate 1976 (la Viking 2 atterrò nella Utopia Planitia, nell'emisfero orientale). Circa 5 gradi a sud dell'equatore e a longitudine zero si trova il Sinus Meridiani, che veniva considerato dagli astronomi come lo zero della longitudine marziana; a 20 gradi ovest e 20 gradi sud si trova invece la macchia scura del Margaritifer Sinus. Questi due nomi non sono rimasti dopo le revisionio poiché non corrispondono a rilevabili caratteristiche. L'emisfero è dominato dal poderoso sistema di "rift" (valli di spaccature) che si estendono verso est dai Tharsis Montes attraverso il Tithonius Chasma, il Melas Chasma e il Coprates Chasma attraverso il Dimud Vallis. Immediatamente a sud di Tithounis Chasma si trova il Solis Planum, una delle aree più variabili che esistono su Marte. Rilevazioni eseguite al telescopio fin dal 1877 hanno portato all'osservazione dei forti cambiamenti di forma e di intensità: cosa che concordava con la vecchia ipotesi che sul pianeta ci fosse vegetazione; oggi, però, che si ritiene che le zone oscure siano di natura inorganica, è moltopiù difficile poterle spiegare. Le evidenti macchie scure attorno ai solchi del Sirenum Dorsum e la serpeggiante Nirgal Vallis fanno parte del gruppo di mari che nella nuova nomenclatura non hanno trovato più posto: ambedue sono costellati di crateri. La sonda sovietica Mars 3 è atterrata nel dicembre 1971 a sud del Sirenum Dorsum, ma ha trasmesso per soli 20 secondi senza fornire utili indicazioni sulla topografia marziana. La caratteristica dell'emisfero orientale è la pianura Syrtis (Syrtis Planitia), già osservata da Christiaan Huygens (1629-1695) nel 1659; si tratta della macchia scura più evidente su Marte. Il Mariner 9 dimostrò che essa è un pianoro relativamente liscio e inclinato a est verso la base della pianura Isidis (Isides Planitia) e non, come si era ritenuto, un fondo marino sprofondato. Sorprendentemente, a parte il colore, c'era ben poco che la distingua dalla più chiara pianura di Isidis; si può concludere che la sua prominenza sia dovuta semplicemente al basso albedo delle sue rocce. La pianura Elysium (Elysium Planitia), è zona vulcanica: essa contiene due grandi crateri vulcanici (caldere) come pure un duomo molto marcato. La regione oscura a 55 gradi nord di latitudine è l'altra metà della Vastitas Borealis. Essa forse è in parte responsabile della zona oscura attorno alle calotta polare. La parte meridionale di questo emisfero è dominata dalla pianura Hellas (Hellas Planitia), che può apparire estremamente brillante dalla Terra e che talvolta può essere scambiata per una terza calotta polare. A est di Hellas si trovano le due caratteristiche zone scure del Mare Tirennum e del Mare Cimmerium. Nella regione polare boreale la calotta non svanisce mai completamente. E' visibile parte della pianura di Acidalia, che è la più evidente delle caratteristiche scure nell'emisfero nord del pianeta. Nella regione polare meridionale la zona entro 10 gradi dall'effettivo polo sud sembra liscia e laminata, mentre il residuo estivo della calotta polare è spostato alla longitudine di 45 gradi. Le zone oscure circostanti sono costellate di crateri con un formazione molto preminente, l'Argyre Dorsum. Durante l'inverno australe i depositi polari coprono quasi tutta questa zona. Anche se Marte ha più o meno la stessa età della Terra (siamo nell' ordine di 4700 milioni di anni), esso è talmente più piccolo e meno pesante che si è evoluto più rapidamente. Questo porta alla considerazione generale che la sua superficie ha un aspetto più consumato ed eroso di quello della Terra: infatti l'atmosfera di Marte, per quanto sia debole e non troppo densa, non è tuttavia trascurabile. Alla luce delle conoscenze attuali è interessante vedere quali erano le teorie degli astronomi su Marte prima del 1965, anno che segna una data importante nella storia del pianeta; la sonda Mariner 4, infatti, inviò a Terra per la prima volta fotografie della sua superficie scattate a distanza ravvicinata. Precedemente si pensava che le aree scure fossero depressioni, probabilmente il letto di vecchi mari, mentre le regioni luminose come Hellas e Argyre fossero altopiani; in generale si credeva che la sua superficie avesse piccoli rilievi e che non ci fossero né alte montagne né profonde vallate. Ma la realtà era molto diversa. Le prime foto arrivate a Terra dal Mariner 4 hanno rivelato l'esistenza di crateri e, man mano che esse diventavano sempre più nitide, la natura generale del paesaggio si è fatta più chiara. Invece di essere un mondo con un paesaggio pianeggiante, Marte si è rivelato estremamente accidentato. I primi risultati del Mariner 4 hanno messo in luce che esistono differenze tra le varie regioni del pianeta e che la sua superficie è molto più accidentata di quella della Luna. Il Mariner 4 rivelò che l'atmosfera del pianeta è molto più tenue di quanto non si pensasse e divenne sempre meno credibile la teoria secondo cui i presunti "mari" marziani fossero occupati da vegetazione. Nel 1969 le sonde Mariner 6 e 7 hanno confermato questo primo quadro di Marte e furono evidenziate sia aree ricoperte da crateri, sia aree definite "caotiche" senza particolari caratteristiche. Senza dubbio i risultati più sorprendenti si sono ottenuti da Mariner 9 (1971) che, dopo essersi avvicinato al pianeta ed averne fotografato i due satelliti, dovette attendere la fine della tempesta di sabbia. Quando l'atmosfera divenne nuovamente limpida si poterono osservare i torreggianti vulcani come Olympus Mons e Arsia Mons, le cime più alte di Marte (oltre i 20 km). Pochi astronomi si erano aspettati di trovare vulcani di tipo terrestre; d'altra parte la somiglianza tra i vulcani come Olympus Mons e Arsia Mons e quelli delle Hawaii sulla Terra è molto evidente. La differenza principale sta nella scala; si sono fatte valutazioni delle altezze delle strutture superficiali di Marte sia per mezzo di radar sia misurando la quantità di anidride carbonica sulle diverse regioni di Marte: si è potuto scoprire che i vulcani marziani sono circa tre volte più alti di quelli delle Hawaii e, dato che Marte è molto più piccolo della Terra, risultano in proporzione anche più elevati. I vulcani non erano stati individuati dai Mariner precedenti per due ragioni. La prima è spiegata dal fatto che il tempo per scattare le fotografie era molto limitato: infatti i Mariner 4, 6 e 7 effettuarono ognuno un unico passaggio su Marte per poi inserirsi in orbite senza ritorno intorno al Sole; mentre Mariner 9 e i Viking sono stati messi in orbita intorno al pianeta e perciò hanno potuto trasmettere informazioni fino all'esaurimento delle batterie. La seconda ragione consiste nel grande progresso della "rifinitura" computerizzata delle immagini fotografiche (cleaning-up); i metodi elettronici hanno reso così possibili fondamentali progressi. La nostra conoscenza della superficie marziana è stata rivoluzionata dal Mariner 9 e dai Viking. L'aspetto più sconvolgente è la diversità delle caratteristiche delle variee aree. A regioni fittamente coperte di crateri si alternano aree relativamente livellate; a parte i grandi vulcani, esistono canyon imbriferi (di drenaggio) e profondi bacini: i migliori esempi sono Hellas e Argyre. I canyons equatoriali della Valles Marineris intagliano in profondità la superficie di Marte e si estendono per quasi un terzo della sua circonferenza. In certe zone le pareti dei canyon sembrano modificate da giganteschi franamenti; in altre, invece, da erosione dirette, formando così sistemi tributari integrati. Altrove sembra aver predominato il fenomeno della fagliazione. Quando l'orbita dell'Orbiter 1 venne cambiata in modo che l'intero pianeta si trovò a ruotare al di sotto di esso, analizzando il vapore acqueo e la temperatura della navicella si fece un'altra importante scoperta. Si trovò che la calotta polare settentrionale è per lo più costituita di acqua ghiacciata e non di ghiaccio secco (anidride carbonica ghiacciata), come aveva creduto la maggior parte degli scienziati. In alcune zone il ghiaccio può raggiungere uno spessore da 100 a 1000 m. Le foto indicavano che esso riempiva virtualmente alcuni crateri. Al di sopra di vaste aree del pianeta si evidenziano attività vulcanica ed erosione idrica. Nel passato geologico di Marte, quando l'atmosfera era molto più densa di oggi, piogge torrenziali devono avere allagato i bacini e intagliato canali attraverso rocce e deserto. Alcuni canali di drenaggio sono stati forse causati dall'azione geotermale che ha liquefatto gli strati di ghiaccio subsuperficiali, facendo sgorgare l'acqua in gigantesche sorgenti bollenti. Parte dell'acqua adesso esistente su Marte è tuttora imprigionata nel ghiaccio polare e forse in aree di permafrost (sottosuolo sempre gelato) al di sotto dei poli. Quando sorge il Sole, in talune aree compaiono macchie di nebbia in fondo ai crateri e ai canali prosciugati. Per maggiori dettagli su Marte, vedi ARGOMENTO: [La BIOASTRONOMIA].

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A new clue from Mars ?
EUROPEAN SPACE AGENCY NEWS RELEASE
Posted: September 20, 2004

 

Recent analyses of ESA's Mars Express data reveal that concentrations of water vapour and methane in the atmosphere of Mars significantly overlap. This result, from data obtained by the Planetary Fourier Spectrometer (PFS), gives a boost to understanding of geological and atmospheric processes on Mars, and provides important new hints to evaluate the hypothesis of life present on the Red Planet. PFS observed that, at 10-15 kilometres above the surface, water vapour is well mixed and uniform in the atmosphere. However, it found that, close to the surface, water vapour is more concentrated in three broad equatorial regions: Arabia Terra, Elysium Planum and Arcadia-Memnonia. Here, the concentration is two to three times higher than in other regions observed. These areas of water vapour concentration also correspond to the areas where NASA's Odyssey spacecraft has observed a water ice layer a few tens of centimetres below the surface, as Dr Vittorio Formisano, PFS principal investigator, reports. New in-depth analysis of PFS data also confirms that methane is not uniform in the atmosphere, but concentrated in some areas. The PFS team observed that the areas of highest concentration of methane overlap with the areas where water vapour and underground water ice are also concentrated. This spatial correlation between water vapour and methane seems to point to a common underground source. Initial speculation has taken the underground ice layer into account. This could be explained by the 'ice table' concept, in which geothermal heat from below the surface makes water and other material move towards the surface. It would then freeze before getting there, due to the very low surface temperature (many tens of degrees Celsius below zero). Further investigations are needed to fully understand the correlation between the ice table and the presence and distribution of water vapour and methane in the atmosphere. In other words, can the geothermal processes which 'feed' the ice table also bring water vapour and other gases, like methane, to the surface ? Can there be liquid water below the ice table ? Can forms of bacterial life exist in the water below the ice table, producing methane and other gases and releasing them to the surface and then to the atmosphere ? The PFS instrument has also detected traces of other gases in the Martian atmosphere. A report on these is currently under peer review. Further studies will address whether these gases can be linked to water and methane and help answer the unresolved questions. In-situ observations by future lander missions to Mars may provide a more exhaustive solution to the puzzle. The result is reported Monday, by Dr Vittorio Formisano at the International Mars Conference (19-23 September), organised by the Italian Space Agency (ASI) in Ischia, Italy. The objective of the PFS instrument is the study, with unprecedented spectral resolution, of temperature fields in the atmosphere, dust, variation and cycle of water and carbon monoxide, vertical distribution of water, soil-atmosphere interactions and minor gaseous species. From this, hints of extant life can be extracted (in terms of the presence of 'biomarker' gases and chemical study of atmospheric environmental conditions).

The PFS is an Italian Space Agency instrument, developed by the Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario (IFSI) of the Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), in the framework of ESA Mars Express mission.

MARS EXPRESS 3D MODEL

 


Where is Mars Odyssey Right Now ?

The images below are all SIMULATED views. All of the images are computer generated and are automatically updated every 10 minutes.  

Mars As Seen From Earth.

This image shows the position of the Mars Odyssey spacecraft relative to Mars

Looking Down On The Sun.

This image shows the relative position of the planets in the inner solar system. In particular, not where Mars is relative to Earth.

Mars Odyssey's View of Earth.

Mars Odyssey was launched on April 7, 2001. The current distance of the spacecraft from Earth is indicated as "Range" in the box in the lower right hand corner of the graphic.


Acqua e metano su Marte.Traducendo e RIASSUMENDO: Acqua e metano su Marte. Uno strumento italiano rivela le aree di maggior concentrazione. Le recenti analisi dei dati della Mars Express dell'ESA rivelano che le concentrazioni di vapor acqueo e di metano nell'atmosfera di Marte si sovrappongono in modo significativo. Questo risultato, calcolato a partire dai dati del Planetary Fourier Spectrometer (PFS), uno strumento di progettazione italiana, aiuterà a comprendere i processi geologici e atmosferici del pianeta rosso e fornirà nuovi indizi per valutare l'ipotesi della presenza di vita su Marte. Il PFS, il cui principale investigatore è Vittorio Formisano dell'Istituto di Fisica dello Spazio Interplanetario del CNR di Roma, ha osservato che a 10-15 chilometri sopra la superficie il vapor acqueo è pressoché uniforme nell'atmosfera. Tuttavia, più vicino alla superficie, il vapore è maggiormente concentrato in tre vaste regioni equatoriali, dove la concentrazione è superiore di due o tre volte a quelle delle altre regioni osservate. Queste tre aree corrispondono a quelle dove la navicella Odyssey della NASA ha osservato uno strato di ghiaccio a poche decine di centimetri sotto la superficie. Anche il metano non è uniforme in tutta l'atmosfera, ma è concentrato in alcune aree. Il team del PFS ha osservato che le aree di maggior concentrazione di metano si sovrappongono con quelle dove sono concentrati il vapor acqueo e il ghiaccio sotterraneo. Questa correlazione spaziale sembrerebbe dovuta a una comune fonte sotterranea. I risultati sono stati presentati da Formisano il 20 settembre alla Conferenza Internazionale su Marte, organizzata dall'Agenzia Spaziale Italiana a Ischia.

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Giove

GIOVE

Distanza dal Sole media 778,3 milioni di km
Distanza dal Sole massima 815,7 milioni di km
Distanza dal Sole minima 740,9 milioni di km
Raggio 71400 km
Schiacciamento 0,062
Albedo 0,45
Periodo di rivoluzione 11,86 anni terrestri
di rotazione 9h 50m 30s
Eccentricità dell'orbita 0,048
Inclinazione dell'orbita 1 grado e 18 primi
dell'asse 3 gradi e 5 secondi

Struttura interna di Giove.

Molto al di là della fascia di asteroidi si trova Giove, il pianeta più grande del sistema solare; la sua massa, infatti, che è maggiore della somma delle masse di tutti gli altri pianeti, ha fatto dire che "il sistema solare è costituito dal Sole, da Giove e da vari detriti". La distanza media di Giove dal Sole è di 778,3 milioni di chilometri, il periodo di di rivoluzione di 11,86 anni terrestri ed il periodo sinodico (cioé l'intervallo medio di tempo tra due successive opposizioni) è di 399 giorni. Giove è un corpo celeste sempre molto brillante (come luminosità è superato solo da Venere ed in rare occasioni da Marte) e per più di vari mesi ogni anno si trova in posizioni favorevoli all'osservazione. Il grande globo di Giove potrebbe contenere 1300 corpi del volume della Terra, ma la sua massa è soltanto 318 volte quella del nostro pianeta. I suoi strati più esterni, infatti, sono costituiti principalmente da idrogeno. Il rapido periodo di rotazione (inferiore alle 10 ore) ha provocato un forte rigonfiamento equatoriale e anche una casuale osservazione al telescopio è sufficiente per rilevare il notevole schiacciamento polare; il diametro equatoriale è di 143.000 chilometri, mentre quello polare è inferiore ai 135.000 chilometri. Si ritiene che Giove sia un pianeta completamente allo stato fluido con una composizione all'80% di idrogeno, al 19% di elio ed all'1% di metano, ammoniaca ed altri elementi; sono inoltre presenti metano, ammoniaca, acqua, etano ed acido cianidrico. L'aspetto al telescopio mostra una caratteristica struttura a bande chiare e scure delle nubi; la temperatura media di Giove è di -150°C. Solitamente si osservano due fasce principali che si trovano una per parte rispetto all'equatore, ma spesso anche altre fasce diventano ben visibili; osservando Giove molto ingrandito si è visto che i dettagli sono molto complessi e molto variabili poiché Giove è un mondo particolarmente attivo. La rapida rotazione del pianeta fa si che alcune formazioni del disco del pianeta si possano osservare anche con periodi di pochi minuti, e per la verità la rotazione stessa del pianeta si è potuta stabilire da osservazioni sistematiche di queste strutture superficiali. Quando una determinata formazione raggiunge il meridiano centrale si dice che è in transito (rispetto alla Terra). Una continua determinazione dei periodi che intercorrono tra transiti successivi delle diverse strutture in osservazione permette di calcolare il periodo di rotazione del pianeta sul proprio asse. Giove tuttavia non ruota attorno al proprio asse come un corpo solido, ma le regioni alle varie latitudini presentano periodi diversi. Così il periodo medio del Sistema 1 del pianeta (comprendente le regioni tra le due fasce equatoriali) è di 5 minuti più corto del periodo del resto del pianeta (Sistema 2). Inoltre alcune formazioni ben definite e caratteristiche della superficie hanno periodi diversi ancora presentano spostamenti anche in longitudine. Sulla superficie di Giove si sono spesso osservate macchie dal colore e grandezza diverse, ma la maggior parte ha avuto vita breve. L'unica eccezione è la Grande Macchia Rossa, che è seguita da più di 300 anni: a volte è anche scomparsa per brevi periodi di tempo, ma poi è sempre tornata ben visibile. Questa macchia assunse grandi dimensioni nel 1878, anno in cui divenne una formazione pressoché ellittica dal colore rosso mattone, lunga 48.000km e larga 11.000. Per molti anni si era creduto che la Macchia Rossa fosse una specie di isola fluttuante sopra i gas che costituiscono gli strati più esterni di Giove e che le variazioni del suo livello rispetto alla superficie provocassero le sue occasionali scomparse. Si pensava infatti che abbassandosi troppo la macchia potesse essere coperta dalle nuvole gassose che circondano il pianeta. Secondo un'altra teoria era invece considerata come la parte superiore della "colonna di Taylor", e cioé una colonna di gas stagnanti prodottasi per interruzione della circolazione atmosferica sopra grandi formazioni della grande superficie di Giove. I risultati ottenuti dalle sonde Pioneer hanno mostrato che la macchia è solo un vortice prodotto da fortissime tempeste il cui colore è dovuto a polimeri dello zolfo. Tuttavia sembra che Giove emetta più energia di quello che dovrebbe se dipendesse interamente dal Sole, e ciò pare dovuto ad una leggera ma regolare contrazione (troppo piccola per essere osservata) che provocherebbe un notevole aumento di energia gravitazionale. Giove è anche carattereizzato da un forte campo magnetico, l'origine del quale resta però sconosciuta. Una sonda spaziale impiega pochi giorni per raggiungere la Luna, mentre per raggiungere Marte e Venere occorrono alcuni mesi. Giove invece è talmente lontano che un viaggio alla sua volta durerebbe più di un anno. La difficoltà di guida sono enormemente accresciute dalla distanza. Pioneer 10, il primo veicolo spaziale inviato su Giove, fu lanciato nel marzo 1972, ma solo nel dicembre 1973 raggiunse la meta. Il suo compito principale era quello di studiare le condizioni della regione intorno al pianeta e di scattare fotografie da trasmettere a Terra. Le emissioni radio da Giove (che erano state registrate per puro caso, nel 1955 da B.F.Burke e W.Franklin, negli Stati Uniti) avevano indicato la presenza di un campo magnetico molto forte. Si ritenne probabile che vi dovessero essere anche zone di intensa radiazione dello stesso tipo delle fasce di Van Allen che circondano la Terra. Gli scienziati si preoccuparono dei possibili effetti delle radiazioni di Giove sugli strumenti trasportati dalla sonda spaziale, in particolare da quando si stabilì che Pioneer 10 doveva sorvolare le regioni equatoriali di Giove, dove l'intensità delle radiazioni era maggiore che ai poli. Pioneer 10 passò a 132.000 km da Giove e trasmise dati sul campo magnetico (che dimostrò di essere forte e tuttavia strutturalmente diverso da quello della Terra) e anche sulle zone di radiazioni. Gli strumenti furono quasi saturati; se il Pioneer si fosse avvicinato maggiormente, le radiazioni avrebbero definitivamente messo fuori uso tutto l'equipaggiamento. Dopo il suo rendez-vous, il Pioneer 10 si allontanò da Giove e iniziò un viaggio senza fine nello spazio. La sonda spaziale Pioneer 11 lo seguì l'anno dopo: fu lanciata nel marzo 1973 e raggiunse Giove nel dicembre 1974. Questa volta l'approccio avvenne dalla parte della zona polare del pianeta e il veicolo attraversò abbastanza rapidamente le regioni equatoriali, nel tentativo, peraltro riuscito, di evitare gli effetti negativi delle radiazioni. Si ottennero così ulteriori dati che, analizzati, vennero a confermare i risultati conseguiti dal Pioneer 10. Sebbene le due sonde Pioneer abbiano fornito la risposta ad alcuni interrogativi riguardanti Giove, rimangono da risolvere ancora molti enigmi. In primo luogo la Macchia Rossa. La teoria della "zattera galleggiante" si è rilevata errata in quanto la macchia non è un corpo semisolido che fluttua nell'atmosfera esterna del pianeta. La Macchia Rossa, che ogni tanto scompare, deve essere classificata come un fenomeno appartenente alla metereologia di Giove. Alcune immagini scattate dal Pioneer ne hanno mostato la struttura ben definita. Le zone più luminose sulla superficie del pianeta sono ad un livello più alto delle fasce oscure e presentano, altresì, una temperatura inferiore di parecchi gradi. Ciò è quanto ci si attendeva, ma si scoperto anche che la temperatura ai poli è uguale a quella all'equatore. Se la temperatura di Giove dipendesse esclusivamente dal calore ricevuto dal Sole, i poli sarebbero le regioni più fredde; pare quindi non esservi alcun dubbio circa l'esistenza di una sorgente interna di calore. Se tale calore interno si fa sentire maggiormente alle alte latitudine di Giove, deve esistere un notevole effetto agente sulla struttura degli strati gassosi, con formazione di turbolenze e correnti di convezione. Le foto dei poli scattate dal Pioneer mostrano la realtà di questo fenomeno; notevole è il mutamento nell'aspetto. Le ricerche sull'esatta struttura degli strati di Giove non erano state possibili in precedenza in quanto dalla Terra non si possono osservare particolari così deboli come quelli rilevati dalle fotografie scattate a distanza relativamente ravvicinata. La struttura stabile della zona a fasce si interrompe a circa 45 gradi di latitudine e, quanto più ci si avvicina ai poli, tanto più le regioni diventano instabili, con possibilità di distinguervi molti vortici. Fra le altre formazioni interessanti vi sono le cosidette "piume" (plumes), che in superficie si presentano come comete. Il Pioneer 10 registrò nel 1973 la presenza di una piuma che esisteva ancore quando il Pioneer 11 la sorvolò l'anno seguente. Osservazioni effettuate da Terra, per lo più da parte di amatori, della superficie di Giove, indicano che questa particolare piuma ha continuato a esistere fin dal 1964, sicché essa ha avuto virtualmente una durata pari ad un anno di Giove, che corrisponde a dodici anni terrestri. Ciò costituisce, in un certo senso, un fatto eccezionale, qualora si consideri che negli anni intercorsi fra il 1963 ed il 1975 l'intera zona equatoriale del pianeta è stata insolitamente scura. All'equatore di Giove vi è un tenue anello, molto piccolo rispetto a quelli di Saturno. E' stata lanciata nel 1988 un'altra sonda automatica, battezzata Galileo in onore dello scienziato italiano che per primo osservò i quattro satelliti maggiori del pianeta: Europa, Io, Ganimede e Callisto. Nel dicembre 1995, dopo sette anni di viaggio, Galileo ha cominciato a scattare foto di Giove. Poi ha lanciato un modulo suicida, che, prima di fondere è penetrato per 120 km nell'atmosfera del pianeta, raccogliendo dati. Infine ha iniziato una serie di orbite che l'hanno portato in prossimità di tutti i satelliti maggiori. Ed ecco i risultati. Nell'immenso ciclone perenne di Giove, più noto come "Macchia Rossa", si sono avvistate isole "calde" di materia. E si è scoperto che le nubi della macchia hanno grandi squarci sui bordi, dai quali sfugge un'intensa energia termica. La macchia, insomma, ha confini che "scottano". Da dove viene il calore ? Giove emette il doppio dell'energia che riceve dal Sole, anche se non si sa come faccia a produrla. Anche i venti confermano una forte produzione di energia: il modulo suicida ha registrato raffiche verticali a 600 chilometri all'ora, molto più intense di quanto ci si aspettasse. Ci sono anche altre sorprese, per esempio l'inattesa scarsità di fulmini e la bassa percentuale di vapore acqueo nell'aria. Il modulo potrebbe però essere sceso in una "sacca" atmosferica priva d'acqua, l'equivalente di un deserto sulla Terra. Giove non ha superficie solida ed è circondato da una zona di intense radiazioni che sarebbero letali per l'uomo. Tenendo conto di questi inconvenienti, della grande velocità di fuga del pianeta, che si aggira intorno ai 60,22 km/s e renderebbe perciò quasi impossibile ogni tipo di manovra di avvicinamento, e della presenza nell'atmosfera di metano ed ammoniaca, si può supporre che l'obiettivo di un' eventuale missione non sarebbe Giove, ma piuttosto uno dei suoi satelliti. Probabilmente la scelta cadrebbe su Ganimede, che non solo è di dimensioni planetarie (poco più grande di Mercurio) ma si trova anche ad una ragionevole distanza media da Giove (1 milione di km) tale da far supporre che il satellite non sia interessato dalle radiazioni gioviane. Da Ganimede si potrebbe assistere ad uno spettacolo eccezionale: nonostante Giove si muova molto velocemente, ne sarebbero infatti ben visibili le regioni, le caratteristiche fasce e la grande "Macchia Rossa". Come tutti i satelliti più grandi Ganimede ha rotazione sincrona, della durata di poco più di sette giorni, per cui rivolge a Giove sempre la stessa faccia. Amaltea è una piccola luna che si muove a una distanza di 181.000 km da Giove con un periodo di circa 12 ore e si trova, come Io, nella magnetosfera di Giove. Visto da Amaltea, Giove riempirebbe un quarto del cielo e le caratteristiche della sua superficie sarebbero visibili per un periodo di tempo maggiore che non da Ganimede o Europa, perché Amaltea ha un periodo di rotazione di solo due ore più lungo di quello dello stesso Giove. Sarebbe interessante poter stabilire su Amaltea un osservatorio per lo studio di Giove, ma l'impresa è praticamente impossibile in quanto il satellite si trova nella zona delle radiazioni gioviane.

Impatto della cometa S-L su Giove, MPEG, 651 Kb (STScI)

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Saturno

SATURNO

Distanza dal Sole media 1429,4milioni di km
DIstanza dal Sole massima 1511 milioni di km
Distanza dal Sole minima 146,4 milioni di km
Raggio 60330 km
Schiacciamento 0,105
Albedo 0,45
Periodo di rivoluzione 29,46 anni terrestri
di rotazione 10h 14m
Eccentricità dell'orbita 0,056
Inclinazione dell'orbita 26 gradi e 44 primi
dell'asse 2 gradi e 30 primi

Struttura interna di Saturno.

Saturno è un corpo celeste ben visibile ad occhio nudo, che qualche volta assume delle evidentissime tonalità giallastre: per questo gli astrologi del passato lo consideravano il "pianeta del diavolo" e portatore di calamità. Saturno, il più esterno dei pianeti noti nei tempi antichi, è un cospicuo oggetto celeste visibile ad occhio nudo, anche se in epoca pretelescopica non si potevano distinguere i suoi anelli. La distanza media di Saturno dal Sole è di 1429 milioni di chilometri e il periodo di rivoluzione di 29,46 anni terrestri; Saturno raggiunge l'opposizione circa ogni 378 giorni, in modo da essere in posizione favorevole all'osservazione per diversi mesi all'anno. Saturno, in ordine di dimensione è il secondo del sistema solare; il suo diametro equatoriale è di 60.330 km, ma il diametro polare è assai inferiore, poiché il pianeta è molto schiacciato. Questo dipende in parte dalla sua bassa densità, inferiore a quella dell'acqua, circostanza unica tra tutti i principali pianeti, e in parte a causa della sua rapida rotazione assiale. Il periodo di rotazione all'equatore è di 10 ore e 14 minuti mentre al polo è più lungo di circa 26 minuti; ma misurazioni precise sono meno facili da eseguirsi che nel caso di Giove: le caratteristiche della superficie del pianeta infatti, sono meno complesse. Saturno é circondato da un 'atmosfera composta principalmente da idrogeno ed elio, con presenza di metano ed ammoniaca che producono la struttura a bande chiare e scure della superficie visibile, dove la temperatura è di -170°C. La sua struttura interna, allo stato fluido, è simile a quella di Giove, con una percentuale di idrogeno più elevata e una lenta migrazione d'elio verso il nucleo, probabile causa dell'emissione di energia superiore a quella ricevuta dal Sole. Alla superficie del pianeta è presente un campo magnetico d'intensità simile a quello terrestre e asse coincidente con quello di rotazione. Vicino al nucleo inoltre la temperatura e la pressione dovrebbero avere valori consapevolmente alti e l'idrogeno dovrebbe trovarsi allo stato metallico. Sebbene la massa di Saturno sia 95 volte quella della Terra, gli scienziati ritengono che la sua forza gravitazionale sia solo leggermente più alta di quella del nostro pianeta. Occasionalmente sono state osservate delle macchie, per quanto la loro apparizione sia abbastanza rara. In tempi recenti l'esemplare migliore è la macchia bianca scoperta nel 1933 da Will Hay, un astrofilo inglese: questa macchia divenne imponente per un breve periodo, ma poi scomparve. Il caratteristico aspetto di Saturno è dovuto al sistema degli anelli. Il pianeta ha due anelli maggiori (A e B), separati da un'ampia lacuna, nota come divisione di Cassini, in onore del suo scopritore, Giovanni Cassini (1625-1712). In prossimità del pianeta si trova un anello molto debole e semi trasparente, scoperto nel 1850 da William Bond (1789-1859) a Harvard e, indipendentemente, da W.R.Dawes in Inghilterra, e noto con il nome di anello di Crespo o di Velo. Diverse volte sono state riportate notizie di scoperte di ulteriori anelli: nel 1909 ad esempio astronomi francesi hanno reso nota la presenza di un altro anello, simile a quello di Crespo, che si trova al di fuori dell'anello A (quello più esterno) e che venne chiamato D. Successivamente vennero scoperti altri anelli, e oggi sappiamo che questi sono 7: nell'ordine dall'esterno all'interno D, C, B, A, F, G, E. Gli anelli si trovano dentro il limite di Roche e non sono costituiti da materiale solido o liquido. Edward Roche (1820-1883) diede il suo nome alla distanza tra il centro del pianeta e un suo satellite al disotto della quale il satellite stesso non si può avvicinare al pianeta senza essere distrutto.  

Anelli di Saturno

Anelli Distanza Larghezza Massa
(nome) (km) (km) (kg)
D 67000 7500 ?
C 74500 17500 1.1 × 1018
B 92500 25500 2.8 × 1019
Scissura (o divisione) di Cassini   -- --
A 122200 14600 6.2 × 1018
F 140120 500 ?
G 165800 8000 1.0 × 107
E 180000 300000 ?

Gli anelli sono formati da particelle abbastanza piccole di ghiaccio o di materiale ricoperto di ghiaccio che si muovono attorno a Saturno in un'orbita indipendente. La divisione di Cassini è dovuta agli effetti gravitazionali dei satelliti più interni di Saturno; essi si comportano in modo da mantenere l'area racchiusa dalla divisione libera delle particelle che costituiscono gli anelli. Quando si trovano in posizione favorevole, gli anelli possono essere visti anche con un modesto telescopio. Essi si trovano sul piano equatoriale del pianeta di modo che spesso possono essere osservati abbastanza facilmente; quando dalla Terra sono visti di taglio, come è successo nel 1966 e nel 1980, appaiono come una sottile linea di luce e si possono vedere solo usando strumenti molto potenti. Questo dimostra che, sebbene misurino da un estremo all'altro 272.000 km, essi sono molto sottili: il loro spessore non dovrebbe essere superiore a pochi chilometri. Se non è da escludere che in futuro spedizioni umane potranno avventurarsi al di là di Giove, Saturno sarà la meta da raggiungere. In questo caso i problemi da affrontare sarebbero differenti da quelli visti per Giove, perché, se è maggiore la distanza di Saturno dalla Terra, sembra che invece non vi sia pericolo di radiazioni letali. Come Giove, Saturno non ha superficie solida di modo che si dovebbe optare, per un eventuale sbarco, per uno dei suoi satelliti. Mentre i membri più interni della famiglia di Saturno si muovono nel piano degli anelli, che risultano perciò visibili di taglio, questo non si verifica per Giapeto, la cui orbita ha un'inclinazione apprezzabile rispetto agli anelli e si muove intorno a Saturno con un periodo di rivoluzione di 79 giorni e un quarto ad una distanza media di 3,6 milioni di chilometri. Giapeto, più piccolo della nostra Luna, è tuttavia di dimensioni abbastanza considerevoli e "sembrerebbe" il luogo ideale per una base avente come scopo lo studio di questo pianeta, uno dei più suggestivi corpi celesti. [20.07.2004... Nelle ultime immagini inviate sulla Terra dalla navicella Cassini, attualmente in orbita attorno a Saturno, è visibile Giapeto, una delle 31 lune conosciute del pianeta, il cui aspetto rende perplessi gli scienziati. Un emisfero della luna è estremamente scuro, mentre l'altro è molto luminoso: gli astronomi non conoscono ancora l'origine del materiale scuro o se esso sia rappresentativo o meno dell'interno del satellite. Giapeto ha un diametro di 1436 chilometri, pari a circa un terzo della nostra Luna. Una fotografia nella luce visibile scattata da Cassini il 3 luglio, da una distanza di 3 milioni di chilometri, mostra variazioni di luminosità che non sono dovute a ombre o al disturbo di altri corpi, ma sono reali. Il satellite è stato scoperto nel 1672 da Domenico Cassini, che dedusse correttamente che l'emisfero posteriore fosse composto da materiale altamente riflettente, mentre quello anteriore è decisamente più scuro. Questa caratteristica distingue Giapeto dalle altre lune di Saturno e dalle lune di Giove, che tendono ad avere un emisfero anteriore più luminoso. Le immagini di Voyager mostrano che il lato luminoso di Giapeto, che riflette quasi il 50 per cento della luce che riceve, è tipico di un satellite ghiacciato con molti crateri. L'emisfero anteriore, invece, consiste di un materiale molto più rosso e scuro, con una riflettività pari a solo il 3 o 4 per cento.]

Giapeto.

DIGRESSIONE...(01 novembre 1997)

 

Cassini's Wild Ring Ride. Credit:NASA

Gian Domenico Cassini.Tra sette anni, dopo un viaggio di oltre 1200 milioni di chilometri, la sonda euro-americana sgancerà sul satellite di Saturno un modulo che ne analizzerà il suolo e l'atmosfera. Particolarmente interessante per i biologi perché simile a quella della Terra prima che sul nostro pianeta si sviluppasse la vita. Sarà un viaggio interplanetario di sei anni e mezzo, che si concluderà nel novembre 2004, quello che porterà la sonda Cassini-Huygens a percorrere 1200 milioni di chilometri dalla Terra fino a Saturno e a Titano, uno dei maggiori tra i 18 satelliti conosciuti del pianeta con gli anelli. Il lancio avviene in questi giorni da Cape Canaveral con un razzo Titan-4/Centaur. L'interesse per gli insiemi pianeta-satelliti è dovuto al fatto che questi possono essere considerati sistemi planetari in scala ridotta, costituiti da corpi che presentano notevoli differenze di massa, morfologia superficiale e composizione chimica. La missione congiunta dell'ente spaziale americano NASA e dell'Agenzia spaziale europea ESA è stata decisa nel 1988 e ha subìto numerose modifiche rispetto al progetto iniziale, che ne hanno ridotto complessità e costi (da 2800 a circa 900 miliardi di lire), che sono per l'80 per cento a carico della NASA e per il 20 per cento dell'ESA. La struttura della sonda prevede un orbiter (Cassini) che ruoterà intorno a Saturno trasmettendo dati e fotografie a colori fino al 2006, e un lander (Huygens) che atterrerà su Titano. Questo satellite, con i suoi 5150 chilometri di diametro, è paragonabile per dimensioni a Marte. Titano è, per dimensioni, il secondo satellite del Sistema solare dopo che la sonda Voyager 1, nel 1980, ha dimostrato il primato di Ganimede, una luna di Giove. L'ultima grande sonda. Secondo i più recenti orientamenti, le sonde interplanetarie sono ormai di massa ridotta a poche centinaia di chilogrammi. La Cassini-Huygens sarà probabilmente l'ultima di notevole massa, 5820 chilogrammi così suddivisi: 2150 l'orbiter, 3132 i propellenti, 373 il modulo Huygens, 165 gli adattatori di lancio. A bordo c'è anche un generatore a radioisotopi per l'alimentazione elettrica delle apparecchiature, analogo a quello che ha alimentato tutte le precedenti sonde americane e russe e che a ogni lancio provoca le proteste degli ambientalisti. Il ricorso a un generatore nucleare è necessario perché nelle zone lontane dal Sole i tradizionali pannelli fotovoltaici non fornirebbero energia sufficiente. Dopo una prima orbita attorno al Sole, la Cassini-Huygens si farà "spingere" dalle spinte gravitazionali planetarie passando due volte vicino a Venere, una volta vicino alla Terra e una volta in prossimità di Giove. Fra i 18 satelliti di Saturno, Titano è stato scelto perché la sua atmosfera, ricca di carbonio e idrocarburi, somiglia a quella primitiva della Terra: non ci si aspetta di trovare forme di vita, ma non è escluso che si possano almeno rintracciare molecole di tipo organico. Titano si presenta avvolto da un denso strato di azoto gassoso con particelle di idrocarburi, e sulla sua superficie sono stati ipotizzati laghi di azoto o di metano liquidi. Gli scienziati ritengono che anche i processi chimici dell'atmosfera di Titano possano essere simili a quelli che si svolgevano sulla Terra quando su questa non esistevano ancora forme di vita. Si ipotizza anche che Titano possa essere soggetto a costanti piogge di particelle di acetilene e di etano, che formerebbero una superficie soffice dello spessore di parecchi metri, se non addirittura di chilometri. Ammesso che il lander non affondi immediatamente, dovrebbe riuscire a inviare dati alla Terra prima di danneggiarsi. Modulo miliardario... Il modulo Huygens che scenderà su Titano è costato cento milioni di dollari (circa 172 miliardi di lire) ed è stato realizzato dall'ESA: è la prima volta che l'agenzia europea si impegna in un progetto così impegnativo. Dopo il distacco dalla sonda-madre, un grande deceleratore conico rallenterà Huygens fino a una velocità subsonica (266 metri al secondo) a una quota di 180 chilometri da Titano. Quindi un paracadute permetterà una lenta discesa (120-150 minuti) verso la superficie di Titano. L'impatto a bassa velocità (circa cinque metri al secondo) dovrebbe essere sufficientemente delicato da permettere l'analisi di un campione della superficie prima che la sonda cessi di funzionare. L'ESA prevede che la vita del modulo possa durare dai 3 ai 30 minuti, non oltre comunque i 153 minuti di autonomia delle batterie. Durante la discesa del modulo, Cassini resterà in orbita e sarà usata come ponte di collegamento radio per la trasmissione dei dati verso la Terra. A bordo di Huygens sono collocati otto strumenti per l'analisi dell'ambiente e del suolo di Titano. Successivamente all'atterraggio di Huygens, Cassini sorvolerà la superficie di Titano per oltre trenta volte a una quota minima di mille chilometri, quindi compirà 35-40 orbite intorno a Saturno, studiando almeno una volta tutti i suoi più grandi satelliti e inviando a Terra dati per circa quattro anni. A bordo ci sono 17 strumenti di analisi. In particolare, gli studiosi si aspettano notizie su Giapeto, lo strano satellite con un emisfero composto di materiali chiari e l'altro di materiali scuri. Il fatto che Giapeto fosse metà chiaro e metà scuro era stato ipotizzato dallo stesso Cassini, che riusciva a osservarlo solo quando il satellite mostrava la sua parte chiara. Finora Saturno è stato obiettivo di tre sonde Usa, Pioneer 11 e le due Voyager. Lanciata il 5 aprile 1973, Pioneer 11 ha trasmesso a Terra la prima fotografia ravvicinata del pianeta con gli anelli, scattata il 1°settembre 1979 da 20 mila 800 chilometri di distanza. Delle Voyager 2 e 1 (che vennero lanciate, rispettivamente, il 20 agosto e l'11 settembre 1977), la prima si è avvicinata a Saturno fino a 138 mila chilometri (il 12 novembre 1980) e ha trasmesso a Terra 17 mila foto, la seconda è giunta fino a 650 mila chilometri (il 9 luglio 1979) e ha ripreso 15 mila immagini. Voyager 1 ha sfiorato inoltre sei dei maggiori satelliti di Saturno (Teti, Encelado, Rea, Dione, Giapeto e lo stesso Titano, cui si è avvicinata a una distanza di appena 4200 chilometri) e ne ha scoperti altri tre, portando così a diciotto il numero totale di quelli conosciuti. Antenna made in Italy... Saranno in grandissima parte apparecchiature di fabbricazione italiana a riprendere e a trasmettere alla Terra le immagini e tutti i dati scientifici di Saturno e di Titano. Gli strumenti realizzati nel nostro Paese, per un valore complessivo di 173 miliardi, sono la grande antenna principale della Cassini-Huygens, il radar, un rilevatore di onde gravitazionali e uno spettrometro. Le prime tre apparecchiature sono state realizzate dalla Alenia Spazio, lo spettrometro dalle Officine Galileo. Inoltre, l'Italia è responsabile dei sottosistemi di gestione dei dati e delle comunicazioni. Notevole anche la partecipazione scientifica italiana alla missione: 13 ricercatori sono stati selezionati dalla NASA per far parte dei gruppi scientifici che programmano le osservazioni e ne analizzano i dati pervenuti a Terra.

RealOne Facility: Voyager Mission Agg. 21.09.2004

FINE DIGRESSIONE

SATELLITI DI SATURNO


   
      Satellite Distanza    Raggio  Massa   Scopritore  Data della 
             (x1000 km)    (km)   (kg)                scoperta 
     ---------  --------  ------  -------  ----------  ----------

Atlas           138      14     ?     Terrile      1980
Calypso         295      13     ?     Pascu        1980
Dione           377     560  1.05e21  Cassini      1684
Enceladus       238     260  8.40e19  Herschel     1789
Epimetheus      151      57  5.60e17  Walker       1980
Helene          377      16     ?     Laques       1980
Hyperion       1481     143  1.77e19  Bond         1848
Iapetus        3561     730  1.88e21  Cassini      1671
Janus           151      89  2.01e18  Dollfus      1966
Mimas           186     196  3.80e19  Herschel     1789
Pan             134      10     ?     Showalter    1990
Pandora         142      46  2.20e17  Collins      1980
Phoebe        12952     110  4.00e18  Pickering    1898
Prometheus      139      46  2.70e17  Collins      1980
Rhea            527     765  2.49e21  Cassini      1672
Telesto         295      15     ?     Reitsema     1980
Tethys          295     530  7.55e20  Cassini      1684
Titano         1222    2575  1.35e23  Huygens      1655

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Urano

URANO

Distanza dal Sole media 2875 milioni di km
Distanza dal Sole massima 3008 milioni di km
Distanza dal Sole minima 2742 milioni di km
Raggio 25800 km
Schiacciamento 0,021
Albedo 0,46
Periodo di rivoluzione 84,01 anni terrestri
di rotazione 17h 30m 30s
Eccentricità dell'orbita 0,047
Inclinazione dell'orbita 98 gradi
dell'asse 0 gradi e 45 primi

Struttura interna di Urano.

Anticamente i limiti del sistema solare si facevano coincidere con l'orbita del pianeta Saturno. Si conoscevano in tutto sette corpi celesti (cinque pianeti visibili ad occhio nudo, il Sole e la Luna) e sette era il numero sacro agli astrologi. Nel 1781 William Hershel, osservando con un telescopio il cielo nella zona che racchiude la costellazione dei Gemelli, scoprì un corpo celeste che presentava un disco ben visibile che si spostava tra le stelle di notte in notte. Hershel pensò si trattasse di una cometa, ma una volta calcolata la sua orbita si accorse che senza dubbio si trattava di un nuovo pianeta esterno a Saturno. A questo nuovo membro del sistema solare venne dato il nome di Urano. Appena visibile ad occhio nudo, Urano ha un diametro di 51.800 km. Al telescopio appare come un disco decisamente verdastro e con difficoltà si possono osservare delle regioni luminose ed altre più scure. Urano ha una distanza media dal Sole di 2.875 milioni di chilometri e un periodo di rivoluzione di 84 anni. Il periodo della rotazione assiale è di 17 ore e 30 minuti; l'inclinazione dell'asse del pianeta è veramente insolita, in quanto raggiunge i 98° (è cioé superiore ad un angolo retto) di modo che dalla Terra il pianeta a volte è visto dalla parte delle regioni polari (quando l'asse di rotazione è diverso dalla Terra) mentre altre volte l'equatore attraversa il centro del disco. La sonda Voyager 2, che il 24 gennaio 1986 è arrivata fino a 73.000 km da Urano, ha permesso di aggiornare le nostre conoscenze sul pianeta. Ora si sa che questo è un corpo per lo più gassoso, composto da idrogeno, elio e metano, con una temperatura alla sommità osservabile delle nubi di circa -210°C. La massa di Urano è circa 14,6 volte quella terrestre e la gravità alla superficie è 1,17 volte più intensa. Urano presenta un sistema di 11 anelli; di questi 5 furono scoperti nel 1977 mediante lo studio dell'occultazione, da parte del pianeta, di una stella che, al passaggio di ogni anello, veniva temporaneamente oscurata; 4 nel 1978 con lo stesso metodo; il decimo e l'undicesimo nel 1986 dalla sonda Voyager 2. E' ancora troppo presto per poter dire quando la prima spedizione umana si avventurerà fino a Urano. Saranno necessari veicoli molto più sofisticati di quelli fino ad oggi progettati; anche così, l'atterraggio sulla superficie del pianeta potrebbe essere impossibile. Urano, come Giove e Saturno, ha una superficie gassosa, benché la costituzione del pianeta differisca dagli altri due in molti particolari importanti. Non c'è alcuna prova che indichi l'esistenza di pericolose fasce di radiazioni come quelle di Giove. Dei suoi satelliti, Miranda è tra i più vicini, ma è più probabile che il primo atterraggio verrà effettuato su uno dei satelliti maggiori, per esempio Ariel. Si dovrebbe allora vedere uno strano paesaggio, un quadro di vuoto e desolazione dovuto alla luce fioca e verdastra di Urano che colpisce le rocce dei suoi satelliti. A causa della strana inclinazione del suo asse Urano appare talvolta come una falce con le punte agli estremi opposti all'equatore invece che ai poli.

SATELLITI DI URANO


 
    Satellite   Distanza  Raggio    Massa   Scopritore  Data della
              (x1000 km)   (km)     (kg)                scoperta
     ---------  ---------  ------  --------  ----------  ----------

Ariel           191     579    1.27e21  Lassell      1851
Belinda          75      34      ?      Voyager 2    1986
Bianca           59      22      ?      Voyager 2    1986
Cordelia         50      13      ?      Voyager 2    1986
Cressida         62      33      ?      Voyager 2    1986
Desdemona        63      29      ?      Voyager 2    1986
Giulietta        64      42      ?      Voyager 2    1986
Miranda         130     236    6.30e19  Kuiper       1948
Oberon          583     761    3.03e21  Herschel     1787
  Ofelia           54      16      ?      Voyager 2    1986  
Portia           66      55      ?      Voyager 2    1986
Puck             86      77      ?      Voyager 2    1985
Rosalind         70      27      ?      Voyager 2    1986
Titania         436     789    3.49e21  Herschel     1787
 Umbriel         266     585    1.27e21  Lassell      1851

DIGRESSIONE...

New Moons of Uranus and Neptune
News story originally written on October 31, 2003

This near-infrared image shows Uranus, its rings, and its five largest moons. The rings are much more apparent than they would be in a visible light image. This image was created using a telescope at the European Southern Observatory in Chile.Astronomers have discovered new moons orbiting Uranus and Neptune. 2003 has been a banner year for moon discoveries; several new moons orbiting Jupiter, Saturn, and Neptune were announced earlier this year. All of the newfound moons are small, having diameters less than 100 km (60 miles). Mark Showalter of Stanford University and NASA's Ames Research Center and Jack Lissauer of Ames discovered two new moons of Uranus that have been given the temporary names S/2003 U1 and S/2003 U2. At the time of their discovery in September, the two were the smallest moons yet found orbiting Uranus, having diameters of 16 km (12 miles) and 12 km (8 miles) respectively. The moons, which were discovered via observations made with the Hubble Space Telescope (HST), both orbit closer to the planet than Uranus's five large moons (Ariel, Miranda, Oberon, Titania and Umbriel). S/2003 U2 orbits in a region crowded with eleven other small moons, all of which were discovered via observations made by Voyager. Scott Sheppard and David Jewitt at the University of Hawaii discovered two other moons of Uranus, which are currently called S/2003 U3 and S/2001 U2. Both were found using the Subaru telescope on the top of the Mauna Kea volcano in Hawaii. S/2003 U3 is 11 km in diameter (7 miles) and takes about 4 years to complete an orbit around Uranus; S/2001 U2 is 12 km (8 miles) across and orbits so far from the planet that it takes almost 8 years to go around once! S/2001 U2 had originally been spotted in 2001 by Matthew Holman and J.J.Kavelaars, but they weren't able to make enough observations at that time to prove it was a satellite of Uranus, and astronomers hadn't been able to locate it since. Astronomers need to observe a new moon several times before they declare a discovery since the multiple observations allow them to determine the orbital path of the newly found satellite. Two new moons of Neptune have also recently been found. S/2002 N4 was first seen by Holman and B.Gladman in August 2002. The discovery was confirmed with new observations in August and September of this year by Holman. The moon is roughly 60 km (37 miles) in diameter. S/2003 N1 was discovered by Jewitt, Sheppard and Jan Kleyna, again using the Subaru telescope. It is about 38 km (24 miles) across. Both moons orbit farther from their parent planet than any other moon so far discovered in the entire Solar System. Each moon orbits Neptune at an average distance of roughly 47 million km (29 million miles), and takes about 25 years to make it around the planet once! That distance is about one third as large as the distance from Earth to the Sun! These new discoveries boost the total count of moons found around Uranus to 27 and around Neptune to 13. Stay tuned - it has been a good moon hunting season this year, and you never know when more new moons might be found!

FINE DIGRESSIONE

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Nettuno 

NETTUNO

Distanza dal Sole media 4496 milioni di km
Distanza dal Sole massima 4537 milioni di km
Distanza dal Sole minima 4456 milioni di km
Raggio 24750 km
Schiacciamento 0,02
Albedo 0,53
Periodo di rivoluzione 164,79 anni terrestri
di rotazione 18h 12m
Eccentricità dell'orbita 0,009
Inclinazione dell'orbita 17 gradi e 12 primi
dell'asse 28 gradi e 48 primi

Struttura interna di Nettuno.

Con la scoperta di Urano sembrava che niente dovesse più turbare l'armonia del sistema solare; tuttavia dopo pochi da questa scoperta si presentò agli astronomi un nuovo strano problema. Urano infatti non si muoveva lungo l'orbita prevista, ma presentava delle notevoli perturbazioni che lo portavano in posizioni diverse da quelle calcolate teoricamente; l'unica soluzione ragionevole di questo problema era l'esistenza di un altro pianeta ancora sconosciuto che avrebbe potuto pertubare in quel modo l'orbita di Urano. Nel 1843, a Cambdrige, John Couch Adams si interessò al problema e pensò che sarebbe stato possibile scoprire il pianeta sconosciuto, ammesso che esistesse realmente, studiando le perturbazioni riscontrate nell'orbita di Urano. Dopo mesi di duro lavoro Adams giunse alla conclusione di aver determinato con una certa sicurezza la posizione del pianeta (1845) e prospettò a George Biddel Airy (1801-92) la propria teoria, ma l'astronomo non la prese in considerazione. Contemporaneamente gli stessi calcoli fatti da Adams erano stati eseguiti in Francia dal matematico Urbain Leverrier (1811-77), che li inviò all'osservatorio di Berlino dove furono utilizzati da Johann Galle e Heinrich D'Arrest, che in breve tempo riuscirono a localizzare il nuovo pianeta più o meno nella stessa posizione indicata teoricamente dal matematico francese. La scoperta del pianeta venne fatta nel 1846; poco dopo anche Challis, lavorando a Cambdrige sulle basi del lavoro di Adams, localizzò il pianeta. Questo fu chiamato Nettuno, e Adams e Leverrier sono universalmente conosciuti come i suoi scopritori. Nettuno è più o meno un gemello di Urano, è leggermente più piccolo (con un diametro di 49.500 km) e più pesante, ma non presenta l'inclinazione notevole di Urano. Il periodo di rivoluzione è di 164,79 anni, mentre la sua distanza dal Sole media è di 4.496 milioni di km. I dettagli della sua superficie non sono visibili con nessun telescopio ed il pianeta appare come un disco pallido e bluastro. La sua massa è circa 17,2 volte quella terrestre e la gravità della superficie 1,18 volte più intensa. Nettuno è un pianeta quasi completamente allo stato fluido, composto da idrogeno, elio, ammoniaca e metano e mostra una struttura a fasce delle nubi, dove la temperatura è di -220°C, con presenza di grossi vortici ciclonici. La sonda automatica Voyager 2 ha scoperto nel 1989 due tenui anelli nel piano equatoriale del pianeta.

Facility... Filmati AVI/MPEG: Voyager Mission Agg. 22.09.2004

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Plutone

PLUTONE

Distanza dal Sole media 5900 milioni di km
Distanza dal Sole massima 7400 milioni di km
Distanza dal Sole minima 4425 milioni di km
Raggio 1500 km
Schiacciamento -
Albedo 0,6
Periodo di rivoluzione 24,7 anni terrestri
di rotazione 6g 9h 18m
Eccentricità dell'orbita 0,25
Inclinazione dell'orbita 17 grado e 1 primo
dell'asse 118 gradi

Struttura interna di Plutone.

Anche dopo la scoperta di Nettuno si continuò a riscontrare delle perturbazioni notevoli nei moti dei giganti più esterni. Percivall Lowell, deciso a risolvere il problema, intraprese nuovi calcoli per vedere se queste perturbazioni erano dovute alla presenza di un altro pianeta. Quattordici anni dopo la sua morte il pianeta fu localizzata nel 1930 dal Lowell Observatory, in Arizona; la scoperta venne fatta da Clyde Tombaugh, un allora giovane studente che è stato uno dei più famosi ed importanti astronomi americani. La conoscenza di Plutone è ancora approssimativa: nessuna sonda automatica lo ha sinora esplorato, e al telescopio è osservabile come un dischetto di soli 49 secondi d'arco con magnitudine 14,5. Più piccolo della Luna, con una massa di 2/1000 di quella terrestre e una gravità alla superficie di 3/100, Plutone pareva ricoperto da metano ghiacciato, ma nel 1996 il telescopio spaziale Hubble ha scoperto che la sua superficie è ricoperta in gran parte da ghiaccio d'azoto. La sua temperatura è vicina ai -230°C. La sua orbita è talmente eccentrica che dal 1979 e fino al 1999 si trovò più vicino al Sole di Nettuno; questa sua caratteristica ha fatto ipotizzare una sua "cattura" da parte del sistema solare in epoca più recente rispetto alla formazione degli altri pianeti.

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